Un primato mondiale di cui non vado particolarmente fiero, figlio di circostanze bizzarre ed una tempra talvolta troppo istintiva.
Dall’Uzbekistan all’Iran, via terra e senza mezzi a motore, in 23 ore.
L’attraversamento del Turkmenistan … in meno di un giorno.
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15 e 16 Ottobre, da Farab a Sarakhs ◀ Giorni 383 e 384 🇺🇿 – 🇹🇲 – 🇮🇷 ▶
Lo avevo anticipato: non avevo la minima idea di quello che sarebbe successo in Turkmenistan.
Tuttavia non avrei nemmeno mai pensato che avrei scelto di restarci addirittura meno di 24 ore.
Che cos’è successo?
Poco, molto poco, sicuramente troppo poco. Ma abbastanza per farmi prendere una decisione con la pancia ben lontana da tutti i miei “piani” iniziali.
In sostanza il Turkmenistan, dopo una stretta di mano ed un sorriso sincero del primo militare di frontiera ed una piacevole pedalata di 40 km – nel mezzo di deserto, desolazione e campi di cotone – per raggiungere la città di Turkmenabat, mi ha presto gettato nello sconforto e nella rassegnazione.
Costi assurdi per gli stranieri (hotel a partire da 50$ a notte ed una semplice simcard con internet per 2 giorni a 30$, con la facile motivazione “sono le regole, se per noi costa 30 Manat per voi sono 30 Dollari”), sole e caldo furioso nelle ore diurne e freddo di notte, inglese pressoché non pervenuto, controlli passaporto e militari sospettosi dagli sguardi torvi e minacciosi ad ogni angolo.
Le poche persone con cui sono riuscito a parlare (due ragazzi in totale) – alle quali ho espresso le mie perplessità – mi hanno sorriso con gli occhi; come a capirmi, in un atteggiamento al contempo orgoglioso e mesto verso una realtà dalla quale probabilmente sognano soltanto di poter fuggire.
Chi mi conosce un po’, lo sa: ho un carattere generalmente mite e riflessivo, ma talvolta mi lascio vincere dall’istinto e dalle sensazioni. Soprattutto quelle iniziali, per quanto alle volte siano solo passeggere e potenzialmente mal fondate.
Nei fatti, comunque, ho trascorso qualche ora nell’anonima e dispersiva Turkmenabat, cercando un ristoro ed un alloggio nel mezzo di lunghi viali oscuri. Poi, viste le proposte proibitive per un soggiorno in città, ho acquistato una branda su un treno notturno per Mary, dove immaginavo di rimanere una notte, provando a mercanteggiare ancora una volta il prezzo di un hotel.
Alle 7 di stamattina, però, appena sceso dal treno ed alle prese con le prime riflessioni sul da farsi, sono stato approcciato da un poliziotto in incognito. Il terzo, in neanche mezza giornata. Anch’egli, come i due precedenti, mi ha squadrato come se fossi un ricercato internazionale dalla fama spregevole. Anch’egli con le stesse richieste.
Non domande, richieste:
“Da dove vieni.” – “Italia.”
“Dove stai andando.” – “Iran.”
“Dov’è la tua guida.” – “Quale guida? Sono da solo. Sono arrivato in treno. Con questa bici ed un visto di transito.”
“Fammi vedere il telefono.” – “Perché?”
“Fammi vedere il telefono.” – “Ok.”
“Cancella tutto. Non puoi fare foto in Turkmenistan.” – “Ok”.
Quando poi, dopo neanche 10 minuti, un nuovo gendarme mi ha avvicinato ed intimato “Passaporto!” non sono riuscito a contenere un onomatopeico “Ancora?! Ma vaffanculo …”
Sì, l’istinto.
E poi non puoi chiedermi il passaporto in quel modo.
Sono un ragazzo sensibile in fondo.
Poco lontano dal mio sguardo, fermo al binario numero 2, un vecchio convoglio con scritto Mary – Sarakhs sbuffava una partenza ormai prossima. Sarakhs, la cittadina di confine punto di uscita del mio visto. Mi sono avvicinato ad uno dei vagoni e, nel mio imbarazzante russo, sono riuscito a capire che quello che stavo osservando era l’unico treno settimanale diretto a Sarakhs. Un chiaro segno. Una frivola pioggerella, presto poi sostituita da un’alba colorata, ha quindi contribuito alla scelta decisiva.
Ho capito lì, in quel preciso momento, che del Turkmenistan non mi interessava più proprio nulla. Affranto – ma non troppo – ho così deciso di non rimanere oltre.
Addio regime militare, addio dittatore vampiro. Non è il terrore ciò che la tua buona gente merita.
Il mio doveva essere un semplice transito, e transito – velocissimo – è stato.
Per loro si tratta di vita di tutti i giorni.
Tutto questo, ragazzi, per concludere infine con due osservazioni.
La prima è che ho avuto la fortuna di ottenere un visto di transito di 5 giorni e l’ho gettato alle ortiche in meno di uno.
La seconda – e per me di gran lunga la più importante – è che un altro paese è già cominciato.
Un sogno, a lungo cullato, chiamato Iran.
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