Un mese in Iran aveva solcato in profondità; avrei voluto rimanerci molto più a lungo, ma l’inverno Caucasico stava già preparando la sua morsa. Armenia e Georgia – lo confesso – erano per me due grossi punti di domanda. Non sapendone nulla, lo shock fu immediato.
L’antica Persia si trovava solo a pochi chilometri di distanza; tuttavia, già a Meghri, il cambiamento era totale.
L’Armenia si presentava dunque così, sovvertendo tutto.
Una terra segreta, morbida e tagliente, fiera e mai doma, con una storia millenaria e controversa, dove natura e monasteri rievocavano ad ogni dove racconti e ferite ancora vive. Un angolo di mondo grezzo e difficile, scavato tra confini di ogni sorta.
Ciononostante … di una bellezza sconfinata.
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16 Novembre, verso Meghri ◀ Giorno 415 🇮🇷 – 🇦🇲 ▶
“Ma sei fintissimo!” – mi ha detto ieri un amico.
“Non pedali quasi mai! Sei il peggior cicloviaggiatore che abbia mai incontrato!”, ha aggiunto poi, ridendo, per sfottermi un po’.
Del resto è vero.
Nella prima parte di questo lungo viaggio ho percorso molti molti più chilometri in sella alla mia bicicletta rispetto a quanto fatto durante questo “secondo round”.
Sarà che tra Cina, Asia Centrale e Iran c’era troppo altro da fare – e da attraversare – e così ho scelto di trascorrere più tempo nelle varie città, usando la bici a mo’ di taxi privato e scoprendo un po’ di più di paesi che da tanto tempo mi affascinavano (a discapito dell’avventura più vera, quella che si vive tra pedalate, villaggi remoti, campeggi e strade infinite).
O forse è che, con tutto questo andare, mi sono solamente impigrito.
Sta di fatto che ogni volta che scelgo di pedalare … è uno spettacolo davvero imbarazzante.
E con oggi, Armenia
17 Novembre, Meghri ◀ Giorno 416 🇦🇲 ▶
Insomma ieri sera sono entrato a Meghri, in Armenia. Invece di dirigermi subito verso Yerevan, la capitale, ho deciso di fermarmi un attimo. L’Iran dista solo 5 chilometri da qui, eppure ho avvertito il bisogno di una breve pausa per prendere confidenza col cambiamento. Due paesi così vicini, eppure così lontani. Dalle montagne ai colori, dalle targhe ai frutti, dalle case alle facce … tutto qui è così incredibilmente diverso da dove arrivo. In quanto a me, confesso di non saper assolutamente nulla di questo paese. Ma, se il buongiorno si vede dal mattino, allora l’Armenia non ci metterà tanto a conquistarmi.
18 Novembre, verso Yerevan ◀ Giorno 417 🇦🇲 ▶
“NE PONIMAYU!”, avevo imparato a dire in Russia, oltre un anno fa, ogni qualvolta qualcuno provava ad intavolare una discussione insieme a me, scambiandomi per russo.
Credevo che non mi sarebbe mai più servito, ed invece di nuovo mi sono trovato a pronunciarlo, più volte, tra Kyrgyzstan, Kazakistan, Uzbekistan e persino, seppur per poche ore, in Turkmenistan.
“NE PONIMAYU!”
Una volta messo piede in Iran credevo che non avrei davvero dovuto utilizzarlo mai più, così come le poche altre parole di russo che ho appreso nel corso degli ultimi mesi.
E invece, ancora, anche in Armenia.
“NE PONIMAYU!”
In Georgia sarà probabilmente lo stesso, tanto vasta è la parte di mondo dove l’alfabeto cirillico e l’influenza della Grande Madre sono – o sono stati – parte integrante della vita di tutti i giorni.
“NE PONIMAYU!” – (НЕ ПОНИМАЮ in cirillico) espressione tanto facile da ricordare quanto buffa al suono – semplicemente significa “NON CAPISCO!”.
Ma che cos’è che non capisco veramente?
Il russo soltanto?
O il perché mi trovi qui adesso, ancora sulla strada, dopo aver scelto di dedicare ormai quasi oltre due anni della mia vita a non far altro che viaggiare?
La mia barba cambia, le rughe sotto i miei occhi cambiano, e i miei stessi occhi in effetti sono cambiati costantemente, in tutto questo tempo, nutrendosi di novità ed esperienze continue.
Ma io, con il mio essere, la mia anima, il mio spirito (insomma, chiamatelo come volete) … sono davvero cambiato?
Spesso me lo domando.
Ogni giorno, ad essere sincero.
La risposta, per di più, non l’ho ancora trovata.
O forse, come sono ormai più portato a credere, l’ho sempre avuta con me.
Ed un giorno, prima o poi, tutto il disegno mi sarà chiaro.
Lo spero, se non altro.
Perché nel frattempo, io, per non saper né leggere né scrivere – o forse perché davvero non saprei che altro fare – continuo ad andare.
E a ripeterlo. Anche quando non serve.
“NE PONIMAYU!”

20 Novembre, Yerevan ◀ Giorno 419 🇦🇲 ▶
Fondata dal regno di Urartu nel 782 a.C., snodo di grande importanza per le rotte carovaniere sulla Via della Seta, Erevan (o Yerevan) ha vissuto una serie di vite innumerevoli. Capitale del primo stato ufficialmente Cristiano nel 300 d.C., fu poi per secoli contesa tra Persia e Impero Ottomano e quindi a inizio ‘800 occupata dall’Impero Russo, che formalmente non la lasciò più. Dopo la rivoluzione bolscevica fu proclamata capoluogo della Repubblica Socialista Sovietica armena e, in seguito al collasso dell’Unione nel 1991, è diventata la capitale della neonata repubblica armena. Insomma, una città che vanta una storia colossale (come forse nessun’altra al mondo), soggetta – o assoggettata – a dominazioni ed influenze di ogni genere.
Yerevan, oggi, è semplicemente un luogo in cui non si capisce niente; forse perché sorge su un passato che è troppo imponente da poter essere capito, o forse perché vive di un presente ancora impossibile da decifrare. Povero, orgoglioso e colmo di rivalsa. Un presente che fatica ancora a trovare la propria strada … ma le cui potenzialità, così come le cui forme d’espressione, sono davvero infinite.
21 Novembre, Yerevan ◀ Giorno 420 🇦🇲 ▶
Storie di monasteri antichissimi, di candele nel buio, di templi romani, di panchine ai bordi di burroni, di taxi sgangherati, di animali liberi per i villaggi, di fiumi impetuosi, di cieli senza fine e di montagne ancora più infinite.
Queste, le storie dell’Armenia più autentica.
E più spettacolare.
22 Novembre, Yerevan ◀ Giorno 421 🇦🇲 ▶
Ci sono luoghi di cui è difficile parlare.
O impossibile, tanto è assordante e devastante il silenzio che generano solamente con la loro presenza.
Testimoni ad imperitura memoria di storie di atroci disumanità – di cui spesso ormai si sa poco o nulla – ed il cui solo pensiero lascia spazio soltanto alla vergogna, alle preghiere ed al desiderio di essere vento.
23 Novembre, Sevan ◀ Giorno 422 🇦🇲 ▶
“In Armenia? A fine Novembre?”, mi domandavano.
“Ma fa un freddo becco!”, mi dicevano.
“Morirai di gelo lassù sulle montagne!”, profetizzavano.
Non avevavo tutti i torti, in fin dei conti.
Però quanto è anche mostruosamente bella?!
23 Novembre, Dilijan e dintorni ◀ Giorno 423 🇦🇲 ▶
Haghartsin & Goshavank.
Potrebbero tranquillamente essere due compagni di merende di Tom Bombadil.
E invece sono altre due semplici, quanto imperiose, pepite dell’Armenia.
24 Novembre, Dilijan ◀ Giorno 424 🇦🇲 ▶
“E all’improvviso, arriva lei.
In silenzio, quasi in punta di piedi, senza dire una sola parola.
Troppo timida anche solo per un “ciao”.
Appoggia a terra il suo zaino, i vestiti bagnati dalla pioggia.
Incrociamo lo sguardo per un secondo.
Un sorriso. Anzi, il sorriso.
I suoi occhi sono in viaggio e hanno giá visto tutto.
E in quell’esatto secondo, sono volato più lontano di quanto non sia mai stato in questo splendido giro del mondo.
In quell’esatto secondo, l’ultimo pezzo del puzzle è finito al suo posto, mostrandomi l’immagine più bella che abbia mai avuto la fortuna di ammirare.
In quell’esatto secondo ho capito che niente sarebbe mai stato più lo stesso.”
No, non sono parole scritte da me.
Oggi io ero a camminare, qui, sotto zero, per svariati chilometri e con diversi tipi di pensieri che si arrovellavano nella mia testa.
Questo pezzo è tratto da un libro.
Un libro che non è ancora compiuto.
O che forse, con oggi, lo è.
Un libro che non vedo l’ora di leggere.
Di un amico per il quale non riesco a smettere di gioire, e che non vedo l’ora di poter riabbracciare.
Per chi già non seguisse Simone Piccini-wanderhang ed il suo enorme viaggio, l’invito è di farlo presto, e senza indugio: Wanderhang – viaggio dentro al mondo
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MAPPA DEI LUOGHI