Finiti i due mesi di Cina, ecco il tanto agognato passaggio verso il Sud-Est Asiatico.
Lasciatami alle spalle una delle Nazioni più estese del mondo, una volta giunto al confine di Boten credevo che la terra che mi si parava davanti sarebbe stata corta, semplice e avara di sorprese.
Ebbene, mai sensazione fu tanto sbagliata.
Il 15 Dicembre mettevo piede per la prima volta in un Paese di cui non sapevo nulla, di cui non ero in grado di immaginare nulla e che si sarebbe rivelato, per quasi un mese, giorno dopo giorno, una stupefacente e continua meraviglia: il Laos.
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15 Dicembre, confine Cina- Laos | Giorno 197 🇨🇳 – 🇱🇦
Dopo tutti i cinema per entrare in Russia, Mongolia e Cina, qui è stato tutto molto semplice e veloce.
Al blocco di confine di Boten, ti presenti, compili un modulo, paghi 35 dollari e, taac, 5 minuti dopo
hai il visto per 30 giorni.
Ho ufficialmente attaccato con un carrarmatino giallo il territorio che sul tavolo da Risiko confina col sud della Cina e si chiama Siam. Non c’è il caldo che mi aspettavo, ma certamente la storia cambierà presto.
Non ho idea di cosa mi aspetterà, ma le prime impressioni sono notevoli.
Anche se ad aspettarmi, dall’altra parte, come prima cosa, c’era un bosco in fiamme.
Iniziamo benissimo.

16 Dicembre, Luang Namtha (Laos) | Giorno 198 🇱🇦
Fin dal giorno in cui sono partito, la mia Brompton è stata una compagna di viaggio pressoché perfetta: mi ha scarrozzato per mezza Europa, ha viaggiato silenziosa con me sulla Transiberiana, mi ha permesso di scoprire, in completa autonomia, città Russe, valli Mongole e segreti Cinesi. Nelle ultime settimane, tuttavia, si è improvvisamente trasformata in un problema.
Difficile da spostare in Cina, vittima di 3 forature nel giro di pochi giorni
e lontana da facili fonti di approvvigionamento scorte.
Dopo l’ultima foratura ho anche pensato erroneamente di spedirla a casa e di continuare solo con uno zaino.
Avevo appena trascorso una splendida giornata sulle rive del Lago di Dali, dove mi ero fermato per cena, post tramonto. Sulla via del rientro, al buio, non scorgo una buca. Ruota secca in 10 secondi.
A 5 km dalla città di Dali e nel buio più assoluto, non passo di certo i 5 minuti più sereni della mia vita.
Mentre cammino alla volta dell’ostello, fermo un’auto mettendomi in mezzo alla strada. Una famiglia Cinese, pur non conoscendo una sola parola d’inglese, capisce il mio problema e si fa in quattro per accompagnarmi a destinazione, seguendo le mie semplice indicazioni digitali. Il morale leggermente risale.
Una volta rientrato in ostello, però, inizio a considerare la mia situazione:
– Pneumatico anteriore ormai quasi andato
– Camere d’aria di riserva = 0
– Negozi Brompton più vicini a Chengdu, Bangkok e Shanghai (come dire che sei a Milano e i negozi più vicini sono a Parigi, Berlino e Oslo)
– Possibilità di ordinare online quasi nulle (in Cina funzionano quasi solamente siti in Cinese, il mio visto scade fra 4 giorni e non posso di certo andare a Chengdu o attendere a Dali)
Decido di rimandare le preoccupazioni all’indomani, e subito dopo incontro 2 ragazzi olandesi e 3 ragazze francesi che mi invitano ad andare a bere una birra con loro.
“Scusate, ragazzi, ma non so se me la sento. Sono appena tornato e ho il morale abbastanza a terra. Credo che farò una doccia e poi andrò a dormire.” – rispondo affranto.
“Ok, no worries! Se cambi idea, sappi che noi saremo al Bad Monkey pub, 10 minuti a piedi da qui!” – la loro controrisposta.
A doccia finita mi sento più leggero.
Mi viene una smodata voglia di birra e mi ricordo che le ragazze francesi sono anche un bel vedere.
“Perché no?” – mi dico.
20 minuti dopo entro al Bad Monkey pub, ma dei 5 non c’è traccia. Non li rivedrò mai più.
La birra è comunque notevole e la musica live altrettanto, così mi fermo fino a mezzanotte.
Poco prima di andarmene come Cenerentola, un ragazzotto dai tratti caucasici in dread e giubbotto di pelle mi domanda, all’uscita del bar, da dove vengo. Non ho molta voglia di iniziare il solito discorso, soprattutto con uno a cui lì per lì non darei nemmeno un soldo, e rispondo svogliato. Il tizio, però, in breve tempo si dimostra estremamente simpatico, intelligente ed interessante.
Non capisco che età possa avere, ma si chiama Carl.
Dice di essere mezzo scozzese e mezzo giamaicano, di parlare cinese, vietnamita e laotiano e di essere il proprietario di 4 bar, di cui uno in Giamaica e 3 in Asia.
Il Bad Monkey é uno di questi.
Mi cade l’occhio sui poster all’ingresso ed in effetti scorgo lui ed il suo socio – un altro ragazzotto in dread e giubbotto di pelle – immortalati in una posa da Easy Riders con le loro motociclette argentate.
Ci scambiamo i numeri e mi dice di tornare l’indomani, perché la pizza del Bad Monkey merita e perché mi può aiutare con le camere d’aria.
“Nel pomeriggio, però. Non so quanta birra berrò stasera e quando mi sveglierò.” – mi avverte Carl.
Il giorno successivo, così, trascorro la mattina in un negozio di biciclette.
Con l’aiuto di Jeffrey – un cinese gentile e disponibile che chiaramente non si chiama Jeffrey (come dice lui), ma che parla inglese a sufficienza e quindi per me rimane Jeffrey – riesco a montare una camera d’aria nuova (seppur di misura diversa e quindi solo una soluzione provvisoria) e a riparare i buchi di quella vecchia.
Dopo le 3, poi, torno al Bad Monkey.
La pizza è realmente ottima e Carl è di parola: sfoggiando un’invidiabile padronanza del mandarino, ordina su TaoBao (il corrispettivo di Amazon) 4 camere d’aria con spedizione Express da Pechino.
“Dove le facciamo spedire, amico?”
“Dunque, Carl, domani salgo su un bus per Jinghong, ma non so dove alloggerò. Conosci qualche ostello da suggerirmi laggiù?”
“No, fratello. Ma ho un’amica che gestisce un bar a Jinghong. Le spediamo lì, che dici?”
“Ok, ma ce la si fa in 3 giorni? Voglio dire, la distanza Pechino – Jinghong è come quella che c’è tra Mosca e Roma … e il 15 Dicembre il mio visto scade.”
“No worries, mate. Sei in Cina. Qui nulla viene spedito in più di tre giorni. Neanche un ponte.”
Due giorni dopo – il 13 dicembre – sono ad ordinare un hamburger con patatine presso il MeiMei bar di Jinghong. Le 4 camere d’aria sono già arrivate. In meno di 30 ore ho una camera d’aria nuova di zecca già montata e ben 5 di riserva.
L’aiuto di poche persone ed il morale è di nuovo alle stelle.
Ed è così che la mia Brompton mi ha accompagnato prima in bus e poi in tuk tuk fino a Luang Namtha, in Laos, e oggi ha corso con me sulle prime strade laotiane di questo viaggio, dove bambini di una rara bellezza non hanno smesso un secondo di sorridermi e salutarmi come se fossi una sorta di Arcangelo Gabriele pelato.
Eccola, insomma, rediviva.
Il mio minuscolo Zeppelin su due ruote verso la libertà.
Il mio personale Bucefalo verde lime verso la conquista del Siam.
Domani tornerò a pedalare, verso Sud – Ovest.
180 km montuosi per raggiungere la città di Houayxay.
Non so se li chiuderò in 3 giorni o 2, ma non importa.
Sono eccitato e ho davvero voglia di cominciare.
In fondo, sono venuto fin qui per questo.
“Per pedalare in Cocincina!” – come dissi a mio nonno, pochi giorni prima di partire.
“Preparati a ballare, Alice, che da lì in avanti vedrai le Meraviglie vere!” – mi ha avvertito ieri un amico.
Io credo di essere pronto.
Spero soltanto non mi piovano in testa le Regine di Cuori.
O i maledetti Palmipedòni.
17 Dicembre, Vieng Phouka (Laos) | Giorno 199 🇱🇦
Ho dormito poco stanotte. Poco, e male.
Anche se sono in viaggio da tanto tempo, l’idea di riprendere ad andare in bicicletta in un paese nuovo e totalmente sconosciuto, non so come, ha tormentato il mio sonno.
Quando stamattina, verso le 9, ho iniziato a pedalare verso le montagne che circondano Luang Namtha, le mie gambe erano attanagliate dal freddo e dall’irrequietezza.
È vero che 180 km, in Ungheria, li feci in una giornata sola … ma il Laos non è l’Ungheria, e già ero certo che avrei dovuto spezzare la tappa fino a Houayxay (180 km, per l’appunto) almeno in due tranches.
E il solo pensiero, assurdamente, mi pesava.
Ma dovevo ancora iniziare.
Dovevo ancora sperimentare le salite laotiane, quelle che ti inchiodano al suolo
e ti obbligano a scendere e spingere sui piedi.
Dovevo ancora incontrare Tim, un britannico di Manchester in giro da anni con la sua bici, che mi ha ricordato che il bello del viaggiare su due ruote è “prendersela con calma, seguendo il proprio ritmo e l’istinto”.
Dovevo ancora imbattermi in un villaggio dove mi sono fermato a far giocare dei bambini con la mia bici.
Dovevo ancora trovare un fiume dove ho voluto all’istante buttarmi, che si sa che a certe cose non resisto.
Dovevo ancora uscire dal fiume e scorgere 5 ragazzi, seduti all’ombra a pochi metri da dove mi ero gettato, intenti a fotografarmi, a spennare una papera e a preparare un picnic, invitandomi a stare con loro un paio d’ore.
Dovevo ancora concedermi una pennica al sole per recuperare dalla birra offerta, mentre persone di ogni età venivano a lavarsi al fiume.
Dovevo ancora ripartire lentamente, su strade immerse nella giungla dove il traffico è 10 volte inferiore il numero degli animali e 100 volte il numero dei “ciao” e dei sorrisi dei bambini.
Dovevo arrivare al villaggio di Vieng Phouka ben più tardi del previsto, e decidere di restare in una piccola stanza / capanna di una Guesthouse in attesa della notte.
E dovevo ancora incamminarmi per il villaggio ed essere sfidato a calcio da una ventina di ragazzini locali, che si sa che a certe cose non resisto.
Non 180, né 120 e nemmeno 90 chilometri.
Soltanto 60.
Ma tanti sono bastati per far sì che le mie gambe abbiano smesso di tremare, e per farmi già comprendere fino in fondo quanto sia meraviglioso questo paese.
18 Dicembre, Houayxay (Laos) | Giorno 200 🇱🇦
Poi arriva il duecentesimo giorno, e, con esso, una grande sfida.122 chilometri mi separavano stamattina da Houayxay, e così ho deciso di sfidare il Laos.
E me stesso.
122 chilometri in cui ho contato.
Contato molto.
10 ore, di cui almeno 2 a spingere la bicicletta a piedi, su strade dalle pendenze con percentuali bulgare.
14 gran premi della montagna.
2 gran premi dell’Himalaya, tanto da farmi venire il male alle mani a furia di forzare sul manubrio in salita, e di strizzare sui freni per non finire giù dai dirupi in discesa.
3 coca cola, 2 polase, 1 mela, 2 banane, 20 biscotti, 50 patatine.
Una trentina di villaggi, tutti o quasi che iniziano con Ban o Phuong.
238 saluti con la mano da parte di bambini e persone di ogni età (sì, li ho contati … dovevo tenere la mente impegnata, in qualche modo, per non crollare).
Un unico sole, che mi ha bruciato le spalle a tratti durante il giorno, ma che alla fine, andandosene, mi ha regalato vedute di un paese che credevo di poter sognare soltanto nelle fiabe.
Centinaia di montagne, un fiume solo: il Mekong, ancora, mentre chiudevo l’ultima ora sommerso dal buio e le luci riflesse sull’acqua mi facevano la ola.
Morale: ha vinto il Laos, spudoratamente.
La strada, oggi, mi ha annientato.
Ma non ho perduto, perché, anche se ho alzato il livello in maniera spropositata
e l’ho patito oltremodo, ce l’ho fatta.
Sono troppo stanco per gioire ora, ma ce l’ho fatta.
In 33 anni, uno dei giorni fisicamente più duri e complicati che abbia mai vissuto.
Ma anche uno dei più appaganti.
PS: la foto da ganzo era dopo il primo gran premio dell’Himalaya, prima che ancora scoprissi che cosa mi riservasse la giornata (non mi scatto un selfie ora perché sembro Giancarlo Magalli. Invecchiato.)
PS2: domani svengo su una barca.
19 Dicembre, Pakbeng (Laos) | Giorno 201 🇱🇦
Svegliarsi nelle nubi e nella nebbia.
Raggiungere il porticciolo di Houayxay per impacchettare la bici sul tetto di una barca di legno.
Trascorrere una giornata intera navigando il Mekong.
Rimanere inebetito fino al tramonto, giunto al villaggio di Pakbeng.
Potrei scrivere di più, ma – come feci già lo scorso anno per Kofounissi – oggi lascerò che sia qualche immagine a parlare per me.
Anche perché domani ci sarà la seconda tratta.
Una seconda giornata sul Mekong.
Fino a Luang Prabang.
20 Dicembre, sul Mekong (Laos) | Giorno 202 🇱🇦
SABEYDEE.
Dicono così, in questa terra.
Sono in Laos solo da 5 giorni ma lo ho già sentito centinaia di volte.
Suona dolce, fresco, soave.
SABEYDEE.
Qualcuno mi ha rivelato che si può tradurre in diversi modi, in base alla tonalità della voce e all’espressione di chi lo pronuncia.
“Ciao!”, “Benvenuto!”, o “Buon Viaggio!” i più gettonati.
SABEYDEE.
I bambini, però, ridono, quando me lo dicono.
Ridono davvero tanto.
Quindi ho iniziato a pensare che possa volere dire qualcosa tipo “Che buffa la tua bicicletta!”, “Ti facevamo più forte a pallone, pagliaccio!”,
oppure anche … “Ma dove cazzo guardi?!”
SABEYDEE.

VIDEO
Second day floating on the river.
Mekong in slow slow slow … very slow motion !
21 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 203 🇱🇦
Dopo 2 giorni di bicicletta e 2 di barca, oggi ho scelto di far poco altro che camminare.
In lungo ed in largo, per Luang Prabang. La meravigliosa Luang Prabang, aggiungerei.
Dopo le “poco battute” Russia, Mongolia e Cina, tuttavia, devo iniziare seriamente ad ammettere di essere arrivato in una delle zone più turistiche del mondo.
Quando sono arrivato in cima alla Phou Si Mountain per osservare il tramonto dal punto più alto della città – aspettandomi di essere assieme soltanto a pochi monaci ed essendo invece finito in una sorta di Oia (Santorini) laotiana – ne ho avuto, stupito, la definitiva conferma.
Fortuna che … ho una bicicletta.
22 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 204 🇱🇦
VIDEO
This place needs to be shown …
In genere non sarei così stupido da fare 30 chilometri di colline al sole in bicicletta, soltanto per andare a vedere una cascata, sapendo che poi dovrei pure rifarli per tornare indietro.
Sarebbe proprio da scemi, voglio dire.
Però fortuna che oggi mi sono svegliato col desiderio di passare la giornata proprio come un perfetto idiota.
23 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 205 🇱🇦
Anche se piccola e affollata (proprio perché piccola), sono contento di aver scelto di rimanere a Luang Prabang in previsione del Natale e della nostalgia di casa che probabilmente avvertirò.
Il motivo, tuttavia, mi è obiettivamente incomprensibile.
Forse.
24 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 206 🇱🇦
Oggi è la Vigilia di Natale, e l’ho trascorsa pedalando per le valli vicine a Luang Prabang, in Laos, fino ad avventurarmi alla scoperta di un’altra meraviglia naturale che mai avrei pensato
di poter vedere in vita mia: le cascate di Tad Sae.
Potrei scrivere un nuovo post gonfio di fotografie piacevoli ed interessanti, ma, una volta tornato in ostello, ora che è buio, un poco di malinconia è arrivata.
E’ la Vigilia di Natale, ed in questo momento mi piace pensare a come vorrei trascorrere un pomeriggio coi miei amici, oppure facendo visita a parenti, oppure abbozzando qualche acquisto dell’ultimo minuto per veder sorridere i miei nipoti o qualcuno dei miei cari, aspettando una serata con la mia famiglia e tutte le fortune culinarie e sentimentali che mi circonderebbero nei prossimi giorni.
Probabilmente, invece, questa sera andrò a bere qualcosa in compagnia di alcuni amici incontrati oggi, e magari a cercare una pizzeria o ristorante Italiano di questa bella città, in previsione del pranzo che vorrò concedermi domani, come tradizione di Natale.
Ma difficilmente la malinconia se ne andrà.
Penso all’anno che si sta per chiudere, ed ai 7 mesi di viaggio
che già – sembra incredibile – mi stanno alle spalle.
Ne vedo tante, di meraviglie.
Ne vedo tanti, di incontri e scenari memorabili.
Ne vedo tante di fortune culinarie e sentimentali.
Ma non è pensando a questo che la malinconia se ne va.
E allora ripenso a quella che è stata forse l’unica cosa davvero buona che ho fatto recentemente, e provo a riviverla andando a rileggere quello che scrissi pochi giorni dopo aver visitato l’ospedale pediatrico Marie Curie di Bucharest, grazie all’aiuto di Inima Copiilor, Bambini Cardiopatici nel Mondo – A.I.C.I. Onlus, Susanna Rossi ed Il Cuore Di Giampy.
Chi mi sta seguendo da tempo, sa già di che cosa parlo.
Per chi se lo fosse perduto o volesse a sua volta andare a rileggere quel bizzarro racconto di Luglio, può farlo qui: http://bicicladi.com/it/blog/2016/07/19/sogno-possibile-adi/
Ho seguito il link che indicavo alla fine dell’articolo, fino al pulsante “DONA ORA” (http://www.bambinicardiopatici.it/dona-ora) che rimanda alla foto di un bambino col cuore in mano.
Non ho certamente salvato il mondo, e probabilmente neanche un bambino.
Oppure, invece, forse, sì.
E, per inciso, la malinconia se ne è pure andata.
25 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 207 🇱🇦
Potevo scegliere un posto migliore.
Potevo evitare di avere delle scarpe come sfondo.
Potevo modificare la foto, utilizzando un effetto vintage o “aggiusta la sfiga”.
Potevo mettermi un maglione diverso.
Potevo indossare un cappello rosso.
Potevo anche aspettare di svegliarmi del tutto (ho avuto una nottata difficile a furia di sognare crema al mascarpone).
Ma poi ho pensato: “È Natale … chissenefrega!”
Auguri a tutti, dal Laos.
Faccia da Triglia

26 Dicembre, Phonsavan (Laos) | Giorno 208 🇱🇦
Dopo 5 giorni trascorsi nel Presepe luccicante di una bellissima Luang Prabang; dopo aver fatto il pieno di monaci, Mekong, colori, fiori, birre e viaggiatori di ogni tipo; dopo aver trascorso il giorno di Natale più in posizione orizzontale che verticale, oggi, a Santo Stefano, invece di pranzare a base di avanzi di ieri … ho deciso di ripartire.
Il Nord ed il Centro del Laos sono estremamente montuosi – come ebbi prova di constatare sul mio fisico pochi giorni fa – così ho deciso di lasciare il più pianeggiante Sud alle ruote della mia bici per dopo Capodanno e di spingermi con un autobus verso la totalmente sconosciuta cittadina di Phonsavan. Per raggiungerla ci sono volute più di 8 ore di valli, montagne e villaggi di legno.
Sono arrivato poco prima che facesse buio, quindi avrò modo di scoprire perché ci sono venuto soltanto domani.
Stanco ed aggrovigliato dal viaggio, però, ho voluto prendere subito la bicicletta e, come sempre, ho cercato di raggiungere il punto più alto della città (una manciata di chilometri dalla Guesthouse dove alloggio, come spiegatomi dalla gentile padrona).
Una volta in cima al monte di Phou Xang, ho avuto un deja-vu.
Di fronte a me si apriva uno scenario degno della Val d’Orcia e di tutti quei luoghi che mi accingevo ad attraversare esattamente un anno fa, insieme al mio amico Davide, e poi Roberto e Giovanni.
Vedevo Montalcino, San Quirico, Bagno a Vignoni e poi ancora Castiglione e i Bagni di San Filippo.
Mi aspettavo di scorgere, da un momento all’altro, la torre imponente di Radicofani e quindi i languidi declivi verdi fino ad Acquapendente ed il lago di Bolsena.
Per un attimo, mi è sembrato anche di respirare aria di Chianti e finocchiona.
Poi, però, ho udito il barrito di un elefante.
Sí, il barrito di un elefante.
Di colpo ho riaperto gli occhi, e mi sono ricordato di essere a Phonsavan.
Nella totalmente sconosciuta cittadina di Phonsavan, in Laos.
Ma l’incanto per quello che riuscivo a vedere, ugualmente, non se ne è più andato.
27 Dicembre, Phonsavan (Laos) | Giorno 209 🇱🇦
La Piana delle Giare.
Ecco perché sono venuto a Phonsavan.
Datate intorno al 500 a.C., durante l’Età del Ferro, si tratta di centinaia di rocce scavate a mo’ di Giare giganti che dormono da millenni sopra questo altipiano (oltre 1100 metri s.l.m.) del Laos Centrale, terra di passaggio – da sempre – per le carovane dirette dal Golfo del Tonchino all’Asia centrale.
Urne cinerarie, contenitori per vivande o acqua piovana, coppe di Re mitologici … non è dato sapere con esattezza a che cosa servissero o che cosa rappresentino.
Tuttavia rimane uno dei siti archeologici più importanti di tutto il Sud – Est Asiatico.
Ero curioso, e così ci sono venuto.
Sarà che mi sono svegliato con la febbre.
Sarà che ho cercato di vincere la spossatezza e il dolore alle ossa con tachipirina e 15 km di bicicletta.
Sarà che, quando sono arrivato, ho trovato un luogo pressoché desolato, di rara suggestione, abitato soltanto da spighe, alberi e vento (oltre alle Giare, naturalmente).
Sarà che ho camminato a caso per oltre un’ora, lento come un bradipo, in un’area poco più grande di un campo da calcio, terminando sfinito.
Ma, per me, la Piana delle Giare, vicino a Phonsavan, nel Laos Centrale, è uno dei luoghi migliori che esistano al mondo per … schiacciare un’archeologica pennica.
28 Dicembre, Vientiane (Laos) | Giorno 210 🇱🇦
La cosa buffa delle città del Laos (almeno quelle in cui sono passato finora) è che le stazioni degli autobus si trovano sempre tra i 5 e i 15 km dal centro della città in cui sei diretto. Anche quando prendi autobus che percorrono centinaia di chilometri per portarti dal punto A al punto B. Come dire che sei a Roma e devi andare in centro a Milano, e l’autobus ti porta soltanto fino a Rho. O a Melegnano.
Il resto … fatti tuoi. Grandi affari per i tuk tuk, ovviamente.
Inutile dire che tutto questo non mi dispiaccia.
Mi gaso smodatamente ogni volta che “spiego” la mia bicicletta, in pochi secondi, di fronte agli sguardi ignari ed ai sorrisi di colpo stupiti di chi mi offre un passaggio per qualche dollaro e che poi, sfrontatamente, anche dopo aver ricevuto un secco rifiuto, mi dà lo stesso una pacca sulla schiena e mi augura buon viaggio.
Ed è così che, senza troppo inganno (o quasi), posso dire che, al compimento del settimo mese di viaggio, dopo Lubiana, Zagabria, Sarajevo, Belgrado, Sofia, Bucharest, Budapest, Bratislava, Praga, Varsavia, Vilnius, Riga, Tallinn, Mosca, Ulaanbaatar e Pechino, sono ufficialmente entrato nella diciassettesima capitale di questo viaggio.
Vientiane.
E l’ho fatto in sella a una bicicletta.
Con una maglietta della Beretta, tra l’altro.

29 Dicembre, Vientiane (Laos) | Giorno 211 🇱🇦
Una giornata all’insegna della pigrizia e dell’ignavia più totali, trascorsa un poco in bicicletta ed un poco a pensare quale direzione prendere nelle prossime settimane.
Complice un gran caldo ed una città che, pur essendo una capitale, mi è parsa meno interessante di Cantù o di San Colombano al Lambro, ho combinato davvero poco.
Credo di aver scattato meno di 5 fotografie.
Eccone una.
Vientiane sarà anche una città bruttina – almeno così mi è sembrata – ma si affaccia pur sempre sul Mekong (sì, ancora lui) e sulla Thailandia (al di là del fiume) … e, alla fine della giornata, ho scoperto che è in grado di regalare momenti per cui vale la pena fermare qualsiasi cosa si stia facendo e guardare verso Ovest, nella più totale pigra contemplazione.
Così come fa chi in questo luogo è nato e da cui probabilmente non se ne è nemmeno mai andato.
Da sempre.

30 Dicembre, Vientiane (Laos) | Giorno 212 🇱🇦 – VIDEO
Night bus numero 9999 Vientiane – Paksé.
Cuccette numero 37 e 38.
Le prossime 10 ore a dormire … accoccolato ad un Lao.
E lui a dormire accoccolato ad un … PirLao.
La grande bellezza.
31 Dicembre, Pakse (Laos) | Giorno 213 🇱🇦
Un anno ed un giorno fa esatti ero di fronte ad un incredibile tramonto sul Lago di Bolsena.
Mentre ero seduto a pochi passi dall’acqua, al cospetto di uno degli spettacoli più belli che avessi (e tutt’ora abbia) mai visto, e mentre il mio amico Davide mi scattava una foto, ricordo che nel mio inconscio mi auguravo che il 2016 potesse portarmi molti altri momenti simili, di reale felicità e completezza.
Degni di essere vissuti, avrei detto una volta.
Oggi, a Pakse, nel Sud del Laos, ho atteso un nuovo incredibile tramonto.
Tanti, tantissimi, da che son partito.
Mai avrei creduto di poterne osservare così tanti – e di così diversi – in vita mia.
Duecentotredici, per la precisione.
Poi però ho pensato a tutto quello che ho dovuto mettere in gioco – e rischiare – per raggiungere questo piccolo, effimero, traguardo.
A tutto quello di cui mi sono privato.
Lo sguardo di un genitore.
L’abbraccio di un nonno, di uno zio, di un cugino.
Il tempo di un amico.
Il sorriso di una sorella.
La risata di un nipote.
La corsa di un cane.
L’incitamento di un collega.
Il bacio di una persona che vuole starti a fianco.
La fatica e la soddisfazione di un lavoro.
L’impegno di una vita semplice, e normale.
E ho capito ancora una volta che, obiettivamente, non serve attendere un tramonto o essere in viaggio da duecentotredici giorni per essere felici, sentirsi completi e vivere momenti “degni di essere vissuti”.
Ogni istante è in grado di esserlo.
Ogni singolo istante, di ogni singola vita.
Forse basta solamente tenere gli occhi aperti, qualsiasi cosa succeda
e qualsiasi evento la vita riservi per il futuro.
Tenerli aperti e, al contempo, guardare col cuore.
Ogni, singolo, istante.
È questo il mio augurio per il 2017.
Per me, e per tutti voi.
MAPPA DEI LUOGHI
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