8 Dicembre, Shaxi (Cina) | Giorno 190 🇨🇳
Non sono solito raccontare per filo e per segno la cronistoria delle mie giornate
(lo reputo noioso e per me e per chi mi legge), ma oggi è doveroso fare un’eccezione.
Quello che seguirà potrà sembrare frutto della mia fantasia, tuttavia nulla di ciò che qui scrivo è inventato.
Una giornata surreale, tra sogno e realtà, che serberò per sempre nei miei ricordi più belli.
Di questo viaggio, e della mia vita.
Avevo scelto di rimanere un giorno in più a Shaxi, perché mi piace davvero molto, e così ho fatto.
Non volevo poltrire, per ore, come ieri, perciò ho domandato ai ragazzi dell’ostello
che cosa potessi fare per impegnare la giornata al meglio.
Mi hanno suggerito di andare a visitare il Shibaoshan, un complesso di templi buddisti, sculture di roccia e grotte imperiali risalenti a oltre 13 secoli fa.
Con un autobus locale avrei potuto raggiungere l’ingresso ed il primo tempio, e poi camminare o prendere un altro autobus per scoprire i 9 km di attrazioni storico-geografiche del luogo.
“Se vuoi, però, puoi anche partire a piedi da qui e raggiungere il Tempio di Shizhongin poche ore di camminata. È l’ultimo che incontreresti sul circuito classico ed è anche il più bello. Esiste un sentiero che va indietro di secoli che si inerpica su per le montagne qui a lato di Shaxi. Quasi nessuno lo percorre più ed eviteresti anche di pagare il biglietto, visto che planeresti da dietro.” – hanno poi aggiunto, quasi come se mi stessero svelando un segreto.
“Non mi importa dei 65 Yuan del biglietto – ho risposto – anche perché, se voglio visitare le grotte, immagino che ci sarà comunque da pagare. Ma, sì, preferisco camminare. Preferisco guadagnarmelo con le mie forze, il traguardo. Qualsiasi esso sia.”
Così sono partito verso le 10, mentre il villaggio ancora si accendeva lentamente ed io suscitavo l’ilarità generale dei commercianti locali, attanagliati dal freddo nei loro negozi all’aperto, vestito com’ero soltanto con calzoncini, maglietta ed immancabile berretto di lana.
Dopo circa un’ora di strada asfaltata devio per il villaggio di Shadeng e raggiungo l’imbocco di una valletta ancora in parte adombrata.
Non sono sicuro di aver preso la direzione giusta, ma due signore anziane cariche sulla schiena di chili di legna mi sorridono e mi fanno cenno di continuare, che la strada è quella giusta.
Un cane bianco, stranamente solitario, trotterella insieme a me per dieci minuti, quasi volesse accompagnarmi per il primo tratto e rassicurarmi.
Lo assecondo e ci gioco assieme, fino a quando avvisto il Tempio Rosso – il primo dei punti di riferimento indicatimi dai ragazzi dell’ostello – e mi tranquillizzo: il sentiero è davvero quello giusto.
Iniziano due ore di duro trekking, tra ponti di legno, centinaia di gradini, percorsi fangosi e rocciosi, sole accecante, sterpaglie, dubbi ed estrema, quasi angosciante, solitudine.
Ma sono circondato da silenzio e meraviglia, e non ho intenzione di fermarmi.
Le signore con la legnaTempio RossoGradini sulle montagne
Raggiungo la vetta della montagna, ed il sentiero continua su un pianoro che mi conduce al Tempio di Shizhong.
Lo osservo dall’alto, estasiato, mentre una lieve musica al flauto giunge alle mie orecchie.
Contemplo lo spazio, mi disseto e scatto qualche fotografia, prima di scendere altre gradinate e cercare l’entrata del tempio.
Tempio di Shizhong (dall’alto)
Quando mi affaccio sulla corte d’ingresso è l’una in punto, ed il sole staglia a picco sulla mia testa.
Non vedo nessuno oltre a me, a parte i 4 uomini che lavorano al tempio, come guide o inservienti, nascosti in qualche zona d’ombra e ognuno di loro intento a migliorare la propria arte.
Il primo sta sottolineando un libro.
Il secondo sta suonando un flauto.
Il terzo sta innaffiando dei fiori.
Il quarto sta dipingendo caratteri cinesi, con un pennello, su un tavolo da ping pong.
L’ingresso del Tempio
Li saluto, mentre mi avvicino alla panchina dove due di loro sono seduti.
Ho fame e sono abbastanza stanco.
Non c’è nemmeno un rumore.
Solo il canto di alcuni uccelli, il suono del vento tra le piante ed il sussulto delle foglie che cadono.
Jinliang – così si chiama il primo dei quattro uomini – appoggia di lato il suo libro ed inizia a parlarmi.
Sta studiando inglese e mi è chiaro che voglia esercitare la lingua, cercando magari di allentare la noia di una giornata a quanto pare insolitamente soporifera.
“Sai, in alta stagione in questo tempio arrivano fino a 2000 visitatori al giorno – mi rivela, mentre mi offre del tè e dei biscotti – ma oggi tu sei il primo. È strano. Da dove vieni? Ti va di parlare un po’? Se vuoi ti accompagno anche a vedere le grotte, non importa se non hai il biglietto. Mi farebbe piacere, e poi così posso esercitare il mio inglese.”
“Certamente! Sarebbe un onore.” – confesso, mentre mi aggiro per la corte, tè in mano, e studio affascinato i movimenti del quarto uomo sul tavolo da ping pong.
Scrittura Cinese
“Ti piace l’arte di scrittura cinese?” – mi domanda quest’ultimo.
“Non ne so nulla, ma mi incuriosisce molto. Si vede che per te è come dipingere. Cosa stai scrivendo?” – ribatto, assorto nei suoi gesti.
“Una Poesia Cinese. Mi rilassa molto scrivere. I giovani non lo fanno più, perché al principio è noioso, ma quando ti impossessi dell’arte è quasi meglio della musica. Sono contento che ti piaccia.” – chiude corto, vedendo che Jinliang mi sta aspettando per incominciare il tour privato.
Lo raggiungo, e lui mi scorta per più di mezz’ora in ogni angolo del tempio, raccontandomi di dinastie, credenze cinesi, minoranze etniche, dèi buddisti e bodhisattva vari, soffermandosi ogni volta a leggere insieme a me le didascalie in inglese.
Gli faccio i complimenti per il livello della sua lingua – senz’altro molto superiore alla media cinese – e lo ringrazio di cuore, alla fine delle spiegazioni.
Bodhisattva
Quando torniamo dove eravamo partiti, scorgo che Yun Xin – così si chiama lo “scrittore” – mi sta attendendo per mostrarmi un lavoro su carta che vuole completare per me, come regalo.
In un minuto di gesti magici termina una piccola, semplice opera che per me ha i tratti di una gemma.
Gli chiedo che cosa c’è scritto.
“Un’altra Poesia. Recita così: PIANTI IL SALICE PER VEDERE CRESCERE. PIANTI IL PINO PER NUTRIRE IL QI, E TE STESSO.
Spero ti piaccia.” – mi spiazza.
Gli assicuro, con sincerità, che “È uno dei regali più inaspettati e generosi che abbia mai ricevuto” e lo ringrazio sentitamente, mentre torno a sedermi su una roccia riscaldata dal sole.
Jinliang ha ripreso a sottolineare il suo libro, Yun Xin a scrivere sul tavolo da ping pong.
Gli altri due non proferiscono verbo, ma non hanno mai smesso l’uno di prendersi cura dei fiori e l’altro di suonare il flauto.
La musica del Flauto
Guardo il cielo, ascolto il vento e tendo le orecchie verso l’esterno.
Inspiro.
Chiudo gli occhi e, per un attimo, succede.
Il mondo si ferma, ed io con lui.
Non so esattamente che cosa sia successo, ma per alcuni brevi momenti ho respirato una sensazione di completa beatitudine che forse mai mi aveva toccato prima.
Così vicino ad intendere una spiegazione.
Così vicino a comprendere il perché delle cose.
Il Tempio di Shizhong
Poi sorseggio ancora una tazza di tè e mi alzo, facendo per andarmene.
“Puoi prendere un bus da qui e arrivare all’altro tempio – mi dice Jinliang – oppure prenderne un altro e tornare a Shaxi.”
Ma gli rispondo che “per oggi credo di aver ricevuto molto di più di quanto fosse lecito chiedere. Non potrei desiderare altro, e preferisco tornare da dove sono venuto, soltanto con le mie forze, e ripercorrere il sentiero che mi ha condotto, oltre ogni mia aspettativa, ad assaporare alcune delle emozioni più piacevoli e profonde che abbia mai percepito.”
Il sentiero di rientro, per quanto sia lo stesso della mattinata, ora mi sembra diverso.
Le stesse gradinate, le stesse sterpaglie, gli stessi percorsi rocciosi e fangosi, lo stesso sole accecante.
Anche la solitudine è la stessa, ma non è più estrema e tanto meno angosciante.
La stessa via, eppure nuova.
Ci impiego forse un’ora, forse due.
Sinceramente non lo so.
Giunto in fondo alla valle, cerco ancora il cane bianco.
Non si presenta.
Al posto suo, scoiattoli e uccelli che non saprei definire.
la Via di un Sogno?Il ritorno
Poco prima di riabbracciare la strada di cemento mi imbatto in un gruppo di ragazzi.
Sono in 5, seduti al bordo di un ponte a bere birra, fumare sigarette e giocare a carte.
Mi invitano a stappare una Dali.
Li accontento. Mi accontento.
Resto insieme a loro per un poco, senza riuscire a capire una sola parola, ma riempiendomi di risate, brindisi e sorsate virulente.
Non so più che ora sia, ma non me lo domando.
Prima di salutarli, mentre il sole cala ed il freddo comincia a farmi tremare, mi accorgo che ci sono decine di bottiglie vuote sparse sul terreno.
Le raccolgo una ad una e riempio una delle casse dei ragazzi.
La porto via con me.
Dopo aver tanto ricevuto, oggi, il minimo che possa fare è dare indietro qualcosa e il semplice ripulire pochi metri di campo mi fa sentire meglio.
Brindisi con un gruppo di ragazzi
Cammino ancora, fino a raggiungere la strada principale verso Shaxi.
Non sento pesi di alcun genere ed il mio passo è veloce e leggero.
I brividi sono spariti.
Un piccolo carretto a motore si affianca a me e due nuovi ragazzi mi fanno cenno di salire.
Non avverto fatica, ma accetto.
Mi lasciano di fronte a casa loro, dove poso la cassa piena di carcasse di vetro, che qualcuno l’indomani verrà a ripulire.
Passaggio in motoretta
Quante ore sono trascorse?
Non ne ho idea.
Le luci sono basse ormai.
Potrebbe essere il tramonto, così come una nuova alba.
Sono sereno, nulla potrebbe toccarmi.
Il giorno è quasi terminato, ed io non so più se lo ho vissuto davvero o se invece mi sono avventurato in un sogno dal quale non sarò più in grado di uscire.
Il mondo ha ripreso a girare, ed io con esso.
Devo iniziare a scrivere, per credere che tutto sia accaduto davvero.
Prima di farlo, però, mi guardo le mani, e mi accorgo che qualcosa è ancora lì a ricordarmi che, sì, è stato tutto reale.
Qualcosa che risplende anche al buio della notte, e sempre risplenderà.
1 Comment