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In Viaggio con una Bici Pieghevole
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FULL CIRCLE (Aprile 2019)

Novembre 29, 2019 2110 Views

A quasi un anno e mezzo di distanza dall’aver lasciato la mia bicicletta a Istanbul ed essere ritornato a casa, il 29 Marzo 2019 ripartivo alla volta della Turchia con la speranza di riuscire a chiudere quel cerchio che avevo iniziato ancora nel lontano Giugno 2016 …


◀ La Ri-ri-partenza ▶
Tutte le volte, la stessa storia.

[ 29 Marzo 2019 – Aeroporto di Bergamo ]

◀ Giorno 444 | 1° della ri-ri-partenza 🇹🇷 ▶
Ok, sono ancora scombussolato, confuso, spaesato. Non è ancora il momento di riprendere a parlare del mio viaggio, quindi, almeno per oggi, parlerò di quello di un altro.

Quando Daniele mi scrisse per la prima volta, io stavo percorrendo il rientro sulla Via della Seta. Mi contattò su Facebook, spiegandomi quanto il viaggio che avevo intrapreso – così come quello di diversi altri viaggiatori – lo aveva ispirato ed aiutato a far nascere in lui il suo progetto. Mi spiegò di essere un giovane antropologo campano, desideroso di promuovere un uso alternativo dei social attraverso un percorso che lo avrebbe portato da Napoli a Pechino. A piedi.

“Cosa, scusa? A piedi?!”, gli chiesi sbalordito.
“Sì. A piedi.”, ribadí conciso.
Lo considerai poco più di un idiota mezzo matto. “Un povero pirla”, come si dice a Milano.

Quando poi lo incontrai, una volta a casa, per presentarlo ad un amico che poteva aiutarlo col visto cinese e lui mi tempestò di domande e di dettagli su quello che voleva fare, scoprii una persona di una determinazione e gentilezza incredibili, che mi colpì molto e divenne amica all’istante. Non più idiota o povero pirla, ma comunque di certo matto. E non per metà, ma proprio tutto matto.

Il 1 Agosto scorso, mentre io rinascevo a Kos, Daniele partì da casa sua. A piedi, come aveva detto, e con uno zaino di 30 chili per di più. Otto mesi dopo è a Istanbul, dopo un lento cammino attraverso Italia ed Europa dell’est in cui ha raccontato storie di persone e culture come solo un animo colorato profondamente di poesia è in grado di fare (Vento della Seta).

Il cammino che ha ancora davanti a sé – Turchia, Caucaso, Asia Centrale e infine Cina – sembra infinito, e onestamente mi fa riconsiderare il mio modo di viaggiare come quello di un bimbo viziato o poco più.
Ma ognuno, del resto, ha il proprio modo di andare e l’importante, in fin dei conti, è semplicemente scegliere di non fermarsi mai … qualsiasi tipo di viaggio si decida di intraprendere.

Ora, comunque, tra un caffè turco ed un çay, lo sfiderò a scacchi. Così per vedere chi dei due è in realtà il povero pirla.
Probabilmente finirà patta.

[ 30 Marzo 2019 ] – Istanbul, Turchia. Kadiköy. 7 pm.

◀ Giorni 445/446 | 2 e 3 della ri-ri-partenza 🇹🇷 ▶
Conobbi Lara qualche anno fa, durante uno stop a Istanbul di poche ore, nel mezzo di una settimana di lavoro in crociera. Un incontro breve, da cui nacque però un’amicizia duratura.
Qualche tempo dopo, poi, iniziò il mio viaggio, che lei si trovò in parte a seguire attraverso le fotografie ed i racconti che condividevo. Così fece anche Lale, sua madre, dopo qualche tempo. Quando raggiunsi Istanbul, nel dicembre 2017, Lara era all’estero. Incontrai tuttavia Lale, per la prima volta, che mi coccoló come una mamma; mi preparó un ossobuco leggendario e, insieme al marito Suleyman, mi inondò di consigli e suggerimenti su Istanbul e la Turchia intera.
Fu a loro che lasciai la mia bicicletta, quel giorno, con l’idea di tornare dopo un mese o due.

Ieri – dopo quasi un anno e mezzo – ho avuto modo di riabbracciarla, così come la famiglia al completo. L’ossobuco è stato sostituito da un’ottima zuppa, accompagnata da un vino che mi ha riscaldato esattamente nel modo che mi serviva.
È passato molto più tempo di quanto immaginavo, eppure ho trovato tutto esattamente come lo avevo lasciato: la bici, il cibo, i sorrisi, gli abbracci.

Le energie sono ancora scarse, ma confido che possano arrivare presto.
La via di rientro verso casa ancora non mi è chiara, ma piano piano sta prendendo forma nella mia mente.
L’attesa è stata lunga, ma anche necessaria.
La mia famiglia turca, se non altro, avrà sempre la mia riconoscenza per aver reso tutto questo possibile.
Dire “Arrivederci!”, in questi casi, è quasi un obbligo. E invece oggi è un grande desiderio, e quanto mai anche un’assoluta certezza.

[ 31 Marzo e 1 Aprile 2019 ] – Istanbul, Turchia

◀ Giorno 447 | 4° della ri-ri-partenza 🇹🇷 ▶
Quattro giorni a Istanbul di completo letargo. Fa freddo, molto più di quanto mi aspettassi, ed ho sentito bisogno di tempo per ritrovare la dimensione del viaggio che avevo lasciato. Ci sono stati momenti in cui, a tratti, mi è sembrato un compito impossibile – come se avessi dimenticato come si fa – e così non mi sono mai mosso dalla parte asiatica della città. Placido nell’immobilità. Come se non mi sentissi ancora pronto ad attraversare il Bosforo e riportare la bici sul suolo europeo, dopo così tanto tempo, ed avessi bisogno di un evento, di una scossa. Ed eccola, la vita, arrivare a sorprendere ancora una volta.

Quando già iniziavo quasi a sentirmi troppo vecchio, o semplicemente cambiato, per questo tipo di vita, ecco che incontro Ray.
Spalanca la porta della camera d’ostello che condividiamo e mi saluta con un “Hi!” dall’accento inconfondibile.
Settantenne californiano, ex sceneggiatore ed allevatore di cavalli (nonché sviluppatore di percorsi ippoterapeuci), è in città da tre settimane. Arriva da Hanoi, andrà in Olanda e poi a Kiev, prima di iniziare il cammino di Santiago e probabilmente trascorrere l’Agosto in Scandinavia. Viaggia con uno zainetto e poco altro, sostenendosi con le entrate della sua pensione. Ha una figlia di 21 anni, dalla quale pensa di tornare a Novembre.

“È adulta ormai. Sono stato con lei finché non era in grado di spiccare il volo da sola, quindi ho ricominciato a viaggiare qualche tempo fa. Seguendo un po’ l’istinto e riconnettendomi con quelle persone che desidero rivedere.”, mi confessa.
“Che cosa studia tua figlia?”, gli chiedo.
“Non studia. Lavora. Non guadagna molto, ma le piace quello che fa e per me conta solo quello. E che sia gentile. Non c’è nulla di più importante nella vita che essere gentili.”

Pranziamo insieme, discutendo di società, consumismo, educazione, donne, modi di vivere ed essere felici. Non ho bene idea di come riesca a farlo, ma a furia di ascoltarlo mentre arrotola le parole col suo accento americano finisco per ritrovarmi con un sorriso stupito. Gli raccontò del perché sono qui, di quello che sto cercando di concludere, di come mi sento in contrasto. “È giusto che tu lo faccia”, mi rincuora. “Stai facendo quello che ti rende felice, e se non altro finirai quello che senti di dover finire per poi essere pronto a ricominciare qualcos’altro. Lo so che la società in cui viviamo ti dice di vivere in maniera completamente opposta e che alle volte ci si sente fuori luogo, ma noi siamo pirati e non possiamo fare altro che spiegare le nostre vele ed andare leggeri!”

Quindi lo conduco nel luogo di Kadikoy che preferisco – un bar/terrazza sopra il porto dove si può bere un ottimo tè, guardando la parte europea di Istanbul in lontananza ed i traghetti che vanno e vengono, ascoltando i gabbiani che volano tutto intorno – dove rimaniamo un poco in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, prima di salutarci.

“Sei mai stato sposato?”, mi domanda infine, forse vedendomi malinconico.
“Non ci sono mai andato neanche lontanamente vicino.”, rispondo sorridendo buffamente, mentre lo stringo per una spalla.
“Io sì, diverse volte. La prima, pensa, fu solo per poter andare via di casa. Dall’ultima separazione non ho voluto più uscire con nessuna donna, per oltre sei anni. Volevo essere solo un buon padre per mia figlia, ed è l’unica cosa a cui ho dedicato tutte le mie energie, per tanto tempo. Poi, però, arriva un momento per un uomo in cui manca l’affetto vero di una donna. Un abbraccio sincero ed una voce calda che ti dice che andrà tutto bene. Le donne hanno bisogno di qualcuno che le faccia sentire al sicuro, mentre noi di qualcuno che ci dica che comunque andrà tutto bene. Anche se adesso ci sono qui io a fianco a te, sei uno dei miei tanti eroi, sappilo.”, mi sbalordisce. “E, vedrai, andrà tutto bene.”, conclude quasi sfottendomi con una smorfia.
“Ecco, Ray … peccato che tu abbia la barba allora! Ma grazie davvero, Pirata. Tu non lo puoi sapere, ma mi hai regalato esattamente quello che stavo aspettando.”

Pochi minuti dopo ho comprato il biglietto per lasciare Istanbul. Con un autobus, tra poche ore.

[ 2 Aprile 2019 ] – Istanbul, Turchia. Kadikoy porto. 3 pm.

◀ Giorno 448 | 5° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
Al quinto giorno è ormai ufficiale: ho ripreso a macinare strada. In autobus, prima, per lasciare Istanbul ed entrare in Grecia; quindi in bicicletta, da Kavala verso Salonicco.
Le regole sono sempre le stesse e ormai fondamentalmente due: andare solo via terra (è permesso tutto, ma niente voli) e mai tornare indietro. Il tempo stavolta non sarà illimitato – devo essere a casa entro fine Aprile – ma reputo un mese circa più che sufficiente per chiudere sto benedetto cerchio.
Oggi sono tornato a pedalare con la Brompton carica; a tratti volavo ed a tratti mi sentivo come un fagotto fritto. Un buon pezzo verso Salonicco, con tanto di sosta in alcune terme abbandonate, è stato comunque fatto. Questa parte di Grecia è molto più spoglia e selvaggia di quella cui mi sono abituato nel corso degli anni; poco traffico, poca gente, estate ancora lontana. Stasera pertanto mi è toccato rispolverare la tenda, che poi tanto male non è. Poteva essere un poco più caldo e meno ventoso, ma poteva andare anche decisamente peggio.
Dietro di me, tra l’altro, c’è una taverna. Del buon vino bianco già mi attende. Gli chiederò un aiuto per scaldare le mie membra, stanotte. Così come chiederò poi al mare di cullarmi, ed ai miei sogni di portarmi via lontano. Ancora una volta.

[ 3 Aprile 2019 ] – Orfáni, Grecia. 7 pm.

◀ Giorno 449 | 6° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
L’ultima volta che mi sono svegliato in Grecia, lo facevo per volare via da Kos.
Questa terra, in qualche modo, è sempre stata importante per me. C’è sempre stata.
Bicicladi nacque qui ed anche la scorsa estate, seppur lavorativa, ha significato tanto.
La Grecia mi ha donato tutto ciò che un uomo possa desiderare avere nella vita, ed ogni volta ha rappresentato una rinascita.

L’ultima volta che mi sono svegliato in Grecia, sistemavo una valigia, ripulivo l’appartamento dove avevo vissuto per cinque mesi e salivo su un aereo, tenendo per mano una nuova luce.
Oggi mi risveglio nuovamente in questa terra; smonto la tenda, preparo lo zaino e salgo in sella ad una bicicletta. Verso Ovest. Verso Salonicco e poi verso casa.

La Grecia è il mio presente e ci sarà ancora, molto presto, nel mio futuro.
Quali e quante altre rinascite presenterà non lo posso sapere. Ma credo di indossare lo sguardo di un uomo che è desideroso di scoprirlo. Forse davvero per la prima volta.

[ 4 Aprile 2019 ] – Ofrinio, Grecia. 10 am.

◀ Giorno 450 | 7° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
Potevi arrivarci percorrendo una ventina di chilometri in piano e discesa, e invece no. Dietro il lago dove hai dormito ieri notte c’era una montagna. E allora perché non provare a scalarla, sbirciare Salonicco dall’alto e poi planare in picchiata dai pendii che la proteggono?
Tutto splendido, in teoria.
In pratica poi finisce che invece di una strada in salita trovi una parete, che spingi la bici a piedi come un asino per oltre un’ora e mezzo, che arrivi in cima e non c’è nulla, che il villaggio che si chiama Panorama di panoramico ha ben poco e che poi, quando entri a Salonicco, scopri anche che l’ostello che hai prenotato è in cima ad un’altra collina, proprio sotto al castello che domina la città.
Spingi ancora, asino!
E allora decidi che oggi rimani su, malmostoso, aggirandoti soltanto per la città vecchia. Salonicco bassa può aspettare. Per ora puoi anche soltanto guardarla dall’alto, con un po’ di musica nelle orecchie, una birra in mano ed un tappeto di glicine sopra la testa che, nonostante tutto, la fa già sembrare bellissima.

[ 5 Aprile 2019 ] – Salonicco, Grecia. 5 pm.

◀ Giorno 453 | 10° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
Dopo tre splendidi giorni di bici e campeggio nella Grecia del Nord, mi sono concesso tre giorni di relax fronte mare.
Alla scoperta di un nuovo luogo, in maniera lenta e blanda come piace a me.
Alla ricerca di persone con cui parlare oppure in completa solitudine, assorto nei miei silenzi.
Una bella città Salonicco, non c’è che dire; divisa tra un’incantevole zona vecchia sopra una collina ed una parte sul lungomare più rivolta al futuro. Nel complesso viva, energetica, vibrante. Ma anche abbastanza cara (almeno per il mio budget giornaliero) e poco fortunata, in questi giorni, dal lato meteo. Le previsioni, in aggiunta, danno pioggia e grigio come se fossi in Islanda.
Se restassi oltre, troppo sarebbe il tempo per pensare. Troppo lo spazio per le malinconie.
E così se è vero – ed a diritto – che Salonicco è considerata come la città più romantica della Grecia (cosa non da poco, direi), è anche vero che per me è giunto il momento di staccarmi dal suo tenero abbraccio. E di vedere che cosa mi aspetta un poco più in là, ancora più a Nord.

[ 8 Aprile 2019 ] – Salonicco, Grecia

◀ Giorno 456 | 13° della ri-ri-partenza 🇲🇰▶
Dopo tre giorni trascorsi a Skopje, oggi ho pensato che fosse arrivato finalmente il momento di parlare della Macedonia e della sua capitale; della dolcezza dei suoi abitanti, della stranezza della sua storia, della bontà della sua cucina oppure della bellezza delle sue montagne.

Poi, però, preso da un’indecifrabile urgenza di andarmene, ho raggiunto la stazione degli autobus e – così come generalmente faccio in casi come questo – ho scelto un luogo tra quelli che mi ispiravano di più e sono saltato a bordo di un mezzo che mi ha portato in un posto di cui non sapevo nulla.

Ho scoperto che alle volte, facendo così, può succedere di cascare in un sogno da cui è difficile riuscire a svegliarsi. Almeno fino a quando non si avverte la voglia di raccontarlo.

[ 11 Aprile 2019 ] – Ohrid, Nord Macedonia

Alcune ore nei dintorni di St. Jovan Kaneo, sul lago di Ohrid, in Macedonia.
Osservando la vita mentre accade.


◀ Giorno 463 | 20° della ri-ri-partenza 🇦🇱▶
Giunto a Tirana dopo aver lasciato Ohrid e la magia del suo lago, mi sono trovato di fronte ad un bivio: proseguire fino a Durazzo e da lì attraversare l’Adriatico, oppure continuare a Nord ancora nei Balcani. Due soli giorni per l’Albania mi sembravano troppo pochi, e così ho optato per la seconda opzione.

I 110 chilometri pedalati ieri, tra sterrati ed autostrade, mi hanno permesso di godere un poco di più di questo paese particolare e di raggiungere Shkodër, quasi al confine col Montenegro. A Shkodër vi sono un lago ed una fortezza antica, quindi mi sembrava il luogo adatto per riposare un giorno.

<<Visto che sei qui in bici, perché non fai un salto anche al Ponte di Mesi?>>, mi butta là Ani, la proprietaria dell’ostello. <<Merita. Sono solo 9 chilometri e non ci va quasi nessuno. Poi, volendo, puoi proseguire fino a Prekal, risalendo una valle per altri 20 chilometri. Il fiume diventa sempre più bello, metro dopo metro.>>

Mi dico che 9 chilometri basteranno, per oggi, e che il pomeriggio verrà speso per Shkodër prima di ripartire domani per il Montenegro.
Poi, però, una volta giunto al Ponte di Mesi, scopro che – per quanto affascinante sia – è sovrastato da una fabbrica e che qualcuno, alle sue spalle, sta bruciando copertoni e plastica.
Il fiume, tuttavia, sembra davvero splendido; ricordo le parole di Ani e così scelgo di pedalare ancora qualche metro, seguendo l’acqua. E poi ancora. E ancora. Metro dopo metro.

Ecco, io non so bene che cosa diavolo succeda nella mia testa quando decido di scombussolare tutti i miei programmi, di dedicare una giornata intera a raggiungere – tra salite, canyon, cascate, asini, polli, aratri e acque cristalline – un villaggio mai sentito nominare prima per lanciarmi semplicemente alla scoperta di una valle sperduta nel Nord dell’Albania dove non vanno neanche i locali.
Però sono felice che succeda.

[ 18 Aprile 2019 – Da Shkodër a Prekal (Albania). ]


◀ Giorno 464 | 21° della ri-ri-partenza 🇦🇱▶
Sono contento di aver scelto di dedicare due giorni in più all’Albania, per apprezzarla un poco più a fondo. Anche se ho la sensazione che neanche due mesi sarebbero mai abbastanza.
PS: datemi un posto con l’acqua ed io sarò felice.

[ 19 Aprile 2019 – Shkodër (Albania). ]


◀ Giorno 466 | 23° della ri-ri-partenza 🇲🇪▶
La Pasqua, così come il Natale, il Capodanno e le ricorrenze in generale, è uno di quei giorni in cui divento facile preda dei pensieri e delle malinconie. Come tanti, credo. È in giorni come questo che mi trovo a riflettere più approfonditamente – ma non per forza in maniera migliore – sulla mia vita. Sul mio passato, sulle mie scelte, sui miei desideri, sul mio futuro. Giornate in cui vorrei condividere quello che amo fare con qualcuno capace di accarezzarmi il cuore, oppure sedermi a tavola insieme ai miei cari, o ai miei amici.

Eppure, ancora una volta, ho scelto di essere in viaggio da solo; di essere in sella alla bicicletta già alle 8 di mattino, di pedalare una quarantina di chilometri, lungo la costa del Montenegro, e di raggiungere la cittadella di Budva, dove ho potuto godere di un po’ di mare e dove stasera brinderó ad un nuovo anno che è passato.
Un anno fa – ero in Nepal, allora – non avrei mai potuto prevedere tutto quello che la vita mi avrebbe riservato; nuovi incontri, nuove scoperte, nuovi errori, nuovi sentimenti, nuovi sogni, nuove esperienze, nuove perdite.

Qualcuno oggi mi ha chiesto se non mi dispiaccia essere da solo, in giorni come questo. Ebbene ho risposto di sì, che mi dispiace. Che mi manca molto la mia famiglia, e non soltanto quella. Ma anche che sono felice di essere ancora una volta sulla mia strada, e soprattutto di essere libero di percorrerla. Che è giusto che io sia qui, adesso, ed è giusto che sia da solo. Per chiudere quel cerchio iniziato ormai quasi tre anni fa e per essere cosí finalmente in grado di poter iniziarne un altro presto, qualsiasi esso sia. Per riuscire a portare a termine qualcosa, nella mia vita.

E per renderle onore, in fin dei conti, nell’unico modo che conosco: semplicemente cercando di essere grato per quello che mi è dato di avere qui, ed oggi. Esattamente come avrebbe fatto qualcuno che proprio oggi avrebbe compiuto 36 anni; qualcuno che mi sfotterebbe perché è tutto il giorno che canto Coez come un deficente, e che starebbe accordando la chitarra per intonare invece qualche pezzo dei Nirvana o dei Red Hot.
Qualcuno che, per quanto i miei occhi non siano più in grado di vederlo, sono sicuro che stia facendo precisamente così. Sorridendomi di rimando, anche da lassù.

[ 21 Aprile 2019 ] – Budva, Montenegro

◀ Giorno 467 | 24° della ri-ri-partenza 🇲🇪▶
“Vieri, ho visto che nella nuova programmazione quest’anno avete inserito anche Kotor! Ma com’è? Mi spieghi?”
“Oh, guarda, una piccola gemma! Sembra un fiordo norvegese, ma più caldo. La fortezza che la sovrasta è di una bellezza commovente. E la cittadella antica, poi, una bomboniera. Splendida, davvero, credimi!”

Per sette anni ho lavorato come promotore per una compagnia di crociere. Chissà quante volte mi sono trovato a decantare i tesori di questo luogo, senza sapere una beata fava di Kotor e conoscendo a malapena la posizione del Montenegro stesso.

Bene, è stato bello rivederti oggi, MSC Opera! Ed anche scoprire di non aver detto poi così tante panzane, in tutti quegli anni.

[ 22 Aprile 2019 ] – Kotor, Montenegro

◀ Giorno 469 | 26° della ri-ri-partenza 🇲🇪▶
Quando mi domandano come sono riuscito a fare tutto questo viaggio in sella ad una bicicletta pieghevole, a stento trattengo una risata. Immediatamente penso a tutti i veri cicloviaggiatori che conosco e per un attimo arrossisco di vergogna.
“No, no, aspetta!”, mi trovo sempre a rispondere, cercando di riparare in maniera sincera e credibile. “Non l’ho fatto IN bicicletta; è meglio dire CON una bicicletta!”
Chi viaggia in bici per davvero pedala in genere ogni giorno, dormendo spesso dove capita e sudando su terreni ed in condizioni meteo di ogni tipo. Io no, non l’ho mai fatto, e fondamentalmente ho scelto una pieghevole proprio per questo. Ho sempre alternato le due ruote a mezzi di ogni tipo, treni e bus per lo più. Una volta feci anche il calcolo, stabilendo che la bici era stata usata all’incirca per il 20% dei miei spostamenti, in Europa e Sud-est asiatico per lo più. Certo, poi l’ho usata molto per girare nelle città o nei dintorni dei luoghi dove mi fermavo, ma non ho mai attraversato deserti o passi incredibili solo con la forza delle mie gambe. In realtà non ho quasi mai attraversato nemmeno un paese (per intero, intendo). È capitato soltanto una volta, con l’Ungheria, nel lontano luglio 2016.
Fino ad oggi, però. Perché oggi posso finalmente dire di averne attraversato un altro. Lo so, non è un paese enorme come la Russia, o la Cina, o l’Iran. Eppure averlo fatto nel piccolo Montenegro per me significa molto. Così magari un giorno potrò raccontare ai miei nipoti di aver attraversato IN bici, e per intero, un paese dove – vuoi per la misura della mia Brompton e vuoi perché l’altezza media delle persone è di circa 1,90 – sono stato spesso scambiato per un hobbit. Con lo stesso nasone e sorriso di Bilbo Baggins che si avventura verso la montagna di Smaug, in uno dei miei ultimi giorni di viaggio CON la bici. E giusto poco prima di ritornare a casa, nella mia Contea.

[ 24 Aprile 2019 ] – Confine Montenegro – Croazia

◀ Giorno 473 | 30° della ri-ri-partenza 🇭🇷▶
Dopo tre giorni di dolce far niente sulla costa Dalmata e trenta esatti dalla data del mio arrivo a Istanbul, mi appresto finalmente a percorrere l’ultimo pezzo.
L’ultimo segmento di questo viaggio: quello verso casa, su suolo natio.
Lo farò dopo aver solcato le onde dell’Adriatico, un po’ novello Corto Maltese e un po’ Paperoga alla deriva.
Mi fa sorridere, a prescindere da tutto, il fatto che il battello che domattina mi farà risvegliare nuovamente in Italia porti il nome di Marko Polo.

“Che sistemazione desidera, signore: cabina, poltrona o posto ponte?”, mi ha domandato poco fa la bigliettaia della Jadrolinija.
“Posto ponte, grazie.”
Che stanotte non voglio altro che il mare, il mio sacco a pelo ed un cielo tempestato di stelle.
Di certo poi pioverà, ma sinceramente … chissenefrega.

[ 28 Aprile 2019 ] – Spalato, Croazia

“Nobody said it was easy
No one ever said it would be so hard
I’m going back to the start.”

[ 29 Aprile 2019 ] – Fano, Italia. 5 pm.

FULL CIRCLE
Sí, lo so, sono sparito proprio sul più bello. Niente proclami o fanfare alla conclusione del mio viaggio, avvenuta ormai quasi una settimana fa. Un momento così tanto atteso, eppure lasciato passare nel silenzio più assoluto. Ma ci sono cose che sono terribilmente più importanti, e che fanno passare tutto in secondo piano nella pesantezza della loro realtà. È proprio vero che, alle volte, la vita è quello che ti succede mentre sei occupato a fare altri progetti. Grazie, ad ogni modo, a tutti coloro che hanno seguito questo percorso e – anche se da lontano – lo hanno condiviso insieme a me; a chi c’è stato, a chi c’è, a chi ci sarà. E se c’è qualcosa che posso dire di aver imparato in tutto questo mio lungo vagare, tra le più vere ce n’è senz’altro una. Che la vita va presa per quello che è, comunque sia, ed andrà avanti comunque. Tu non puoi fare altro che continuare a sorriderle, anche quando tutto sembra andato in macerie. Perché, se avviene in maniera sincera, prima o poi, anche lei … tornerà a sorriderti di rimando, ancora una volta.


ISTANBUL e RITORNO

Marzo 16, 2018 2376 Views

Che cosa succede quando un viaggio a lungo sognato, atteso ed immaginato … diventa realtà?
Innanzi tutto, cerchi di viverlo al meglio – e per tutto il tempo concesso – collezionando esperienze, luoghi ed incontri, che un giorno diverranno le tue memorie della Via della Seta. Un bagaglio di ricordi indelebile – ed incredibile – che mai avresti pensato di poter essere in grado di creare.
Quindi lasci la bicicletta da qualche parte.
Perché anche se vuoi credere che ormai sia tutto bell’e che finito … in realtà sai bene che nulla finirà mai.

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8 Dicembre, Istanbul ◀ Giorno 437 🇬🇪 – 🇹🇷 ▶
La prima accoglienza della Turchia, con un attraversamento di confine caotico, tedioso e nel mezzo di spintoni, pianti di bambini ed una greve tempesta a far da contorno, non è stata assolutamente delle migliori.
Probabilmente ha voluto farmi pagare in qualche modo la mia decisione di tagliarla tutta – a questo giro – con una lunga traversata in autobus da Batumi, senza stop di sorta nel mezzo.

Però poi è arrivato il saluto di Istanbul.
Con questi colori e con queste forme, dopo che proprio ieri parlavo di mare e gabbiani in una grigia e spenta costa Georgiana.
Ed ecco che allora devo ancora capire come riprendermi dallo stupore per un cambiamento così repentino.
E per siffatta bellezza.

[ 8 Dicembre 2017 ] Istanbul (Turchia). 5 pm.

9 Dicembre, Istanbul ◀ Giorno 438 🇹🇷 ▶
La separazione dalla bicicletta  🚲

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Istanbul.mp4

 

13 Dicembre, Istanbul ◀ Giorno 442 🇹🇷 ▶
Volevo scrivere un post unico su Istanbul.
Volevo farlo domani, l’ultimo giorno in terra turca, prima di tornare a casa.
Ogni sera, però – sia che io stia passeggiando per il lato europeo della città sia che mi trovi su un battello o direttamente nel lato asiatico, dove c’è il mio ostello – Istanbul mi regala qualcosa come questo.
Mentre i gabbiani cantano.
Ed io con loro.

[ 13 Dicembre 2017 ] Istanbul (Turchia). 5,30 pm.

14 Dicembre, Istanbul ◀ Giorno 443 🇹🇷 ▶
Non é un caso che sia proprio Istanbul, la fine di questa parte di viaggio.
Non l’ho mai raccontato a nessuno, però Istanbul, in qualche modo, c’è sempre stata.

Quando, più di due anni fa, decisi che era arrivato il momento di partire per un po’, nessuno sa che la prima idea che si fece strada in me fu quella di uscire di casa e raggiungere Istanbul in bicicletta.
Non una pieghevole, né con un viaggio ibrido; volevo proprio pedalare fino ad Istanbul.
Perché scelsi proprio Istanbul, allora, davvero non lo so. Suonava esotica e lontana, e tanto mi bastava per eleggerla come la destinazione di quelli che volevano essere soltanto alcuni mesi sabbatici in solitaria.

Poi invece l’idea cambiò.
Arrivò quella della Brompton, dei viaggi in pieghevole, ed optai per un più “fattibile” – e mai rimpianto – percorso alle Cicladi.
Istanbul la toccai anche, proprio prima di volare su Santorini, in accompagnamento ad un gruppo crocieristico di un caro amico.
Ricordo poco di quel giorno, e la città, percorsa in fretta e furia in breve tempo, lasciò pochissimo di sé.
Ricordo però anche che, mentre la nave usciva dal porto ed io mi ritrovai seduto in poppa a bere tè ed osservare la baia del Mar di Marmara schiudersi di fronte a me, non seppi distinguere la fine di una metropoli che sembrava davvero sterminata. Istanbul era ovunque guardassi. Sparì soltanto dopo più di un’ora di navigazione in acque aperte; soltanto quando la terra, ormai impercettibile, divenne un tutt’uno con l’acqua.

Promisi in quel momento a me stesso che un giorno vi sarei tornato, degnandola di più tempo, interesse ed attenzione.
Mai avrei pensato, tuttavia, che l’avrei presa così alla larga: Europa, Russia, Mongolia, Cina, Sud-Est Asiatico, Cina ancora, Asia Centrale, Iran e quindi Caucaso, in quasi 15 mesi di viaggio, sono stati un viatico incredibile, che non sarei stato in grado di immaginare neanche sotto allucinogeni.
E così domani, dopo una settimana intera a Istanbul, lascerò quel luogo che doveva essere la meta conclusiva del mio primo ipotetico viaggio.

L’idea è di tornarci ancora. In primavera, coi primi caldi magari, per poter chiudere l’intero cerchio di questo lunghissimo viaggio con un nuovo lento rientro via terra.
Ma le idee, come già successo, possono cambiare; non sono in grado di sapere del resto che cosa succederà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi della mia vita, così come non posso essere totalmente certo che completerò il tutto così come ho pensato di fare. La bicicletta, se non altro, rimarrà qui a ricordarmi dell’impegno preso.

Anche se, in tutto questo, una cosa è comunque certa: non è soltanto la mia bicicletta che lascio qui, stavolta.
Una parte di cuore – che da domani mi servirà per ben altre faccende – rimarrà a sua volta infagottato a Istanbul.
Ed io non ho la benché minima intenzione di portarla via da qui.
Mai.

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15 Dicembre, Istanbul ◀ Giorno 444 🇹🇷 ▶
Comunque mi sembra davvero molto strano che nessuno ci abbia pensato, maaaa … e se fosse tutto un altro scherzo?
Poi non venite a dirmi che non ve l’avevo detto  😂 😚

[ 15 Dicembre 2017 ] Istanbul (Turchia). Aeroporto Sabiha Gökcen. 10 am.

RIENTRO A CASA
Ebbene no, non era un altro scherzo.
C’è da vestirsi da Babbo Natale per qualcuno, quest’anno.
E non ne vedo l’ora.

[ 17 Dicembre 2017 ] Rho (Italia). 12 am.

GEORGIA: cronache Caucasiche (Parte 2 – 26 Novembre / 7 Dicembre)

Marzo 13, 2018 2494 Views

Se – dopo Cina, Asia Centrale e Iran – l’Armenia aveva di colpo sparigliato le carte del tavolo, la Georgia si apprestava a ribaltarlo completamente.
Gli incanti di Tbilisi, la storia di Uplistsikhe e Gori, le vedute magiche di Mtskheta ed i picchi innevati di Kazbegi; pochi – freddi – giorni, eppure una delle gemme più pure e durature di tutto il mio viaggio.
E poi una corsa verso le sponde del Mar Nero, prima dell’ultima, lunga, cavalcata fino ai confini dell’Europa.

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26 Novembre, confine Armenia – Georgia ◀ Giorno 425 🇦🇲 – 🇬🇪 ▶
Storia, cultura, tradizioni, cibo, montagne, laghi, monasteri, persone: dieci giorni in Armenia da mozzare il fiato.
In tutti i sensi.
Per il freddo soprattutto.
I geli del Caucaso, con le loro morse, iniziano a farsi sentire sempre più.
Qualcuno mi ha rivelato che la Georgia, con le sue temperature un po’ più miti ed il suo celebre vino, è in grado di offrire scelte più varie. E calde.
Così eccola qui, la trentunesima frontiera di questo viaggio.
Con i calzettoni di lana risvoltati sulla tuta ormai sgualcita e lo sguardo vispo di un castoro all’Oktoberfest, forse avrei potuto affrontarla meglio.
Ma se di vino dovrà trattarsi, allora direi che sono prontissimo!

[ 26 Novembre 2017 ] Confine Armenia – Georgia. 5 pm.

28 Novembre, Tbilisi ◀ Giorno 427 🇬🇪 ▶
Poche ore di sole, freddo umido, cielo lugubre, pioggia e poi una simpatica influenza.
La Georgia insomma non mi ha accolto per ora un granché bene.
Eppure Tbilisi, per quel poco che ho potuto constatare … che spettacolo ragazzi.

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29 Novembre, Gori ◀ Giorno 428 🇬🇪 ▶
Chi lo sapeva che a pochi chilometri da Tbilisi esiste una cittadina scavata nella roccia che vanta più di 3000 anni di storia ed il luogo di nascita (nonché museo) di uno dei personaggi storici più importanti e controversi della storia umana?
Uplistsikhe e Gori, per l’esattezza.
Ebbene, io no.
Mi documento sempre molto poco, a riguardo di un paese, prima di entrarvi.
Anche per rimanerne stupito ancora di più, se possibile.
Come è di certo il caso della Georgia, e del Caucaso intero.

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30 Novembre, Mtskheta ◀ Giorno 429 🇬🇪 ▶
Col sole – specialmente dopo tre giorni di grigio – è tutto decisamente più bello.
Figuratevi poi un luogo che di per sé è già meraviglioso …

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1 Dicembre, Kazbegi ◀ Giorno 430 🇬🇪 ▶
Allora succede che ieri, preso da un’indomabile amarezza, ho sentito l’urgente bisogno di sparigliare le carte.
Di concedermi un cambiamento – seppur di pochi giorni – verso altri paesaggi, altri climi, altre atmosfere.
Così, in coincidenza con l’arrivo dell’ultimo mese dell’anno, ho lasciato la bici ed una borsa a Tbilisi ed ho acquistato un trasferimento low-cost per un paese che non avevo mai pensato di toccare durante questo viaggio (pur avendolo sfiorato in un paio di circostanze).
Un paese il cui nome, di 5 lettere, inizia per consonante e … finisce per consonante.
Quale sarà mai?
Un indizio potrebbe essere questa foto, che mi vede alle pendici di uno dei picchi più alti del continente in cui mi trovo.

O forse sto soltanto scherzando.
E questo è ancora un incredibile pezzo di Georgia.

[ 1 Dicembre 2017 ] Stepandsminda (Georgia). Kazbegi. 3 pm.

2 Dicembre, Kazbegi ◀ Giorno 431 🇬🇪 ▶  VIDEO

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Kazbegi.mp4

 

3 Dicembre, Kazbegi ◀ Giorno 432 🇬🇪 ▶
Perché la Georgia è un paese piccolo, senza storia, nerbo, energia e luoghi di interesse alcuno.

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4 e 5 Dicembre, Tbilisi ◀ Giorni 433 e 434 🇬🇪 ▶
“Quale vorreste essere? E per quale motivo?”
Iniziava sempre così.
Un semplice gioco – o divertente passatempo – che mio padre era solito portare avanti anche per ore, durante le camminate in montagna, con me e le mie sorelle (e talvolta anche mamma, cugini, zii, amici …)

“Quale animale vorreste essere?”
“Quale pianta?”
“Quale uccello?”
“Quale fiore?”
“Quale personaggio storico?”
“Quale città?”

Le possibilità erano tantissime, le variabili infinite. Alle volte si partiva da una lettera obbligatoria, altre volte invece la libertà era davvero totale.
Il bello, comunque, non era tanto la risposta in sé. La motivazione era la parte più interessante del gioco, e talvolta anche la più esilarante.
Una trovata che poteva diventare davvero interminabile – “Dai papà, un’altra domanda! L’ultima!” – e che di certo poteva permettere ai nostri genitori (ed a noi stessi) di indagare, nel corso del tempo, sui nostri caratteri, le nostre inclinazioni, le nostre personalità.

Non so bene perché oggi mi è venuto in mente tutto questo.
Forse perché, dopo esservi rimasto per più di una settimana (seppur ad intermittenza) e dopo averla fatta pertanto diventare la capitale in cui mi sono trattenuto volontariamente più a lungo in tutto questo lungo viaggio, alla domanda “Che capitale vorresti essere?” so per certo che oggi non avrei dubbio alcuno riguardo alla mia risposta: “Tbilisi!”

E la motivazione?
Facile.
Perché ovunque la si percorra ed ovunque la si osservi, ad ogni ora del giorno e con ogni condizione climatica (e sebbene per ora io possa soltanto immaginarne la magia in un giorno di primavera), la sensazione che Tbilisi regala è sempre la stessa.
Di essere finito in un meraviglioso dipinto.

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6 Dicembre, Batumi ◀ Giorno 435 🇬🇪 ▶   VIDEO
Tornare a pedalare  🌧 🌊 ❄

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Batumi.mp4


7 Dicembre, Batumi
◀ Giorno 436 🇬🇪 ▶
Rivedere il mare, dopo tanto tempo, fa sempre un certo effetto.
Come le onde si infrangono sul bagnasciuga e l’acqua si scontra con la terra in una battaglia senza fine né vincitori, così anche il cuore si smuove, le emozioni si slegano e l’immaginazione, nutrendosi di vento e salsedine, diventa gabbiano.
L’ultima volta fu a Koh Tao, in un caldo e colorato marzo thailandese.
Oggi invece è nella baia di Batumi, in un gelido giorno dicembrino in cui la neve ha raggiunto le cime delle montagne della Georgia occidentale ed io ho finalmente capito il perché del nome Mar Nero.
L’occhio spazia largo e lo sguardo vola lontano. Verso sinistra, o Sud-Ovest, seguendo una costa blanda che lentamente sfuma nel grigio indefinito.
Laddove è un nuovo paese – ormai prossimo ad essere interamente attraversato in una interminabile cavalcata a bordo di un autobus – e una delle città più grandi e sensazionali del mondo già intona il suo richiamo.
Istanbul.

[ 7 Dicembre 2017 ] Batumi (Georgia). Di fronte al Mar Nero. 3 pm.
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MAPPA DEI LUOGHI

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ARMENIA: cronache Caucasiche (Parte 1 – 16/25 Novembre)

Marzo 6, 2018 2803 Views

Un mese in Iran aveva solcato in profondità; avrei voluto rimanerci molto più a lungo, ma l’inverno Caucasico stava già preparando la sua morsa. Armenia e Georgia – lo confesso – erano per me due grossi punti di domanda. Non sapendone nulla, lo shock fu immediato.
L’antica Persia si trovava solo a pochi chilometri di distanza; tuttavia, già a Meghri, il cambiamento era totale.
L’Armenia si presentava dunque così, sovvertendo tutto.
Una terra segreta, morbida e tagliente, fiera e mai doma, con una storia millenaria e controversa, dove natura e monasteri rievocavano ad ogni dove racconti e ferite ancora vive. Un angolo di mondo grezzo e difficile, scavato tra confini di ogni sorta.
Ciononostante … di una bellezza sconfinata.

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16 Novembre, verso Meghri ◀ Giorno 415 🇮🇷 – 🇦🇲 ▶
“Ma sei fintissimo!” – mi ha detto ieri un amico.
“Non pedali quasi mai! Sei il peggior cicloviaggiatore che abbia mai incontrato!”, ha aggiunto poi, ridendo, per sfottermi un po’.

Del resto è vero.
Nella prima parte di questo lungo viaggio ho percorso molti molti più chilometri in sella alla mia bicicletta rispetto a quanto fatto durante questo “secondo round”.
Sarà che tra Cina, Asia Centrale e Iran c’era troppo altro da fare – e da attraversare – e così ho scelto di trascorrere più tempo nelle varie città, usando la bici a mo’ di taxi privato e scoprendo un po’ di più di paesi che da tanto tempo mi affascinavano (a discapito dell’avventura più vera, quella che si vive tra pedalate, villaggi remoti, campeggi e strade infinite).
O forse è che, con tutto questo andare, mi sono solamente impigrito.

Sta di fatto che ogni volta che scelgo di pedalare … è uno spettacolo davvero imbarazzante.
E con oggi, Armenia

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17 Novembre, Meghri ◀ Giorno 416 🇦🇲 ▶
Insomma ieri sera sono entrato a Meghri, in Armenia. Invece di dirigermi subito verso Yerevan, la capitale, ho deciso di fermarmi un attimo. L’Iran dista solo 5 chilometri da qui, eppure ho avvertito il bisogno di una breve pausa per prendere confidenza col cambiamento. Due paesi così vicini, eppure così lontani. Dalle montagne ai colori, dalle targhe ai frutti, dalle case alle facce … tutto qui è così incredibilmente diverso da dove arrivo. In quanto a me, confesso di non saper assolutamente nulla di questo paese. Ma, se il buongiorno si vede dal mattino, allora l’Armenia non ci metterà tanto a conquistarmi.

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18 Novembre, verso Yerevan ◀ Giorno 417 🇦🇲 ▶
“NE PONIMAYU!”, avevo imparato a dire in Russia, oltre un anno fa, ogni qualvolta qualcuno provava ad intavolare una discussione insieme a me, scambiandomi per russo.
Credevo che non mi sarebbe mai più servito, ed invece di nuovo mi sono trovato a pronunciarlo, più volte, tra Kyrgyzstan, Kazakistan, Uzbekistan e persino, seppur per poche ore, in Turkmenistan.
“NE PONIMAYU!”

Una volta messo piede in Iran credevo che non avrei davvero dovuto utilizzarlo mai più, così come le poche altre parole di russo che ho appreso nel corso degli ultimi mesi.
E invece, ancora, anche in Armenia.
“NE PONIMAYU!”
In Georgia sarà probabilmente lo stesso, tanto vasta è la parte di mondo dove l’alfabeto cirillico e l’influenza della Grande Madre sono – o sono stati – parte integrante della vita di tutti i giorni.

“NE PONIMAYU!” – (НЕ ПОНИМАЮ in cirillico) espressione tanto facile da ricordare quanto buffa al suono – semplicemente significa “NON CAPISCO!”.
Ma che cos’è che non capisco veramente?
Il russo soltanto?
O il perché mi trovi qui adesso, ancora sulla strada, dopo aver scelto di dedicare ormai quasi oltre due anni della mia vita a non far altro che viaggiare?
La mia barba cambia, le rughe sotto i miei occhi cambiano, e i miei stessi occhi in effetti sono cambiati costantemente, in tutto questo tempo, nutrendosi di novità ed esperienze continue.
Ma io, con il mio essere, la mia anima, il mio spirito (insomma, chiamatelo come volete) … sono davvero cambiato?

Spesso me lo domando.
Ogni giorno, ad essere sincero.
La risposta, per di più, non l’ho ancora trovata.
O forse, come sono ormai più portato a credere, l’ho sempre avuta con me.
Ed un giorno, prima o poi, tutto il disegno mi sarà chiaro.

Lo spero, se non altro.
Perché nel frattempo, io, per non saper né leggere né scrivere – o forse perché davvero non saprei che altro fare – continuo ad andare.
E a ripeterlo. Anche quando non serve.
“NE PONIMAYU!”

[ 18 Novembre 2017 ] Verso Yerevan (Armenia). 3 pm.

20 Novembre, Yerevan ◀ Giorno 419 🇦🇲 ▶
Fondata dal regno di Urartu nel 782 a.C., snodo di grande importanza per le rotte carovaniere sulla Via della Seta, Erevan (o Yerevan) ha vissuto una serie di vite innumerevoli. Capitale del primo stato ufficialmente Cristiano nel 300 d.C., fu poi per secoli contesa tra Persia e Impero Ottomano e quindi a inizio ‘800 occupata dall’Impero Russo, che formalmente non la lasciò più. Dopo la rivoluzione bolscevica fu proclamata capoluogo della Repubblica Socialista Sovietica armena e, in seguito al collasso dell’Unione nel 1991, è diventata la capitale della neonata repubblica armena. Insomma, una città che vanta una storia colossale (come forse nessun’altra al mondo), soggetta – o assoggettata – a dominazioni ed influenze di ogni genere.

Yerevan, oggi, è semplicemente un luogo in cui non si capisce niente; forse perché sorge su un passato che è troppo imponente da poter essere capito, o forse perché vive di un presente ancora impossibile da decifrare. Povero, orgoglioso e colmo di rivalsa. Un presente che fatica ancora a trovare la propria strada … ma le cui potenzialità, così come le cui forme d’espressione, sono davvero infinite.

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21 Novembre, Yerevan ◀ Giorno 420 🇦🇲 ▶
Storie di monasteri antichissimi, di candele nel buio, di templi romani, di panchine ai bordi di burroni, di taxi sgangherati, di animali liberi per i villaggi, di fiumi impetuosi, di cieli senza fine e di montagne ancora più infinite.
Queste, le storie dell’Armenia più autentica.
E più spettacolare.

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22 Novembre, Yerevan ◀ Giorno 421 🇦🇲 ▶
Ci sono luoghi di cui è difficile parlare.
O impossibile, tanto è assordante e devastante il silenzio che generano solamente con la loro presenza.
Testimoni ad imperitura memoria di storie di atroci disumanità – di cui spesso ormai si sa poco o nulla – ed il cui solo pensiero lascia spazio soltanto alla vergogna, alle preghiere ed al desiderio di essere vento.

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23 Novembre, Sevan ◀ Giorno 422 🇦🇲 ▶
“In Armenia? A fine Novembre?”, mi domandavano.
“Ma fa un freddo becco!”, mi dicevano.
“Morirai di gelo lassù sulle montagne!”, profetizzavano.
Non avevavo tutti i torti, in fin dei conti.
Però quanto è anche mostruosamente bella?!

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23 Novembre, Dilijan e dintorni ◀ Giorno 423 🇦🇲 ▶
Haghartsin & Goshavank.
Potrebbero tranquillamente essere due compagni di merende di Tom Bombadil.
E invece sono altre due semplici, quanto imperiose, pepite dell’Armenia.

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24 Novembre, Dilijan ◀ Giorno 424 🇦🇲 ▶
“E all’improvviso, arriva lei.
In silenzio, quasi in punta di piedi, senza dire una sola parola.
Troppo timida anche solo per un “ciao”.
Appoggia a terra il suo zaino, i vestiti bagnati dalla pioggia.
Incrociamo lo sguardo per un secondo.
Un sorriso. Anzi, il sorriso.
I suoi occhi sono in viaggio e hanno giá visto tutto.
E in quell’esatto secondo, sono volato più lontano di quanto non sia mai stato in questo splendido giro del mondo.
In quell’esatto secondo, l’ultimo pezzo del puzzle è finito al suo posto, mostrandomi l’immagine più bella che abbia mai avuto la fortuna di ammirare.
In quell’esatto secondo ho capito che niente sarebbe mai stato più lo stesso.”

No, non sono parole scritte da me.
Oggi io ero a camminare, qui, sotto zero, per svariati chilometri e con diversi tipi di pensieri che si arrovellavano nella mia testa.
Questo pezzo è tratto da un libro.
Un libro che non è ancora compiuto.
O che forse, con oggi, lo è.
Un libro che non vedo l’ora di leggere.
Di un amico per il quale non riesco a smettere di gioire, e che non vedo l’ora di poter riabbracciare.

Per chi già non seguisse Simone Piccini-wanderhang ed il suo enorme viaggio, l’invito è di farlo presto, e senza indugio: Wanderhang – viaggio dentro al mondo

 

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MAPPA DEI LUOGHI

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IRAN: nel Paese delle Meraviglie. Quelle vere. (16 Ottobre – 16 Novembre)

Marzo 1, 2018 3201 Views

La fuga dal Turkmenistan non fu programmata, ma accadde in tempi record.
I due mesi nei paesi dell’Asia Centrale avevano dato tanto, ma il richiamo dell’Iran era ormai incontrollabile.
Trentatre giorni, un compleanno, un telefono rubato, notti in treno ed in deserto, minareti, tè, bazaar, spezie e birre analcoliche a profusione; e poi una scorpacciata di tradizioni, culture, religioni, cittadelle, giardini, parchi, paesaggi, sapori e racconti di una terra dalla storia millenaria.
Ma soprattutto, l’accoglienza, l’ospitalità ed i sorrisi di un popolo unico al mondo … e semplicemente indimenticabile.

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17 e 18 Ottobre, Mashhad ◀ Giorni 385 – 386 🇮🇷 ▶
Dopo il disagio provato in meno di 24 ore in Turkmenistan, l’Iran è iniziato col botto.
E che botto ragazzi!

Mi avevano parlato della stupenda accoglienza del popolo iraniano, ma non mi sarei mai aspettato un livello tale.
Basta camminare per strada con fare stralunato e chiedere la direzione per un luogo ad un ragazzo in motorino, che questi si ferma e ti ci porta; domandare a due ragazzi dove si possa trovare un posto per mangiare e venire scortato a braccia con tanto di cena offerta; visitare un luogo santo e ricevere la guida privata di professori volontari parlanti inglese.
Gli Iraniani, insomma, per ora assolutamente incredibili.

E poi Mashhad, la città dove sono arrivato subito dopo aver sconfinato.
La città santa di Mashhad: seconda città più popolosa del paese (8 milioni) e meta di pellegrinaggio di milioni di musulmani ogni anno, con la tomba dell’Imam Reza (l’ottavo in successione al Profeta) ed il gigantesco complesso di Moschee e Piazze sacre che vi sorge tutto attorno.
Impressionante, poco da dire.
Per come è concepito, ma soprattutto per le sensazioni che suscita.

Lo ammetto, non sono un grande credente né un fervido praticante, ma non riesco a dirmi completamente slegato dalla religione. Quale, tuttavia, non lo so.
Mi dico Cristiano e recito il Padre Nostro quando voglio pregare per le persone a cui voglio bene, ma soltanto perché sono nato in Italia. Se fossi nato a Delhi, o a Tokyo, o a Lhasa, o appunto a Mashhad, probabilmente non sarebbe così.

“Allora dimmi, adesso credi veramente all’Imam Reza?”, mi ha domandato oggi il giovane Hamid, un simpatico ragazzo in pellegrinaggio da Isfahan col quale ho trascorso il pomeriggio, tra minareti, cupole dorate, migliaia di persone assorte in preghiera e racconti di miracoli del Sant’Uomo.
“Non lo so, Hamid. Davvero.”, gli ho risposto quasi scusandomi. “Credo che vi siano uomini buoni e uomini meno buoni. Credo che lui sia stato sicuramente un grande uomo, molto buono, che ha donato gioia e speranza a tantissime persone e che ancora continua a farlo, ma non posso assicurarti di credere ai miracoli o che legarsi alla sua tomba porti alla redenzione. Mi piace crederlo, diciamo così. Per il resto mi taglio fuori e cerco di vivere al meglio il tempo che mi viene concesso. Altro, non so. Non credo che lo capirei.”
Un sorriso perplesso si è disegnato sul suo volto, poco prima che ci abbracciassimo in un saluto fraterno e ci augurassimo buona fortuna a vicenda.

La domanda, però, aleggia ancora sopra di me.
Dopo aver trascorso due giorni in un luogo dove la religione è vissuta profondamente in ogni singola fibra del corpo ed in ogni singola onda della mente, mi sento stupito, confuso, frastornato.
Come di fronte ad una tela di cui non colgo l’importanza, o ad una partita di uno sport bellissimo di cui però non capisco le regole, o ad un film meraviglioso, ma parlato in una lingua incomprensibile e senza sottotitoli.
Posso credere davvero all’Imam Reza?
Posso credere davvero ai suoi miracoli?
O a quelli di Gesù?
O che vi sia un Paradiso?

Mi piace crederlo, diciamo così.
Voglio dire, rimarrei probabilmente deluso se dovessi poi scoprire che non esiste un aldilà. Che non c’è un’altra vita dopo questa, o una reincarnazione o chissà che altro. Come se fossi costretto a lasciare il cinema a fine primo tempo, prima dell’inizio della seconda parte.
Magari sarà così, magari no.
Chissà le domande che mi porrò, quando sarà il momento.

“Ma dai, era davvero tutto lì?”
“Ah, no, c’è una luce! Che succeda qualcosa adesso?”
“In che cosa mi sto trasformando?”
“Ma che, sono ancora io! Allora ci sarà modo di ascoltare ancora le storie del Nonno lassù? O di bere una birra coi miei amici? O di giocare coi miei nipoti?”
“E poi … con che età ci andrò? Come mi vedranno mia madre e mio padre? Come l’uomo che sono ora o come il neonato che hanno preso in braccio tanti anni fa?”
“Ma soprattutto … perché sto ancora pensando?”

Se inizio non finisco più, per questo preferisco tagliarmi fuori.
Sarebbe bello vederlo lì però, un giorno, l’Imam Reza.
Insieme a tutti gli altri, a secondo tempo iniziato.
Sperando soltanto che poi, in qualche punto della proiezione, arrivi anche la voce fuori campo a spiegare tutta la storia.
E, soprattutto, a raccontare il finale.

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19 Ottobre, verso Kerman ◀ Giorno 387 🇮🇷 ▶
Non smetterò mai di amare i viaggi in treno.
Soprattutto quelli in un paese nuovo, dove al principio non capisco un belino, mi barcameno tra indicazioni incerte, vago per un poco nel mezzo di stazioni affascinanti e poi, con un lieve fremito, trovo il binario, il treno, il vagone, la cuccetta giusta, posiziono la bicicletta sopra la mia testa ed un mondo nuovo mi si spalanca davanti.
20 ore passano via in fretta se hai un posto per sdraiarti, compagni di viaggio che diventano amici e ti offrono del cibo, un buon libro, tanto sonno e magari anche degli incredibili tramonti Persiani.

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20 Ottobre, Kerman ◀ Giorno 388 🇮🇷 ▶
Devo ammetterlo: non ci sto ancora capendo nulla.
Sono in Iran da ormai già 4 giorni ma ho capito davvero pochissimo, o forse proprio nulla.
Dopo la religiosità profonda di Mashhad, un lungo viaggio in treno ed una mezza giornata nella cittadina di Kerman, posso solamente dire che la varietà di questo paese è incredibile, imbarazzante, a tratti opprimente.
Non è una terra affatto semplice, e poi c’è troppo da fare, troppo da vedere, troppo da vivere; oggi, per un attimo, ne sono quasi rimasto sopraffatto.
Così ho provato a non pensare, a non studiare le troppe possibilità e lasciare che sia un po’ il caso a decidere per me nei prossimi giorni.
Poi, dopo essermi spinto in bicicletta tra i segreti di Kerman, dopo aver passato vie, parchi e bazaar, un uomo chiamato Hossein mi ha preso per mano.
“Da dove vieni?”
“Italia”
Le domande si sono fermate lì.
“Vieni qui, amico. Siediti. Per favore, serviti di quello che vuoi e rimani qui con noi fino a quando vuoi. Questa è la mia famiglia. Adesso, anche la tua.”
Le luci della sera hanno poi avvolto il giorno.
E, grazie al signor Hossein, il domani non fa più così paura.

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21 Ottobre, dintorni di Kerman ◀ Giorno 389 🇮🇷 ▶
Sei in Iran. Ci sei arrivato dai confini del nord-est col Turkmenistan. Hai 30 giorni di tempo ed un paese immenso – in termini di estensione, storia e possibilità – da poter visitare. Dopo due giorni nella città santa di Mashhad, decidi di spostarti. Apri le mappe e scegli una città a caso, nel Sud del paese. Un viaggio in treno di quasi 24 ore ti ci porta.

Arrivi a Kerman. Sai poco dell’Iran, quasi nulla del sud dell’Iran e assolutamente niente di Kerman. La reputi graziosa e decidi di rimanervi due giorni, non sapendo bene che cosa fare. Ti scontri subito con le difficoltà naturali della regione ed i costi esorbitanti dei tour guidati alla scoperta dei tesori del luogo. Trascorri il primo giorno a ciondolare tra le vie, i parchi ed i bazaar, lasciando che siano gli Iraniani a regalarti le migliori memorie.

Giunge il secondo giorno, e con esso le opzioni:

1) Trascorrerlo come il primo;

2) Provare ad avventurarti in bici verso le muraglie montuose che circondano Kerman, e verificare di persona che il deserto del Dasht-e Lut raggiunga davvero i 70° di cui si narra (da misurazioni della NASA pare che sia il luogo dove si registrano le temperature più alte della superficie terrestre);

3) Cercare un trasporto locale e raggiungere una delle cittadine nei dintorni di Kerman, dove perderti randomicamente per un po’;

4) Entrate in un hotel per cambiare dei dollari, scoprire che si tratta di un punto di ritrovo di svariati viaggiatori (di cui il primo giorno non avevi avuto nemmeno il più vago sentore), trovarne due con le tue stesse domande, imbatterti in un taxista silenzioso, premuroso e gentile (oltre che assurdamente economico) e partire così alla volta di giardini sontuosi, cittadelle epiche, montagne dalla sabbia colorata, lingue d’asfalto circondate da deserti, tunnel per l’acqua scavati nella terra infuocata, caravanserragli degni di racconti, dune rocciose dalle forme magiche e tramonti che ti trasformano in una nullità, prima che le stelle di una notte color ossidiana tornino a ricordarti che un nuovo, incredibile capitolo del tuo giovane libro Iraniano è appena giunto al termine.

Secondo voi quale delle 4 opzioni mi è capitata?
Le immagini sono tante, lo so.
Tuttavia, credetemi, non ne basterebbe nemmeno il triplo.

Tutto questo, in un semplice giorno a Kerman. In Iran.

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23 Ottobre, Yazd ◀ Giorno 391 🇮🇷 ▶
Poi arrivi a Yazd.
E dalla terrazza dell’ostello vedi questo…

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24 Ottobre, Yazd ◀ Giorno 392 🇮🇷 ▶
Qualche immagine in più di un gioiello persiano chiamato Yazd.
E le ultime, da 33 enne.

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25 Ottobre, Yazd ◀ Giorno 393 🇮🇷 ▶
Quante domande stamattina.
Non le classiche degli ultimi mesi, del tipo “dove andare oggi?, “come arrivarci?” e “dove dormire?”.

Sarà che mi sono svegliato con anagraficamente un anno in più, svariati messaggi di auguri a ricordarmelo ed una tragica notizia relativa alla scomparsa di una persona cara, ma le domande quest’oggi erano di tutta un’altra natura.

“Che cosa stai facendo della tua vita, Vieri?”
“Perché hai scelto di mettere tutto da parte e di viaggiare per così tanto tempo?”
“Perché ti trovi in Iran, lontano da tutte le persone cui vuoi bene?”
“Sei sicuro che questa sia la strada giusta?”

Sì, insomma, roba soft.
Poi un caldo torrido ha avvolto Yazd, i messaggi sono diventati decine (ringrazio tutti coloro che mi hanno dedicato anche solo un pensiero, risponderò presto ad ognuno) ed io mi sono lentamente afflosciato in ostello, sopraffatto dalle domande e ben lontano da quello che si potrebbe definire un compleanno da wow.

A pomeriggio inoltrato sono uscito a correre, perdendomi nelle vie di una città iraniana antica di secoli, alla ricerca di fatica, sudore e spensieratezza.
Così sono andato a ritroso con la mente, ripercorrendo in pensieri e ricordi tutto quello che ho vissuto nell’ultimo anno e mezzo.
Tutto quello che mi ha portato ad essere la persona che sono oggi, così come mi sono ricordato di essere: un uomo fortunato.

Fortunato per aver avuto molte possibilità dalla vita, fortunato per essermi impegnato e per aver provato ad inseguire fino in fondo quello che il mio cuore suggeriva, e fortunato per aver ricevuto il supporto, l’amicizia e l’amore di tante persone, senza le quali nulla di quello che ho provato ad assemblare in questo piccolo video sarebbe mai stato possibile.
Fortunato perché, sì, ho finalmente chiaro in mente quale sia il mio posto nel mondo.
O per lo meno dove.

PS: non sono un viedeomaker. Ne conosco/seguo diversi – anche di molto bravi – e so bene di non aver prodotto un capolavoro (con le connessioni che ho del resto non sarebbe stato facile).
Si tratta semplicemente di un breve riassunto, in immagini, di quello che è accaduto nella mia vita da Giugno 2016 a questa parte.
Se non altro credo che valga la pena anche soltanto ascoltarlo, perché la musica, a mio parere, è davvero sublime … e racchiude in sé tutto quello che c’è da dire.
Che poi si sa, si diventa sentimentali molto facilmente quando si compiono 18 anni

Grazie a tutti quanti per gli auguri e per aver reso possibile tutto questo!

26 Ottobre, Mehriz ◀ Giorno 394 🇮🇷 ▶
Dopo un compleanno trascorso ancora nell’incanto di Yazd, ecco che ho scelto di aprire i 34 pedalando.
Verso sud. Verso una cittadina di nome Mehriz.
Una cinquantina di chilometri di deserto per andare a trovare il simpatico Ali, che con la sua famiglia mi aveva offerto ospitalità ancora quando mi trovavo a Mashhad (potere di internet).
L’ospitalità Iraniana, ancora una volta, si è dimostrata incredibile; come se mi fossi ricongiunto con un vecchio amico, in attesa di riabbracciarmi dopo anni di esilio militare.
È davvero impossibile non amare questo paese.

PS: i pantaloncini corti non sono visti molto bene nel paese, quindi tocca pedalare vestiti tipo supereroi con le pezze.
PS2: non sono solito indossare sandali con brillantini fucsia. Ero appena stato accolto a casa di Ali e la moglie mi ha rifilato il primo paio di ciabatte disponibile per non lasciarmi scalzo. Non si va molto per il sottile in Iran

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27 Ottobre, Mehriz ◀ Giorno 395 🇮🇷 ▶
Cosa succede quando sei in Iran, è venerdì, e ti sei svegliato in casa di un ciclista?
Succede che la sveglia suona alle 6, inforchi una delle mountain-bikes del tuo ospite, aspetti una decina di amici, parti alla volta delle montagne della Persia, sudi per due ore abbondanti sotto un sole porcone e poi raggiungi una casa in cima ad un passo, dove altri amici hanno già acceso un fuoco, disteso i tappeti e messo a bollire il tè.
Poi c’è chi inizia a cucinare, chi dal nulla tira fuori cesti di frutta, pane, formaggio, zucchero e canditi, chi prepara il narghilè e chi si mette a cantare o a ballare, richiamato dal battito di mani di tutto il gruppo.
Tutto vero. Zero fronzoli e zero difficoltà.
Solo la semplice voglia di stare insieme e divertirsi, condividendo quel poco che si ha nel giorno in cui è possibile farlo.
Perché il venerdì in Iran – come in tutti i paesi islamici – equivale alla nostra domenica, e mi è ormai fuor di dubbio che questo sia il paese più generoso e prodigo di sorrisi che abbia mai incontrato in tutta la mia vita.

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28 Ottobre, Kashan ◀ Giorno 396 🇮🇷 ▶
Facce da Iran. (No, non è proprio un bel paese)

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29 Ottobre, Kashan ◀ Giorno 397 🇮🇷 ▶
Qui Kashan, Iran.
Niente di nuovo da raccontare.
Passo e chiudo.
😱

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31 Ottobre, Kashan ◀ Giorno 399 🇮🇷 ▶
Scusatemi se ieri non ho scritto.
È che mi sono allontanato un poco, ed alla fine la notte mi ha sorpreso.
Stavo cercando la fine dell’Iran, ma non l’ho trovata. Al suo posto, solo una bellezza senza fine.

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1 Novembre, Isfahan ◀ Giorno 400 🇮🇷 ▶
Se Samarcanda fu sinonimo di felicità e soddisfazione, Isfahan non può che esserlo di stupore e meraviglia.
Oggi, giorno di Ognissanti 2017, metto piede (e ruote) in quello che è forse il luogo più rappresentativo di tutto l’Iran. Di certo, uno dei più incredibili che abbia mai incontrato sulla mia strada.
E domani … sono 400  🌏

[ 1 Novembre 2017 ] Isfahan (Iran).Piazza Imam Khomeini. 4 pm.

2 Novembre, Isfahan ◀ Giorno 401 🇮🇷 ▶
Avevo immaginato di festeggiarlo in maniera diversa, il quattrocentunesimo giorno di viaggio. Invece una stupida quanto fatale disattenzione ed un’abile manolesta iraniana hanno voluto altrimenti.
Sì, perché, dopo avermi accompagnato in Grecia ed in una buona parte di mondo, dopo essere stato smarrito e ritrovato in Serbia ed in Mongolia, dopo essere sopravvissuto a due incidenti acquatici in Vietnam e Thailandia, il mio fidato smartphone, ieri sera, ha deciso di prendere una strada diversa dalla mia.
Trascorrere l’intera giornata nella risoluzione di tutta quella serie di problemi correlati al furto di un telefono, soprattutto quando si è in un paese straniero, non era esattamente quello che desideravo.
Eppure, tant’è.
L’Iran dà, l’Iran toglie.
E poi ridà di nuovo.
Questa è difatti una foto con la persona che oggi, in cambio di nulla, mi ha accompagnato per ore ed aiutato a smarcare una serie di noie incredibili (insormontabili forse, se fossi stato da solo) e che mi ha permesso di mantenere intatta l’immagine di un paese che – ancora una volta – mi ha lasciato di stucco.
Perché un telefono si può smarrire, ritrovare e all’occorrenza ricomprare … ma un’amicizia, quando vera e genuina, rimane un dono raro da incontrare.
Quindi grazie, Mohsen.
E grazie, ancora una volta, Iran.

[ 2 Novembre 2017 ] Isfahan (Iran). 4 pm.

SERA
L’Iran è un paese meraviglioso, non smetterò mai di dirlo.
Luoghi, gente, storia, cultura, tutto bellissimo.
C’è sono un grande problema, fonte di enorme disagio ed inesausta amarezza: la birra.
Senza alcol.
Al limone.
E pure con la cannuccia.

[ 2 Novembre 2017 ] Isfahan (Iran). 9 pm.

3 Novembre, Isfahan ◀ Giorno 402 🇮🇷 ▶
Perché gli iraniani non sanno proprio che cosa significhi trascorrere il proprio giorno di festa all’aperto ed in semplice armonia.
E men che meno il significato di picnic.

PS: volevo andare al parco a leggere oggi, e invece sono finito a bere 70 tazze di tè, mangiare centinaia di biscotti, otto spiedini e milioni di chicchi di melograno.

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4 Novembre, Isfahan ◀ Giorno 403 🇮🇷 ▶
Trascorrere tre giorni a Isfahan e non combinare praticamente niente.
Il primo, a bighellonare in giro con un amico spagnolo incontrato in ostello, rimandando il tutto all’indomani (e poi a farmi fregare il telefono in serata). Il secondo, a risolvere i problemi legati al furto. Il terzo, ad ingrassare nel mezzo di picnic e decine di inviti di famiglie iraniane a festeggiare il venerdì insieme.

I giorni scorrono veloci e quelli rimasti disponibili a visto non sono più molti, quindi oggi ho scelto di spostarmi verso sud, verso la città di Shiraz, altro capoluogo d’interesse del paese.
Con un piccolo groppo in gola, per aver goduto troppo poco delle gemme preziose di Isfahan.
Ma con la chiara intenzione di ritornarci, un giorno non troppo lontano nel tempo.

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5 Novembre, Shiraz ◀ Giorno 404 🇮🇷 ▶
“Quant’è bella Shiraz, al mondo non ha pari!” – scriveva, secoli fa, il poeta e mistico persiano Hafez.
Non posso dire altrimenti, anche se un giorno è ancora troppo poco per confermarne la bellezza.
Di certo a Shiraz c’è qualcosa che nelle altre città iraniane finora non avevo ancora trovato, e che per la verità mi mancava dai giorni di Almaty, in Kazakistan.
Qualcosa che mi ha permesso di praticare il mio passatempo cittadino preferito: una semplice montagna, dove spingermi in solitudine per poter ammirare la città dall’alto, stappare una birra (ah, no, scusate,sono in Iran), attendendo lo spegnersi delle luci ed un nuovo, sorprendente, calar del sipario.

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6 Novembre, Shiraz ◀ Giorno 405 🇮🇷 ▶
Allora forse Hafez aveva ragione …

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7 Novembre, Shiraz ◀ Giorno 406 🇮🇷 ▶
“Vieri, sai già dove sarai a Novembre?”
“Non ne ho idea zio, è tra quattro mesi! Perché?”
“Ecco, io e la zia faremo un viaggio in Iran e avevamo pensato che sarebbe bello incontrarci laggiù … tu che dici?”
“Allora dico che sarò in Iran!”

Una delle parti più difficili del viaggiare in solitaria è stare per tanto tempo lontano dalle persone cui si vuole bene.
Per me è senz’altro la più difficile, ed anche la ragion per cui sto ritornando – seppur lentamente – verso casa.
Però è anche così che un semplice abbraccio diventa una sorpresa indimenticabile, ed una delle memorie di viaggio più belle di tutto questo lungo e bizzarro peregrinare in giro per il mondo.

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Shiraz-zio-Paolo.mp4

 

8 Novembre, Shiraz (Persepoli)◀ Giorno 407 🇮🇷 ▶
Partire alla scoperta dei palazzi di Dario, Artaserse, Ciro il Grande, e dei tesori della capitale dell’Impero Persiano – uno dei più ricchi e imponenti mai visti sulla terra – data alle fiamme da Alessandro Magno durante la sua furiosa conquista del mondo … ed invece finire per trovare tuo zio  😎 😍

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9 Novembre, Shiraz ◀ Giorno 408 🇮🇷 ▶
Prima a Est, poi a Ovest ed infine a Sud.
Tre settimane in Iran per partire da Mashhad ed arrivare fino a Shiraz.
Ora è tempo di lasciare quest’altra gemma Persiana e cominciare la salita verso Nord.
Verso Tehran, quindi il Caucaso.
E l’inverno  ❄

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11 Novembre, Tehran ◀ Giorno 410 🇮🇷 ▶
Tehran, per chi – come me – non è un grande amante delle metropoli e degli ambienti cittadini in generale, potrebbe facilmente sembrare come l’inizio dell’Apocalisse.
Eppure, non so come, c’è qualcosa che affascina. Scoprire che cosa non sarà facile, ma ci proverò.
Almeno per un giorno  😅

[ 10 Novembre 2017 ] Tehran (Iran). Baam Tehran. 5,30 pm.

12 Novembre, Tehran ◀ Giorno 411 🇮🇷 ▶
Tehran è caos, Tehran è grigio, Tehran è gas, Tehran è smog, Tehran è traffico, Tehran è clacson, Tehran è fischi, Tehran è rumori, Tehran è un mostro a cento teste dove 15 milioni di individui vivono una vita frenetica dando vita ad un puzzle senza fine ed in continuo stravolgimento.
Tehran, insomma, non è un bel posto.
Per me, per lo meno.
Però … però del magico c’è.
Eccome se c’è.

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13 Novembre, Tehran ◀ Giorno 412 🇮🇷 ▶
Tre giorni a Tehran e viverli in una piccola splendida famiglia, circondato da quel tipo di cura e dolcezza che solo una madre ed una sorella saprebbero dare.
Questa è per me la vera magia di Tehran, e dell’Iran intero.
Quella vera.

[ 13 Novembre 2017 ] Tehran (Iran).

14 Novembre, Tabriz ◀ Giorno 413 🇮🇷 ▶
30 giorni in Iran oggi, ed eccomi arrivato in quella che probabilmente sarà per me l’ultima tappa – a questo giro, per lo meno – di questo sorprendente paese.
Tabriz, Nord – Ovest dell’Iran.
Una città non lontana dalle montagne del Caucaso, dai confini con Turchia, Armenia ed Azerbaijan oltre che dalla regione del Kurdistan, flagellata due giorni fa da un disastroso terremoto.
Una città al di fuori dei circuiti più classici, tra quelli proposti per i tour in Iran; forse perché ben distante dalle sue ben più note sorelle (situate al Centro – Sud del paese), o forse perché incredibilmente – ed imperdonabilmente – sottovalutata.

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15 Novembre, Tabriz (Kandovan) ◀ Giorno 414 🇮🇷 ▶
Non poteva che finire così, con l’Iran.
Dopo avermi donato sorprese continue con le moschee di Mashhad, i deserti di Kerman, le vie silenziose e le vedute di Yazd, gli amici di Mehriz, le unicità di Kashan, le piazze ed i ponti di Isfahan, i colori, le antichità e gli abbracci familiari di Shiraz, i segreti e le dolcezze di Tehran, e con i bazaar e le squisitezze di Tabriz … ecco che oggi, durante il mio ultimo giorno in terra iranica, sono davvero rimasto a bocca aperta.
Cristallizzato di fronte ad un luogo la cui esistenza è difficile addirittura soltanto immaginare. E la cui bellezza lascia veramente senza parole.

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16 Novembre, confine con l’Armenia ◀ Giorno 415 🇮🇷 – 🇦🇲 ▶

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-confine-Italia-Svezia.mp4

 

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MAPPA DEI LUOGHI

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TURKMENISTAN: un transito record di 23 ore!

Febbraio 27, 2018 3016 Views

Un primato mondiale di cui non vado particolarmente fiero, figlio di circostanze bizzarre ed una tempra talvolta troppo istintiva.
Dall’Uzbekistan all’Iran, via terra e senza mezzi a motore, in 23 ore.
L’attraversamento del Turkmenistan … in meno di un giorno.

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15 e 16 Ottobre, da Farab a Sarakhs ◀ Giorni 383 e 384 🇺🇿 – 🇹🇲 – 🇮🇷 ▶
Lo avevo anticipato: non avevo la minima idea di quello che sarebbe successo in Turkmenistan.
Tuttavia non avrei nemmeno mai pensato che avrei scelto di restarci addirittura meno di 24 ore.
Che cos’è successo?
Poco, molto poco, sicuramente troppo poco. Ma abbastanza per farmi prendere una decisione con la pancia ben lontana da tutti i miei “piani” iniziali.

In sostanza il Turkmenistan, dopo una stretta di mano ed un sorriso sincero del primo militare di frontiera ed una piacevole pedalata di 40 km – nel mezzo di deserto, desolazione e campi di cotone – per raggiungere la città di Turkmenabat, mi ha presto gettato nello sconforto e nella rassegnazione.
Costi assurdi per gli stranieri (hotel a partire da 50$ a notte ed una semplice simcard con internet per 2 giorni a 30$, con la facile motivazione “sono le regole, se per noi costa 30 Manat per voi sono 30 Dollari”), sole e caldo furioso nelle ore diurne e freddo di notte, inglese pressoché non pervenuto, controlli passaporto e militari sospettosi dagli sguardi torvi e minacciosi ad ogni angolo.
Le poche persone con cui sono riuscito a parlare (due ragazzi in totale) – alle quali ho espresso le mie perplessità – mi hanno sorriso con gli occhi; come a capirmi, in un atteggiamento al contempo orgoglioso e mesto verso una realtà dalla quale probabilmente sognano soltanto di poter fuggire.

Chi mi conosce un po’, lo sa: ho un carattere generalmente mite e riflessivo, ma talvolta mi lascio vincere dall’istinto e dalle sensazioni. Soprattutto quelle iniziali, per quanto alle volte siano solo passeggere e potenzialmente mal fondate.
Nei fatti, comunque, ho trascorso qualche ora nell’anonima e dispersiva Turkmenabat, cercando un ristoro ed un alloggio nel mezzo di lunghi viali oscuri. Poi, viste le proposte proibitive per un soggiorno in città, ho acquistato una branda su un treno notturno per Mary, dove immaginavo di rimanere una notte, provando a mercanteggiare ancora una volta il prezzo di un hotel.

Alle 7 di stamattina, però, appena sceso dal treno ed alle prese con le prime riflessioni sul da farsi, sono stato approcciato da un poliziotto in incognito. Il terzo, in neanche mezza giornata. Anch’egli, come i due precedenti, mi ha squadrato come se fossi un ricercato internazionale dalla fama spregevole. Anch’egli con le stesse richieste.
Non domande, richieste:

“Da dove vieni.” – “Italia.”
“Dove stai andando.” – “Iran.”
“Dov’è la tua guida.” – “Quale guida? Sono da solo. Sono arrivato in treno. Con questa bici ed un visto di transito.”
“Fammi vedere il telefono.” – “Perché?”
“Fammi vedere il telefono.” – “Ok.”
“Cancella tutto. Non puoi fare foto in Turkmenistan.” – “Ok”.

Quando poi, dopo neanche 10 minuti, un nuovo gendarme mi ha avvicinato ed intimato “Passaporto!” non sono riuscito a contenere un onomatopeico “Ancora?! Ma vaffanculo …”
Sì, l’istinto.
E poi non puoi chiedermi il passaporto in quel modo.
Sono un ragazzo sensibile in fondo.

Poco lontano dal mio sguardo, fermo al binario numero 2, un vecchio convoglio con scritto Mary – Sarakhs sbuffava una partenza ormai prossima. Sarakhs, la cittadina di confine punto di uscita del mio visto. Mi sono avvicinato ad uno dei vagoni e, nel mio imbarazzante russo, sono riuscito a capire che quello che stavo osservando era l’unico treno settimanale diretto a Sarakhs. Un chiaro segno. Una frivola pioggerella, presto poi sostituita da un’alba colorata, ha quindi contribuito alla scelta decisiva.

Ho capito lì, in quel preciso momento, che del Turkmenistan non mi interessava più proprio nulla. Affranto – ma non troppo – ho così deciso di non rimanere oltre.
Addio regime militare, addio dittatore vampiro. Non è il terrore ciò che la tua buona gente merita.
Il mio doveva essere un semplice transito, e transito – velocissimo – è stato.
Per loro si tratta di vita di tutti i giorni.

Tutto questo, ragazzi, per concludere infine con due osservazioni.
La prima è che ho avuto la fortuna di ottenere un visto di transito di 5 giorni e l’ho gettato alle ortiche in meno di uno.
La seconda – e per me di gran lunga la più importante – è che un altro paese è già cominciato.
Un sogno, a lungo cullato, chiamato Iran.

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MAPPA DEI LUOGHI

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UZBEKISTAN: le città mitiche della Via della Seta (23 Settembre – 14 Ottobre)

Febbraio 24, 2018 3316 Views

Esistono davvero Samarcanda ed il suo Registan?
Quante e quali differenze si possono trovare tra gli abitanti di Tashkent, Khiva e Bukhara?
Come ci arrivo in Iran via terra?

Col Kazakistan ormai alle spalle, era arrivato il momento di scoprire tutto questo.
In un paese a lungo immaginato, e finalmente di fronte a me: l’Uzbekistan.

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23 Settembre, verso Tashkent ◀ Giorno 361 🇰🇿 – 🇺🇿 ▶
Ce l’ho fatta.
Con una catena in mano ed una fotocamera rotta, ma ce l’ho fatta.
E adesso a noi due, Uzbekistan!

[ 23 Settembre 2017 ] Confine Kazakhstan – Uzbekistan di Chernayevka. 3 pm.

24 Settembre, Tashkent ◀ Giorno 362 🇺🇿 ▶
Non ho proprio la più pallida idea di come trascorrerò questa sofferta e tremendamente calda domenica Uzbeka, a Tashkent!

[ 24 Settembre 2017 ] Tashkent (Uzbekistan). Art Hostel. 8 am.

25 Settembre, Tashkent ◀ Giorno 363 🇺🇿 ▶
Perché, dopo una serie di sfighe celesti, bisogna aiutare il proprio karma.
Oppure, come in questo caso, giocarselo una volta per tutte.

[ 25 Settembre 2017 ] Tashkent (Uzbekistan). 4 pm.

27 Settembre, Tashkent ◀ Giorno 365 🇺🇿 ▶
Dopo Samarcanda – ormai alle porte – ecco un altro tassello del viaggio ed una nuova parte di questa Via della Seta prendere forma.
Un altro piccolo sogno che inizia a delinearsi e che presto diverrà reale: Iran!

[ 27 Settembre 2017 ] Tashkent (Uzbekistan). 3 pm.

29 Settembre, Tashkent ◀ Giorno 367 🇺🇿 ▶
Delle “cose da fare a Tashkent”:
Sistemare catena bicicletta: fatto.
Visto Iran: fatto.
Visto Turkmenistan: richiesto ed in attesa.
Riparare macchina fotografica o comprarne una nuova: fatto oggi.

La mia cara Olympus, alla fine, non ha superato i due mesi di viaggio; servirebbe un’ispezione accurata per ripararla e forse pezzi di ricambio. Non fattibile a Tashkent.
Con l’aiuto di un amico, così, sono riuscito a vendere il mio obiettivo Panasonic e rientrare di due verdoni, in modo da acquistare un altro apparecchio senza lasciare un rene.
Una semplice Canon (non si trova altro in questa parte di mondo, a parte Nikon e Canon), modello beginner. Non avevo intenzione di spendere quanto un mese (o più) di viaggio, ma mi serviva comunque trovare una soluzione. Spero di non rimanere deluso e di riuscire a condividere ancora qualche fotografia degna di tale nome.

Nel frattempo l’autunno è arrivato in Uzbekistan: dai 30 gradi di due giorni fa si è passati repentinamente a pioggia, cielo grigio, 10 gradi e amarezza delle foglie.
Complici freddo e spesa imprevista, ho sentito il bisogno di un piatto caldo: il Plov.

Un rito, un’usanza, una cultura, un dio in Uzbekistan, più che un piatto.
Ogni località vanta la sua ricetta speciale – ovviamente ritenuta unica ed inimitabile – motivo di forte vanto e discussione in tutto il popolo.
Sostanzialmente si tratta di una combinazione gustosa ed importante (in termini calorici e di “riempimento”) di riso + carote + carne, cucinata in pentoloni grossi come l’Asia Centrale.
Ah, e olio.
Giusto un po’ d’olio.
Sí, insomma … leggero.
Lo si sente anche dal suono che fa: Plov.

[ 29 Settembre 2017 ] Tashkent (Uzbekistan). Plov Center. 2 pm.

30 Settembre, Tashkent ◀ Giorno 368 🇺🇿 ▶
Chi sa qualcosa dell’Uzbekistan?
Voglio dire, oltre a sapere che è in Asia Centrale, che è un ex soviet dell’Unione e che vi si trova Samarcanda … chi sa qualcosa in più?
Io stesso, ad essere onesto, sapevo poco o nulla prima di mettervi piede.
Tutt’oggi, trascorsa una settimana dal mio ingresso, brancolo ancora nel buio.
La sola Tashkent ha fagocitato per ora interamente la mia attenzione ed i miei giorni, tra burocrazie varie ed imprevisti da risolvere; una Capitale giovane, ricostruita interamente dopo un terremoto che la rase al suolo nel 1966, esempio di piacevole ed illuminata urbanistica bolscevica che oggi, grazie ad un cielo perfetto ed una fotocamera nuova (di cui tuttavia potrei essere più soddisfatto), mi ha regalato il lato più scintillante ed appariscente di sé.
Eccolo qui.
La scoperta dell’Uzbekistan è cominciata.

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Appendice al giorno 368
Ieri scrivevo del “lato più scintillante di Tashkent”, allegando foto di monumenti, cibo e parchi.
In realtà, però ce n’è un altro, e ben più importante.
Chi ti scorta al confine per farti superare la fila come segno di benvenuto, chi ti accompagna a sistemare la catena della bici in cambio di niente, chi ti dà consigli e ti chiede se hai bisogno di aiuto, chi si ferma per farti una foto o chiedertene una, chi non sa parlare inglese ma ti sorride e ti abbraccia, chi l’inglese lo vuole praticare e ti domanda di parlare, chi si siede al tavolo di fronte a te e ti offre quello che ha, chi brinda con te e ti stringe, chi ti guarda e basta e ti saluta portandosi una mano sul cuore.
Chi ti tratta come un amico ed un fratello per una settimana intera (grazie di cuore, Umid).
Il lato più scintillante di Tashkent – e dell’Uzbekistan – è soltanto uno.
Gli Uzbeki.

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1 Ottobre, Samarcanda ◀ Giorno 369 🇺🇿 ▶
Primo di Ottobre, duemiladiciassette.
E provate oggi a chiedermi se sono felice.
Samarcandaaaaaaaaahahah!

[ 1 Ottobre 2017 ] Samarcanda (Uzbekistan). Registan. 2 pm.

2 Ottobre, Samarcanda ◀ Giorno 370 🇺🇿 ▶
Samarcanda.
La mitica Samarcanda.
Da sempre – non sarò di certo l’unico – presente nelle mie fantasie di viaggio più fanciullesche; insieme al Perito Moreno ed a Mostar faceva parte del trittico delle meraviglie che avrei voluto vedere almeno una volta nella vita (e, insieme all’Iran, tappa fondamentale di questo viaggio).

Faceva, perché non è più un desiderio.
Dopo averla a lungo sognata ed immaginata, Samarcanda ieri è divenuta realtà.
Ecco perché ho provato una strana ed incontenibile felicità.
La sola idea di esserci arrivato – e di averlo fatto con le mie sole forze – mi ha regalato una scarica di adrenalina ed entusiasmo che non provavo da tempo. Forse da quando posai il mio sguardo, per la prima volta, sulle acque del lago Bajkal.
Tanto forte da lasciarmi quasi stremato.

Oggi, difatti, mi sono svegliato privo di forze e con l’umore blando.
Complice un clima incerto – con un vento che a metà mattina ha iniziato a spirare feroce da sud, portando caldo e sabbia – ho deciso di aspettare ad immergermi nei richiami epici della città, il cui bagliore mi aveva già fatto gioire ieri.

Come sempre faccio, in questi casi, sono montato in sella alla mia bici ed ho iniziato a pedalare. Totalmente a caso. Seguendo le strade, i vicoli, le sensazioni. Perdermi, a Samarcanda, era quello che volevo. E così ho fatto.

L’odierna Samarcanda non ha nulla a che vedere con i fasti di Tamerlano, le ricchezze delle carovane o con il pugno di ferro sovietico che l’ha fatta risorgere e poi trasformata; è una città grande, neanche tanto bella ad essere sincero, dove persone normali vivono una vita normale con pensieri normali ed abitudini normali.
Sì, insomma … le giornate, a Samarcanda, trascorrono normali; come in tutte le città del mondo.

Che si respiri storia e magia tutto intorno, però, è un dato di fatto.
Ed il tramonto torna sempre a ricordarlo.

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3 Ottobre, Samarcanda ◀ Giorno 371 🇺🇿 ▶
Anche oggi, a Samarcanda, ne avrei di raccontare di cose.
A fine giornata, però, mentre tornavo verso l’ostello, ho udito da lontano dei ragazzini giocare a pallone.
Mi sono illuminato.
Così ho scoperto che, proprio dietro il Registan (che sarebbe come dire il Colosseo a Roma o gli Champs Elysees a Parigi) c’è un parco dove i bambini giocano a pallone.
Scalzi.
E nessuno dice niente.
Trovo tutto questo bellissimo.
Poi ovviamente non ho potuto fare a meno di sfidarli.
E di vincere.

PS: scusate la qualità della foto, ma è stata scattata da un bambino che si divertiva a giocare con la mia macchina; è mossa e sfocata (anche se non ho idea di come il bambino sia riuscito a mettere a fuoco me, in corsa), ma per me rappresenta comunque un momento impagabile, da ricordare … e da condividere.

[ 3 Ottobre 2017 ] Samarcanda (Uzbekistan). Registan Park. 5,30 pm.

4 Ottobre, Samarcanda ◀ Giorno 372 🇺🇿 ▶ VIDEO
CINEMA REGISTAN presenta: “Benvenuti in Uzbekistan!”

Un po’ lungo, ma in alcuni punti merita davvero.
A tratti sublime e a tratti pacchianissimo (al suv finale c’era da andarsene facendo la ruota).
Il Registan di Samarcanda, tuttavia, rimane magico.

PS: secondo me tutto questo non accadeva ai tempi di Temerlano. Soprattutto per i Giappi.

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Registan.mp4

 

5 Ottobre, Samarcanda ◀ Giorno 373 🇺🇿 ▶
Quando arrivai a Samarcanda, 4 giorni fa – lo sapete – fui immediatamente preda di uno strano entusiasmo.
Ancora in stazione, non appena sceso dal treno da Tashkent, ebbi bisogno di sedermi un attimo su una panchina per realizzare davvero dove fossi arrivato.
Presi il telefono ed impostai il nome del mio ostello sulle mappe; sapevo che era a due passi dal Registan – il punto nevralgico della città e probabilmente di tutta l’Asia Centrale – ma dovevo comunque percorrere i 9 km che lo distanziavano dalla stazione dei treni.
Dopo averne mangiati 7, decisi di spegnere il GPS e di lasciarmi guidare dalle enormi cupole di maiolica azzurra che avevo scorto da lontano.
Le mappe non servivano più.
I battiti erano già a mille.

Una volta giunto di fronte al mausoleo provai un’emozione unica, impossibile da raccontare, e mi lasciai andare ad una risata di felicità.
Ero davvero entrato a Samarcanda!

Varcai il portone d’ingresso e, posta la bicicletta accanto ad un muretto, iniziai a camminare in un sogno.
Quando mi risvegliai, chiesi ad alcuni turisti francesi di scattarmi una foto – a memorandum – quindi mi allungai verso l’uscita. Lì fui salutato da Eric, un ottantenne americano desideroso di conoscere uno strano viaggiatore in pieghevole; felice, mi abbandonai con lui in una chiacchierata di mezz’ora e lentamente recuperai la cognizione del tempo.
Quindi, affamato, mi incamminai verso il vicino Bazaar per trovare un luogo dove rifocillarmi.

Scelsi un ristorante usato quasi esclusivamente da uzbeki e mi sedetti; la giovane cameriera che mi accolse era di una bellezza rara, mai vista prima, che mi lasciò di stucco. Pranzai lentamente, guardandola di tanto in tanto mentre passava e mi rivolgeva un sorriso timido, fin quando il mio piatto (non ricordo che cosa ordinai) si vuotò e la tisana del tè si rinsecchì.
“Tanta roba, Samarcanda!”, dissi tra me e me.

Dopo circa un’ora con le gambe incrociate, a stomaco e sensi pieni, ero ormai totalmente rientrato in me e così iniziai a pensare razionalmente.
“Strano, però … me l’aspettavo più imponente, questo Registan”, bofonchiai.
Quindi, reimpostata la mappa sul telefono, iniziai a pedalare verso l’ostello, segnalato ormai a meno di un chilometro.

Quando vi sfrecciai vicino, nella piazza antistante, notai alla mia destra altre cupole di maiolica azzurra, contornate da palazzi giganteschi.
Allargai la mappa per capire di che cosa si trattasse e, facendo ciò, risi sonoramente di me: il luogo dove mi ero smarrito quasi tre ore prima (e che a mente fredda mi era sembrato meno impressionante di quanto mi aspettassi) non era quello che credevo, bensì il mausoleo di Bibi Khanym, uno dei tanti di Samarcanda.
Il Registan – l’imponente Registan – era quello che stavo ora osservando, dal retro e senza nemmeno essermene accorto prima.
“Che pirla …”

Fu così che lo raggiunsi, per la prima volta.
Per errore.
Poi però vi tornai, ogni giorno.
A tutte le ore e con ogni clima.
Osservandolo invaso dai turisti e godendomelo in solitudine poco dopo l’alba, immaginando come potesse essere stato avvistarlo da lontano, nei secoli addietro, quando era circondato soltanto da capanne e deserto.
Perdendomi – come farò anche fra poco, prima di andarmene in treno stanotte – in ogni suo colore, in ogni sua sfumatura ed in ogni suo riflesso.

Ogni volta rimanendo come la prima, a bocca aperta.
Ogni volta senza mai più riuscire a rientrare totalmente in me.
Forse perché, abbagliato da tanta bellezza, non è una cosa umanamente possibile.
O forse perché, davanti ad uno spettacolo come questo, semplicemente non ho più davvero avvertito il desiderio di volerlo fare.

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6 Ottobre, Khiva ◀ Giorno 374 🇺🇿 ▶
12 ore di treno più 3 di bici controvento per lasciare Samarcanda e raggiungere l’antica cittadella – museo di Khiva.
Avrò fatto bene?

[ 6 Ottobre 2017 ] Khiva (Uzbekistan). 4 pm.

7 Ottobre, Khiva ◀ Giorno 375 🇺🇿 ▶
Pur essendo di dimensioni estremamente ridotte (dalla Porta Nord alla Porta Sud sono una manciata di minuti di cammino), la cittadella di Khiva vanta una storia ricchissima.
Antico caravanserraglio sulla Via della Seta, fu la capitale di numerosi Khan e famoso crocevia di schiavi e mercanzie. Fu difesa per secoli e poi distrutta dall’invasione bolscevica, che la fece tramontare quasi definitivamente. Riscoperta in età moderna, è tornata agli antichi fasti grazie all’aiuto ed al denaro dell’UNESCO, ed è oggi meta importante – e meravigliosa – di ogni tipo di viaggio in Uzbekistan.

Vi sono due Khiva.
Quella delle mura ricostruite, degli autobus parcheggiati, delle guide, degli stormi giapponesi, delle torri e delle madrasse, dei selfie, dei negozi di souvenir, delle officine di tappeti e vestiti, degli hotel, dei ristoranti e dei biglietti da comprare.
E poi quella dei minareti, dei Bazaar, dei mattoni e delle vie insabbiate, delle case in fango rinsecchito e dei tramonti senza tempo, dei bambini che giocano e di quelli che ti sbirciano da una porta, della vita che scorre quotidiana in quello che alla fine non è altro che un villaggio antico, circondato da mura fortificate e diventato oggigiorno un museo a cielo aperto.
Una Khiva dove è impossibile non passeggiare stralunati e scattare decine di foto, ed una Khiva dove una fotografia sarebbe una vergogna.

Un luogo dove oggi, mentre mi aggiravo da solo tra le case della parte Sud, mi sono imbattuto in una viuzza splendida, dove una donna stava camminando in controluce; un’immagine perfetta, per una fotografia.
Ad un tratto, però – mentre mettevo a fuoco – la donna si è appoggiata al muro, accasciandosi. Mi sono avvicinato per chiederle se avesse bisogno di aiuto e ho così potuto vedere da vicino, avvolta in foulard che la nascondevano interamente, una vecchina dall’età indefinibile. In una mano stringeva un sacco, nell’altra un bastone per camminare.
Respirava con affanno e, una volta a pochi centimetri di distanza, l’ho sentita ansimare profondamente. Mi ha guardato con due dolcissimi occhi azzurri, portandosi una mano sul cuore come per farmi capire che il problema arrivasse proprio da lì. In silenzio l’ho aiutata ad alzarsi e, dopo aver imbracciato il suo leggero sacco, ho stretto la sua mano per accompagnarla dove era diretta. Poche decine di metri in effetti, senza che lei abbia però mai smesso di ansimare un secondo. Raggiunto un piccolo patio l’ho sorretta fino all’entrata di casa dove lei, una volta seduta, si è sciolta in un sorriso senza denti ed un caloroso abbraccio materno. Al suo “Rahmat” (grazie in uzbeko) ho lasciato che le mie dita stringessero un’ultima volta, per alcuni interminabili secondi, la carne piena di vita di una donna che ha trascorso qui la sua centenaria esistenza e che porta questi luoghi nella sua pelle, nel suo cuore e nella sua anima.
Una donna che non rivedrò mai più, ma che di certo non dimenticherò facilmente.
Lei, il ricordo più indelebile di Khiva.

(Non ho scattato una foto di questa donna. Per un attimo ho pensato di chiederglielo – e credo che lei me l’avrebbe anche concesso – ma mi sarei sentito un po’ un vigliacco se l’avessi fatto, dopo un momento simile)

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8 Ottobre, verso Bukhara ◀ Giorno 376 🇺🇿 ▶
Da quando questa buffa storia dei viaggi con una bici pieghevole è cominciata, più di due anni fa ormai, molte volte mi è stato domandato come riuscissi a mantenermi e finanziarmi senza lavorare.
Dove li trovi i soldi?
Chi ti sponsorizza?
La risposta è che ho sempre fatto tutto da solo, attingendo ai risparmi messi da parte in anni di lavoro e cercando di mantenere delle spese giornaliere il più basse possibili; non ho mai cercato sponsors, soprattutto perché non ero in grado – né volevo – garantire qualcosa a qualcuno, bensì provare a vedere dove potessi arrivare in totale libertà di tempo e movimento.
Così fu in Grecia e per la prima parte di questo lungo viaggio, da Milano a Bangkok.
Fino alla ripartenza di luglio, quando trovai l’appoggio di un tour operator (Metamondo), specializzato in Asia Centrale, che ha visto delle potenzialità in quello che sto facendo e che ha deciso di prendere parte a questa seconda parte sulla Via della Seta.
Ieri, a Khiva, ho ritrovato questo tour operator. In uno dei suoi gruppi organizzati per i tesori dell’Uzbekistan; ho udito delle voci parlare italiano e mi sono imbattuto in un logo familiare, scoprendo fin da subito l’interesse e la simpatia di Monica (la gentile tour leader, a conoscenza del mio progetto) di Bakhshillo (la splendida guida locale) e di tutti i partecipanti al viaggio.
I quali, tutti insieme, mi hanno offerto un passaggio in autobus verso Bukhara, la nuova destinazione, risparmiandomi tempo e denaro e soprattutto regalandomi, per una giornata intera, quella giovialità che solo un gruppo felice di italiani sa generare.
E che tanto mi mancava.
Un dono totalmente inaspettato.

[ 8 Ottobre 2017 ] Viaggio in Bus da Urgench a Bukhara (Uzbekistan). 11 am.

9 Ottobre, Bukhara ◀ Giorno 377 🇺🇿 ▶
È possibile trascorrere un giorno a Bukhara e non vedere quasi nulla?
Sì.
Soprattutto quando la mattinata viene interamente fagocitata da una notizia quasi insperata, e cioè che il Turkmenistan ha approvato la mia richiesta di visto di transito, con inizio fra 6 giorni.
Dovrò tornare in fretta a Tashkent a ritirare il visto, quindi a Bukhara per continuare il viaggio verso il confine Turkmeno e magari iniziare a pensare come attraversare in pochi giorni un paese completamente sconosciuto e difficilmente accessibile in autonomia.
Tempo e “testa” per scoprire Bukhara, insomma, oggi proprio non ne ho avuti.
Eppure per quel poco che ho potuto constatare in un paio d’ore di giri in bici, Bukhara sembra davvero una nuova, assoluta meraviglia.

[ 9 Ottobre 2017 ] Bukhara (Uzbekistan). Moschea Kaylan. 4,30 pm.

10 Ottobre, Bukhara ◀ Giorno 378 🇺🇿 ▶
Si racconta che l’ultimo emiro di Bukhara, durante i giorni di mercato, fosse solito lanciare i suoi oppositori dalla cima del Minareto di Kalon, per educare il popolo.
Il Minareto di Kalon, alto quasi 50 metri, fu per secoli l’edificio più alto di tutta l’Asia Centrale.
Alim Khan, l’ultimo emiro di Bukhara, governò fino a quando fu sconfitto dall’Armata Rossa … nel 1920.
Credo che soltanto questo basti a dare un’idea di quanta storia e di quanto fascino vi siano dietro a questa deliziosa ed inimitabile perla dell’Uzbekistan e del mondo intero.

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11 Ottobre, Tashkent ◀ Giorno 379 🇺🇿 ▶
Ah. Ok.
Quindi non era uno scherzo.
La storia del visto era proprio vera.
Uno dei paesi più chiusi al mondo – forse secondo solo alla Corea del Nord – mi ha concesso di entrare.
In autonomia. Per massimo 5 giorni.
E adesso? …
Comunque viva il Turkmenistan!

[ 11 Ottobre 2017 ] Tashkent (Uzbekistan). 4 pm.

13 Ottobre, Tashkent ◀ Giorno 381 🇺🇿 ▶
Rientrato a Tashkent per ritirare un insperato visto Turkmeno, ho scelto di trascorrere gli ultimi giorni in terra Uzbeka in questa città, dove il clima autunnale è tornato piacevole ed io sono circondato da parchi e qualche generoso amico.
Le giornate scorrono così tranquille, tra ricerche sui prossimi paesi, camminate (o pedalate) tra gli alberi e semplici momenti di relax quotidiano; insomma, non c’è molto da raccontare e condividere.
Allora oggi vado indietro di una settimana, e più precisamente alla visita alla fabbrica di carta di Samarcanda: una produzione importata dalla Cina diversi secoli fa e che per molto tempo è rimasta una delle più pregiate al mondo. Tornata in auge negli anni recenti, ecco a voi una piccola documentazione di fotografie di uno dei tesori più rinomati dell’antica Via della Seta.
E per citare un amico … tutto ciò “accadde, naturalmente, a Samarcanda”.

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14 Ottobre, Tashkent ◀ Giorno 382 🇺🇿 ▶ VIDEO
Il punto della situazione ed i possibili sviluppi dei prossimi giorni: Uzbekistan  🔜 Turkmenistan  🔜 Iran!

PS: la gentile connessione Uzbeka è crollata prima del “Ciao a tutti!” finale.

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Uzbekistan.mp4

 

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MAPPA DEI LUOGHI

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KAZAKISTAN: da Almaty a Shymkent, ed una pedalata sventurata (15 – 23 Settembre)

Febbraio 21, 2018 2638 Views

Dopo tre sorprendenti settimane in Kirghizistan, il viaggio prendeva un’inattesa deviazione.
L’Est e l’Uzbekistan avrebbero aspettato ancora otto giorni; un altro immenso paese, situato a Nord, avrebbe catturato la mia attenzione.
Troppo esteso per essere scoperto totalmente, lasciai che il Kazakistan mi rivelasse soltanto alcuni dei suoi innumerevoli dettagli: le ricchezze di Almaty, lo splendore delle sue montagne, la desolazione di Shymkent e le prime cupole blu della mia Via della Seta, a Turkistan.
Per poi inforcare la bicicletta e cominciare una lunga pedalata – quantomai infausta – verso il confine uzbeko, e quindi Tashkent.

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15 Settembre, verso Almaty ◀ Giorno 353 🇰🇬 – 🇰🇿 ▶
Il Kazakistan, prima di partire, non rientrava tra i miei piani. Durante il viaggio, tuttavia, ho sentito altri viaggiatori parlarne molto bene. Soprattutto – tenendo a mente che si tratta di uno dei paesi più estesi al mondo (credo il settimo) – della parte Sud e di Almaty.
Il mio visto Uzbeko inizia domenica, ma ho deciso di aspettare ancora qualche giorno ad entrare … passando, appunto, per il Kazakistan.

Almaty dista da Bishkek circa 250 km.
In marshrutka o taxi è una tratta facilmente percorribile, in circa 5 ore di guida.
In bicicletta, dovendo superare diversi dislivelli e steppe desertiche, tra i 2 ed i 3 giorni.
Ancora una volta, così, ho optato per l’intermodalità: 30 km di pedalata mattutina per raggiungere il confine + tratta kazaka in marshrutka.

Una volta passata la dogana, ho domandato ad un simpatico gendarme kyrgyzo di scattarmi una foto.
Seppur vietato, ha risposto “DA”.
I kyrgyzi, di fondo, sono delle meraviglie.

Ed insomma eccola qui, l’istantanea del mio passaggio in frontiera e della mia prima tratta in bicicletta (da carico) di questa seconda parte del viaggio.
Solo 30 km.
Sì, lo so, sono ridicolo (tant’è che io stesso mi sono messo a ridere durante lo scatto).
Però posso anche dire di aver davvero raggiunto in Kazakistan in sella alla mia bici.
In maniera letterale, del resto… non fa una grinza.
Ed io non posso che esserne felice.

[ 15 Settembre 2017 ] Confine Kyrgyzstan – Kazakhstan a Kordai. 11 am.

16 Settembre, Almaty ◀ Giorno 354 🇰🇿 ▶  VIDEO
Almaty mi ha preso fin da subito; sembra una Bishkek un po’ più moderna, pulita, alberata, rilassata e più vicina alle montagne.
Avendo anche trovato ospitalità, credo che ci rimarrò per qualche giorno.
Come sempre mi piace fare quando sono in una nuova città, ho chiesto a Railya – la mia ospite di origine Uzbeko / Tatara, ma residente in Kazakistan – di suggerirmi un posto da cui poter vedere la città dall’alto. Una collina, una montagna, un belvedere, una torre … un punto panoramico insomma.

“Oh, puoi andare a Kok Tobe! Da lì c’è una bella vista!”
“Ok, ottimo! E come ci arrivo?”
“Dovresti trovarlo sulle mappe. Comunque basta che vai verso le montagne, sicuro che lo trovi!”

I problemi sono stati però due:
1) Almaty è per metà totalmente circondata da montagne
2) Alle volte pecco di eccessiva sicumèra

Soltanto dopo 30 chilometri di ostinata salita (e credo uno di dislivello) mi sono accorto di aver impostato sulle mappe – e quindi seguito – la strada verso il Kok Tobe Restaurant, in una delle tante valli a Sud di Almaty, verso i valichi di confine col Kyrgyzstan.

“Molto bene” – mi sono detto. “Sono stanco, sudato e completamente fuori strada. Come inizio in terra Kazaka non è certo una roba da campioni.”
Poi però ho trovato questo posto. Con un fiume.
Così mi sono fermato, e – chissà perché – alla fine ero contento di essermi perduto.

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Almaty.mp4

 

17 Settembre, Almaty ◀ Giorno 355 🇰🇿 ▶
Almaty – nata a metà ottocento col nome di Vernyj, poi diventata Alma-Ata (il cui bizzarro significato è “il padre delle mele”) e quindi ribattezzata, come è nota oggi, in età sovietica – è la vecchia capitale del Kazakistan (a fine anni ‘90 è stata soppiantata da Astana) e, stando ad alcune fonti, la città più popolosa del paese.
È una città che sorge alle pendici di montagne perennemente innevate, e si sviluppa in obliquo.
Più si sale – mi è stato detto – più si incontra la Almaty “bene”, affascinante, spaziosa, vivace ed opulenta.
Più si scende e più ci si immerge nella realtà più povera ed autentica di una terra che, dopo secoli di nomadismo, è diventata una giovane repubblica fondata sul gas e le esportazioni di elementi naturali.
Oggi, domenica, sono salito fino al punto panoramico di Kok Tobe (finalmente quello giusto) e poi ho gironzolato per la parte “in” della città.
Brutta? Tutt’altro. Molto bella a dire il vero.
Forse un poco finta, ma non bisogna dimenticare che la storia di Almaty è pressoché agli albori.
Il vero Kazakistan probabilmente è altrove; magari domani, scendendo verso la pianura, ne capterò qualche sfumatura in più.

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19 Settembre, Almaty ◀ Giorno 357 🇰🇿 ▶
Tutte le città sono più belle quando sono osservate dall’alto di una montagna.
Lo spirito si eleva, lo sguardo si discioglie.
Soprattutto quando la vetta è stata agognata, sudata e raggiunta con le sole proprie forze.
La vista allora, da lassù, sarà di certo impagabile.

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20 Settembre, Almaty ◀ Giorno 358 🇰🇿 ▶
“Quindi come va al lavoro?
E la fidanzata?
Figli? A quando?
E, dimmi un po’, dov’è che abiti?”

“Ehm … no, ascolta … sono in Kazakistan. Da solo. E sto aspettando un treno notturno. Per un posto che si chiama Shymkent. E no, non ho idea di come sia. Tantomeno perché ci vado. Però mangio tante mele. Va bene lo stesso?”

[ 20 Settembre 2017 ] Almaty (Kazakhstan). Stazione Alma Ata 2. 10 pm.

21 Settembre, Shymkent ◀ Giorno 359 🇰🇿 ▶
Shymkent, sede di una base strategica per i Mongoli sull’antica Via della Seta ed attuale terza città più popolosa del Kazakistan.
Shymkent, nota al mondo per aver dato i natali alla famosissima (?) ginnasta Nellie Kim e conosciuta anche come “la Venezia delle Steppe” o “la Parigi insabbiata”.
Shymkent, “la Magnifica”.
Eccola, Shymkent, con veduta sulla piazza principale.
Tipo Piazza del Plebiscito a Napoli, oppure San Carlo a Torino.
Quasi dai …
Con tutto il rispetto per Nellie Kim.
Ah, com’è bello – e difficile – alle volte essere italiani.

[ 21 Settembre 2017 ] Shymkent (Kazakhstan). Independence Park Square. 5 pm.

22 Settembre, Turkestan ◀ Giorno 360 🇰🇿 ▶
L’avevo pensato come un giorno di riposo (in previsione della pedalata di domani verso l’Uzbekistan), poi però ho scoperto che a due ore di bus da Shymkent giace la cittadina di Turkestan.

Nel centro di Turkestan si trova il mausoleo di Khawaja Ahmed Yasawi, commissionato nel 1390 da Tamerlano in onore di un grande predicatore islamico vissuto due secoli prima. Oggi si tratta di un sito Unesco, riconosciuto come il monumento più importante di tutto il Kazakistan.
Per i musulmani dell’Asia Centrale è inoltre un punto di riferimento importante; credenze locali dicono che tre pellegrinaggi al mausoleo di Turkestan equivalgono ad uno a La Mecca.

Detto tutto questo … potevo forse perdermelo?
So che da qui in avanti immagini di questo tipo si ripeteranno ancora (e probabilmente saranno anche molto più entusiasmanti), ma mi sembra di essere tornato al giorno in cui entrai a Jinghong, in Yunnan, e mi trovai di fronte per la prima volta al Mekong.
Un fiume che avrei costeggiato e rivisto per i mesi a seguire, e di cui non mi stancai mai.

In qualche modo, così come allora, da oggi mi sento su una strada nuova.
Come se da qui, da Turkestan – complici un mausoleo e la prima cupola in maiolica azzurra – iniziassi finalmente a percorrere quella Via il cui desiderio ho nutrito per tanto tempo, sognandola come un bambino alle prese con le prime ombre ed i primi colori; antica e misteriosa, fatta di imperi ricchissimi e decaduti, di commerci e battaglie, di eroi e carovane, di pellegrini e fortezze, di deserti e principesse, di datteri e di profumo di vino … e di storia immortale.

Finalmente, sì, eccolo qui.
Il mio vero inizio sulla Via della Seta.

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Verso l’Uzbekistan – VIDEO 1

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-fotocamera-rotta.mp4

 

VIDEO 2

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-catena-rotta.mp4

 

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KIRGHIZISTAN: da sud a nord, al cospetto di una natura mozzafiato (25 Agosto – 14 Settembre)

Febbraio 19, 2018 3347 Views

Attraversato il Passo di Irkeshtam con una catena rotta, entravo in un paese il cui nome nemmeno sapevo pronunciare.
Una terra a me completamente sconosciuta, che fin da subito mi colpì per le enormi differenze con la vicina grande Cina: lingua cirillica, influenze sovietiche, popoli dalle vocazioni nomadi ed una natura incontaminata e strepitosa.
Da Osh a Bishkek – campeggiando tra le foreste di Arslanbob, al cospetto delle acque del lago Issyk Kul e, coi nomadi, tra i silenzi magici del lago Song Kul – alla scoperta di uno dei paesi più sorprendenti di tutto il mio viaggio: il KIRGHIZISTAN.

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25 e 26 Agosto, Osh ◀ Giorni 332/333 🇰🇬 ▶
Ho raggiunto Osh a sera già inoltrata di giovedì. Con l’aiuto di un navigatore offline e la guida di Ruzik ho cercato la Tes Guesthouse, consigliatami da Fernando il giorno stesso (durante l’infinita tratta da Kashgar).
Ero stanco ed affamato.

Il navigatore ci ha condotto di fronte ad un ponte bloccato, a poche centinaia di metri dalla Guesthouse. Ruzik, dopo avermi aiutato a scaricare i bagagli, mi ha stretto la mano augurandomi qualcosa in russo. Nel buio di un paese nuovo – e, come ricorderete, con la bici inagibile per via della catena rotta – probabilmente mi ha sospirato un “buona fortuna” in accento kyrgyzo.
Un buonuomo, riconoscendomi come straniero e vedendomi muovermi alla cieca, si è avvicinato chiedendomi “Hostel?”.
“Da!” – ho risposto.
Il suo dito ha subito indicato la destra, facendomi intendere di seguire qualcosa dietro ad un angolo murato.
La Tes Guesthouse era lì dietro.
Un sospiro di sollievo.

Non potevo crederci.
Mi aspettavo un buco purulento, ed invece ho trovato tende, biciclette di altri cicloviaggiatori (molto più seri di me, c’è da dire), birre, rose, un prato profumato e la pizza di Nicola, un altro viaggiatore italiano che mi ha rasserenato all’istante con la sua giovialità.
Osh, insomma, mi ha sorriso fin dal principio.

L’indomani mattina (cioè ieri), con l’aiuto di Rae, Jens e Julia ho subito sistemato la catena della bici. Piantata poi la mia tenda, ho iniziato il mio ozio nel tepore quasi materno di Osh; giornate calde e sere tiepide hanno accompagnato la nenia. Bucato, esercizi, lunghe chiacchierate e risotti le mie uniche occupazioni.
Qualche pensiero intorno ai giorni a venire, ma non più di tanto.
Domani, Domenica, proverò ad uscire dalla tana in cui mi sto crogiolando da due giorni.
Alla scoperta di Osh.

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27 Agosto, Osh ◀ Giorno 334 🇰🇬 ▶
Osh non è una bella città.
Anzi, a dirla tutta, non credo che nessuno si offenderebbe se dicessi che Osh è persino bruttina.
Eppure …
Eppure a Osh c’è un Bazaar dove i sensi danzano, c’è un parco dove gente di ogni età gioca e si diverte, c’è un fiume dove i bambini nuotano ad ogni ora del giorno, ci sono viali alberati e panchine per chiacchierare, fiori per i marciapiedi e sguardi sinceri, ci sono moschee, statue di Lenin ed una montagna sacra, dove i kyrgyzi si recano a pregare, aspettando alba e tramonto.
Insomma, Osh sarà anche bruttina, ma è un concentrato di vita incredibile.
Vita di quella buona.
Quel tipo di vita che fa pensare, a momenti, che mettere radici non sembrerebbe nemmeno una cosa impossibile.
Se solo fossi in grado di capire il russo.

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28 Agosto, Arslanbob ◀ Giorno 335 🇰🇬 ▶
La tratta Osh – Arslanbob tutto d’un soffio (o quasi, se tre ore su tre minibus locali possono essere considerate tali), per poter imbracciare lo zaino verso le cascate, le foreste e le stellate di una notte tra le montagne kyrgyze.

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29 Agosto, Arslanbob ◀ Giorno 336 🇰🇬 ▶
Quando si sceglie di viaggiare a lungo, da soli, cercando in parte di seguire un itinerario ed in parte di lasciar agire il caso, qualcosa succede sempre.
Nell’immobilità ci si affloscia, nel movimento – anche se disorganizzato, sconfusionato e talvolta incosciente – le energie tracimano.
Ci sono giorni in cui accade poco, e trovar qualcosa da raccontare non è sempre un gioco da ragazzi; altri invece in cui dover selezionare parole e fotografie – quando si è scelto di condividere il viaggio – diventa quasi un piccolo sacrilegio.
Oggi è un giorno di quelli.
Le fotografie non renderebbero giustizia.
Le parole sfuggono via.
Perché mai avrei pensato di trovare tre amici ad Osh.
Mai avrei pensato di organizzare insieme a loro un trekking di due giorni in un luogo chiamato Arslanbob.
Mai avrei pensato di lasciare bici e pesi in casa di un contadino e di iniziare a camminare verso cime alte quasi 5000 metri.
Mai avrei pensato di mettermi a cercare legna sul far della sera, nel mezzo di valli sconosciute, per accendere un falò e grigliare carne tagliata a caso sopra una pietra incandescente.
Mai avrei pensato di attendere il sonno con gli occhi rivolti alle stelle del Kyrgyzstan.
E mai avrei pensato che un giorno vicino ai 34 anni avrei attraversato un terzo di mondo per poi, all’improvviso, svegliarmi qui.
Al cospetto di questo.

[ 29 Agosto 2017 ] Arslanbob (Kyrgyzstan). Campeggio sotto le montagne. 9 am.

30 Agosto, Arslanbob ◀ Giorno 337 🇰🇬 ▶
Un nome che fino a ieri non significava niente.
E che da oggi non dimenticherò mai.
Un posto.
In Kyrgyzstan.
Arslanbob.

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31 Agosto, verso Bishkek ◀ Giorno 338 🇰🇬 ▶
Quando una “semplice” tratta di 500 km in minivan condiviso diventa un viaggio a sé.
Con la fortuna di avere dei compagni di viaggio con cui passare il tempo, ed un guidatore musulmano che ogni tot si ferma per pregare.
Scegliendo sempre posti bruttissimi per farlo.

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2 Settembre, Bishkek ◀ Giorno 340 🇰🇬 ▶
Dopo un giorno intero fermo in ostello causa febbre, oggi sono uscito un poco alla scoperta di Bishkek.
Bishkek è la Capitale del Kyrgyzstan.
La Piazza di Ala Too è la più importante di Bishkek. Ergo, la piazza più importante del Kyrgyzstan.
Eccola qui.
Continuo a pensare che quella di Pizzighettone sia meglio.
Un po’ come fu a Riga lo scorso anno insomma.
Non è un paese per piazze, direi.

[ 2 Settembre 2017 ] Bishkek (Kyrgyzstan). Piazza Ala Too. 2 pm.

3 Settembre, Bishkek ◀ Giorno 341 🇰🇬 ▶
Per rimanere in tema di piazze kyrgyze, questo è quello che succede durante le ore calde del giorno ad Ala Too, la piazza principale di Bishkek, di fronte al Museo Nazionale.
Un po’ come andare in Piazza Navona, o di fronte alla Fontana di Trevi, e vedere i bambini che giocano a pallanuoto.
Adoro questo paese.

[ 3 Settembre 2017 ] Bishkek (Kyrgyzstan). Piazza Ala Too. 2 pm.

4 Settembre, Bishkek ◀ Giorno 342 🇰🇬 ▶
Ricominciata la trafila dei visti, una cosa che mi fa impazzire di gioia.
Ed ecco allora che, per l’occasione, ho rispolverato la mia arma segreta.
No.
Non il pelo impertinente che sgattaiola fuori dalla maglietta.
Un’altra.
La più famosa.
L’entusiasmo.

[ 4 Settembre 2017 ] Bishkek (Kyrgyzstan). Uzbekistan Visa Center. 11 am.

5 Settembre, Kyzart ◀ Giorno 343 🇰🇬 ▶
Rimasta chiusa quattro giorni per via di festività e weekend, ieri finalmente riuscivo a far visita all’ambasciata Uzbeka a Bishkek.
Documenti consegnati; apparentemente tutto liscio.
Per il nuovo visto ci sarà da aspettare, ma era in preventivo.
Giudicando inutile rimanere oltre a Bishkek, ho scelto – dopo Arslanbob – di condividere una nuova esperienza insieme a Nicola e Charles, la cui compagnia in questi giorni trovo estremamente piacevole.
Il Kyrgyzstan, pur essendo una nazione piccola, offre numerose attrattive naturali e possibilità di svago all’aperto.
Nel nostro caso, la scelta è ricaduta sul Lago Song Kul.
Forse a piedi, forse a cavallo.
Lo scopriremo da domani, probabilmente senza linee telefoniche per un paio di giorni.
Di fatto la giornata di oggi è volata via nel tentativo di raggiungere in maniera autonoma il villaggio di Kyzart, l’ultimo avamposto di case non nomadi che si incontra prima delle montagne che scivolano nel Lago.
Un’avventura, come ogni trasferimento in queste terre. Lunga, a tratti scomoda e complicata, ma bellissima.
Una magnifica overture, degna dei migliori compositori.
Preludio di quello che sarà la sinfonia di domani, alla scoperta di un nuovo gioiello del Kyrgyzstan.

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6, 7 e 8 Settembre, Song Kul ◀ Giorni 344, 345 e 346 🇰🇬 ▶

VIDEO

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Kyzart.mp4

 

Vorrei essere in grado di scrivere qualcosa di più a riguardo di questa inattesa avventura a cavallo verso il Lago Song Kul, ma non sono ancora riuscito a ridestarmi dal sogno in cui sono caduto e rimasto per 3 giorni.

Spero soltanto che queste 30 fotografie (con rispettive didascalie) riescano a parlare per me.

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9 Settembre, Issyk Kul ◀ Giorno 347 🇰🇬 ▶
Dopo tre giorni a tremila e passa metri, tra vento, freddo, cavalli, yurte e montagne … ho pensato che fosse il momento giusto per andare al mare.
Peccato che oceani e mari siano lontani anni luce dai confini del Kyrgyzstan; un po’ come desiderare un buon vino in Islanda o una burrata succulenta a Phnom Penh.
Però, a 1606 metri sul livello del mare, circondato da cime innevate dai nomi leggendari, in un angolo di terra disegnato tra i giganti Kazakistan e Cina, giace Issyk Kul.
Traduzione = lago caldo.
Il lago più grande di tutta l’Asia Centrale.
Ah, che paese meraviglioso.

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10 Settembre, Issyk Kul ◀ Giorno 348 🇰🇬 ▶
Metti una domenica mattina da piccione sul lago Issyk Kul, in Kyrgyzstan.
Che creature sfortunate.

[ 10 Settembre 2017] Cholpon Ata (Kyrgyzstan). 9 am.

11 Settembre, Karakol ◀ Giorno 349 🇰🇬 ▶
Una deviazione di un giorno – e svariate ore di trasferimento in più – per raggiungere una nuova cittadina: Karakol.
Non perché mi suscitava ilarità (vista la sua traduzione spagnola, “caracol – lumaca”), né perché luogo di partenza di innumerevoli e fantasmagorici percorsi di trekking verso la sacra catena del Tien Shan e nemmeno perché particolarmente bella in sé (come potrete immaginare dalla foto).
Semplicemente, per via di alcuni amici.

Per salutare Charles e Nicola; un francese alto, taciturno e gentile ed un triestino matto e di una simpatia straripante, miei grandiosi compagni di viaggio fin dai giorni di Osh e Arslanbob, decisi a spingersi per una settimana tra le montagne del Kyrgyzstan orientale e quindi giunti al momento del distacco.

E per riabbracciare Vicki, una canadese dal sorriso contagioso, dal cuore grande e dagli innumerevoli racconti, viaggiatrice d’altri tempi e grande ambasciatrice di positività, che forse qualcuno ricorderà: fu lei – insieme al compagno Chris – ad ospitarmi in una calda e piovosa giornata del Febbraio Vietnamita, quando mi aggiravo preoccupato per una caotica e pienissima Nha Trang (per le festività del Tet) alla ricerca di una sistemazione per la notte impossibile da trovare.

Strade che si incrociano.
Persone. Compagni di viaggio. Amici.
Come sempre, tra le memorie più pure ed indimenticabili di tutto questo lungo viaggiare in solitaria.

[ 11 Settembre 2017 ] Karakol (Kyrgyzstan). 10 am.

12 Settembre, Bishkek ◀ Giorno 350 🇰🇬 ▶
A noi, Samarcanda.
È ufficiale: nasone rosso sta arrivando!

[ 12 Settembre 2017 ] Bishkek (Kyrgyzstan). 5 pm.

14 Settembre, Bishkek ◀ Giorno 352 🇰🇬 ▶
Il Kyrgyzstan, tra tutti i paesi che ho avuto la fortuna di poter visitare negli ultimi tempi, oltre a essere tra i più belli, è sicuramente anche tra i più ospitali.
Non solo per i luoghi (sublimi) e per la gente (cordiale e disponibile), bensì anche perché è tra i pochi paesi asiatici che permette a molte nazionalità di accedere senza visto o permessi di sorta.
Timbro al confine e – BAM! – 60 giorni liberi.
Una goduria, specialmente viste le innumerevoli attrazioni di questa terra.
Osh, Arslanbob, Bishkek, Song Kul, Issyk Kul, Karakol sono quelle che mi sono concesso, da che sono entrato; potrei rimanere ancora più di un mese, senza annoiarmi, ma la strada verso casa è ancora lunga e l’autunno ormai incombe.
Nuove destinazioni riscaldano già col loro richiamo, e così stamattina ho deciso che quello odierno sarebbe stato l’ultimo giorno in terra kyrgyza.
Che fare allora?
Poltrire ancora 24 ore nella capitale?
Oppure pedalare 20 km verso le montagne delle valli del Sud, salire su una marshrutka (van che fungono da trasporto pubblico in modalità sardina per tutto il paese) per mezz’ora, raggiungere l’ingresso di un parco, ottenere un passaggio in autostop (bici inclusa) per gli ultimi 10 km di salita fetente ed iniziare a camminare tra i tesori e le montagne di Ala Archa?
La risposta è in queste fotografie.
Non il massimo della fortuna in quanto a meteo, però di certo un commiato degno di memoria per questo meraviglioso paese.
Grazie, Kyrgyzstan.

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MAPPA DEI LUOGHI

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CINA: da Hong Kong a Kashgar, verso la Via della Seta (28 Luglio – 24 Agosto)

Febbraio 15, 2018 3517 Views

La PRIMA PARTE del viaggio, da Milano a Bangkok, si chiuse dopo dieci mesi con un rientro a sorpresa.
La SECONDA PARTE – un’avventura immaginata per anni, da percorrere a ritroso lungo l’antica Via della Seta – ricominciava ad Hong Kong.
Poco meno di un mese, per incrociare il vecchio cammino a Yangshuo, attraversare le regioni tibetane del Sichuan e del Qinghai e raggiungere le città mitiche di Turpan e Kashgar … prima di valicare in Kirghizistan.

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RIPARTENZA
Non c’è molto altro da dire oggi.
E soprattutto … non ci riuscirei nemmeno.

Ripartenza

Atterraggio, Hong Kong 🇭🇰
Dopo 3 ore di ritardo a Milano e 4 a Istanbul per una tempesta che ha spolverato mezza Turchia, credevo che, se mai fossi riuscito ad arrivare a Hong Kong, avrei dovuto sicuramente attendere per giorni i miei bagagli.
E invece no, eccoci tutti qui.
Freschi come rose.
Maglione Arcobaleno incluso.
Con 33 gradi umidi alle 9 di sera, però, conviene aspettare un po’ a metterlo
… prima che mi trasformi davvero in una triglia (la faccia già c’è)
Ed ora, Hong Kong, a noi!

[ 28 Luglio 2017 ] Hong Kong Airport. 9 pm.

29 Luglio, Hong Kong ◀ Giorno 305 🇭🇰 – 🇨🇳 ▶
Avrei potuto rimanere di più di sole 15 ore.
Avrei potuto pedalare un po’ per le tue strade enormi, schivando le auto, zigzagando tra i grattacieli,
le bancarelle di tofu ed i negozi di pinne di squalo.
Avrei potuto godermi una birra mirando il tuo magnifico skyline notturno da qualche punto panoramico di Kowloon.
Avrei potuto far visita a qualche tuo Buddha, oppure cercare qualche piccolo specchio d’acqua balneabile,
per attenuare la canicola opprimente.
Avrei potuto rilassarmi un poco e conoscere qualche persona in più oltre a David, Xixi, Philip e la loro gentilezza quasi imbarazzante.
Avrei potuto spendere 30 Dollari per un posto letto, una notte in più, in una scatoletta di sardine.
Avrei potuto, ma non l’ho fatto.

Mi serve altro in questo momento, ed il richiamo della Cina è troppo forte.
Scusami se ti ho dedicato il tempo che si dedica normalmente ad un casellante, ma d’altronde lo sapevi già.
Comunque grazie anche a te, Hong Kong.
Grazie veramente.


[ 29 Luglio 2017 ] Confine Hong Kong – Cina a Lok Ma Chau. 3 pm.

30 Luglio, Yangshuo ◀ Giorno 306 🇨🇳 ▶
Ho lasciato Hong Kong in fretta e furia perché, come dicevo, il richiamo della Cina era troppo forte.
Non di tutta la Cina, ovviamente.
Bensì quella che avevo tanto amato.
Quella Cina che è fatta così.

[ 30 Luglio 2017 ] Yangshuo (Cina). Fiume Yulong. 6,30 pm.

31 Luglio, Yangshuo ◀ Giorno 307 🇨🇳 ▶
Lo scorso autunno, quando mi fermai allo Yangshuo Outside Inn per 40 giorni e la sera, finito di lavorare, andavo a nuotare nelle acque verde scuro del fiume Yulong, i Cinesi mi prendevano per pazzo.
Troppo freddo per loro, seppure con punte talvolta vicine ai 30 gradi. Semplicemente impensabile nuotare con l’inverno in arrivo, dato il gelo dell’acqua.

Per me, avendo sfidato in passato anche le acque dei ruscelli Dolomitici e del lago Bajkal, quei momenti non erano altro che puro e magico balsamo, racchiuso nel mezzo di un paesaggio di fantasia.
Ricordo che qualche amico (Simon, Sara, Rita, Winde, Annemiek) venne a buttarsi con me, in alcune occasioni.
Cinesi, mai.
“Troppo freddo! Tu sei matto!”, il ritornello.

Oggi – in piena e focosa estate cinese – complice anche il marrone delle acque del fiume Yulong (per via di una terribile inondazione che ha causato seri danni in molte vallate, poche settimane fa), ho scoperto per la prima volta quello che è il fiume principale di Yangshuo: il fiume Li.
Con esso, la meravigliosa piscina naturale che i Cinesi sono soliti usare per il loro divertente refrigerio e le loro simpatiche abluzioni (per due mesi all’anno soltanto, ovviamente).

Ed anche lo spettacolo del fiume Li, in fin dei conti, non è da considerarsi nemmeno poi tanto malvagio.

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1 Agosto, Yangshuo ◀ Giorno 308 🇨🇳 ▶
Una giornata intera a poltrire e lavoricchiare con i vecchi amici dello Yangshuo Outside Inn (dove sono ospite da ieri), trascorsa per lo più anche a recuperare interamente dal jet lag ed a decidere dove andare da domani (e, soprattutto, come farlo).

Verso la fine del pomeriggio poi – a temperature più vivibili (durante il giorno si suderebbe anche rimanendo sdraiati in una cassapanca rinchiusa in un frigorifero) – mi sono avventurato a piedi nei dintorni del villaggio di Chaolong e quindi, per l’ultima volta, verso il fiume Yulong, provando ad immergermi ancora in quelle immagini di vita rurale Cinese che tanto mi avevano rapito lo scorso Novembre, quando mi fermai a lavorare qui.
Eccovene alcune.

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2 Agosto, Yangshuo ◀ Giorno 309 🇨🇳 ▶
Come ultima immagine di Yangshuo – lasciata oggi / la foto è di ieri – ho scelto uno scatto dove la mia mano va ad incastrarsi a fianco delle due “montagne gemelle”, dal punto d’osservazione che più ho amato nella valle del fiume Yulong.
Un braccialetto, regalo di una persona importante, a cingere il mio polso.
Su di esso, alcuni numeri.

24.7785°N / 110.4966°E non sono altro che le coordinate di un luogo che, oltre ad essere meraviglioso, è quello dove la prima parte del mio viaggio (i dieci mesi da Milano a Bangkok, durante la quale vi rimasi per 40 giorni) incrocia perfettamente la seconda parte (di cui sono appena al quinto giorno).
Le coordinate di Yangshuo, Guangxi, Cina del Sud.
Ecco perché sono ritornato qui.

Dietro di me, un percorso già noto, assimilato e raccontato in ogni sua parte.
Davanti, un’avventura ancora tutta da scoprire.

Un’avventura che per ora ho soltanto disegnata negli occhi, e che alle volte mi spaventa non poco.
Un’avventura che proverò a vivere al meglio, giorno per giorno, e di cui ancora non so nulla.
A parte una cosa: che ricomincia da qui.

[ 1 Agosto 2017 ] Yangshuo (Cina). Fiume Yulong. 6 pm.

3 Agosto, Liuzhou ◀ Giorno 310 🇨🇳 ▶
La cosa bella, in Cina, quando si viaggia via terra, è che per spostarti da A a B hai 800 milioni di possibilità diverse (che è poi lo stesso numero dei Cinesi che si muovono solitamente, quando vanno in vacanza).

Due giorni fa ho deciso di dirigermi verso Chengdu, in Sichuan; da Yangshuo avrei potuto farlo passando per Xingping, oppure Guilin, oppure Sanjang e chissà quanti altri luoghi.
Ho optato per una città il cui nome mi era sconosciuto: Liuzhou.
Non tanto perché fossi interessato a vedere un’ennesima città enorme della Cina, bensì perché era l’unico viatico che ancora vendeva (online) dei biglietti in cuccetta, e non unicamente a sedere (le distanze sono importanti da queste parti).
Così ieri ho preso un comodo bus per Guilin e quindi stamane una connessione di un’ora in treno veloce per Liuzhou, con la mia Brompton (teoricamente preclusa ai viaggi in treno, come da regola per tutte le bici) camuffata da sacco di orchidee ed io carico come un somaro.

La cosa brutta invece, in Cina, quando si viaggia via terra, è che nel 99% dei casi non si capisce proprio un belino.

Così succede che, una volta a Liuzhou, scopri che devi cambiare stazione per via di lavori in corso, pedali alla rinfusa per mezz’ora chiedendo direzioni qua e là, raggiungi la stazione giusta grondante sudore, la scopri infinitamente grande, leggi cartelli e schermi scritti soltanto in Cinese e di colpo ti senti come un bambino di 2 anni di fronte ad un episodio di Peppa Pig.

Però poi c’è un’altra cosa bella, in Cina, quando si viaggia (in generale): e cioé che chiunque, in un modo o nell’altro, anche senza saper dire nemmeno “Yes” alle volte, si fa in quattro per aiutarti. E ti sorride, in una maniera che ti tranquillizza all’istante.

Allora Peppa Pig non la vedi più così assurda, ed arrivi fresco (quasi) e riposato (quasi) al posto numero 16, nella carrozza numero 1, al binario numero 4, dopo aver passato il check-in numero 2, presso la stazione di Liuzhou, in Guangxi.
Sereno, perché il grosso è stato fatto.
Per oggi.
Più o meno.

Ora non devi far altro che aspettare di arrivare a Chengdu.
Dopo un viaggio di 26 ore, insieme ad un gruppo scatenato di nuovi piccoli amici.
Però, almeno, da sdraiato.
In cima al letto più alto.

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4 Agosto, Chengdu ◀ Giorno 311 🇨🇳 ▶
26 ore filate di treno ed eccomi qui, a Chengdu!

Chengdu, che è “famosa” per:
– essere la capitale della provincia del Sichuan;
– essere la città dell’Ovest più grande della Cina (coi suoi quasi 15 milioni di abitanti);
– esser stata l’ultima città lasciata dal Kuomintang di Chiang Kai-shek, prima che Mao ed il Partito Comunista ne decretassero la definitiva sconfitta;
– essere un grande punto di richiamo turistico per chi voglia conoscere meglio i panda ed i parchi (o “Santuari”) ad essi dedicati.

Per me Chengdu – anche se mi limito solo ad un’occhiata veloce, e quindi superficiale:
– é una città enorme, spaventosa, calda, a tratti terrificante, piena di cemento e obrobri a forma di palazzo;
– nonostante quanto sopra, è estremamente facile e sicura da girare in bici (il treno mi ha lasciato alla Stazione Est, 13 km dal centro), con corsie ciclabili che potrebbero far concorrenza ad un circuito di Formula 1;
– sembra ricca di parchi e zone verdi, dove i Chengduesi (o Chengduini, oppure … sí, insomma, gli abitanti di Chengdu), abituati alla calura, praticano danze e sport di ogni tipo;
– é la patria dei peperoncini del Sichuan, di una cucina prelibata e di un piatto favoloso, il Gong Bao Ji Ding (pollo fritto / scottato al wok con porro, peperoncini freschi, peperoncini secchi, zenzero, noccioline tostate e salse) … che per 2 euro è uno degli insiemi di ingredienti più gustoso che abbia mai assaggiato;
– é il punto di partenza per salire verso le montagne del Tibet.

Ma, di questo, si parlerà da domani.

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5 Agosto, verso Kangding ◀ Giorno 312 🇨🇳 ▶
12 ore in autobus per fare 300 km non le avevo mai fatte prima.
12 ore di traffico, camion, code, noia, montagne, costruzioni apocalittiche e film cinesi.
Tutto questo per arrivare in tarda serata a Kangding, la porta del Tibet.
Speriamo che questa Kangding – e quello che verrà poi – ne sia valsa la pena.
Qualcosa mi dice di sì.

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6 Agosto, Kangding ◀ Giorno 313 🇨🇳 ▶
Una giornata intera a Kangding, chi l’avrebbe mai detto.
Kangding, la capitale della defunta provincia dello Xikang (smantellata nel 1950).
Kangding (in Cinese), Dartsedo (in Tibetano), il luogo che per secoli ha rappresentato il confine tra Cina e Tibet, dove mercanti carichi di tè arrivavano dall’Est per scambiare il loro tesoro con quello degli abitanti dell’Ovest, la lana.
Kangding, che oggi conta 100.000 abitanti (di cui circa metà tibetani di etnia Kham, e l’altra metà cinesi di etnia Han), dove il rampante turismo moderno sgomita e ruba spazio, giorno dopo giorno, a fiumi, ruote di preghiera, montagne e ghiacciai solenni.
Kangding, che oggi è parte del Sichuan, ma che ancora conserva il suo fascino di città di confine verso la mitica “terra delle nevi”.
Una terra di cui dovrei iniziare a scoprire qualcosa da domani, e di cui oggi ho appena appreso le magiche sfumature.

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7 Agosto, Tagong ◀ Giorno 314 🇨🇳 ▶
4000 metri per la prima volta!
E Tibet (anche se officialmente Sichuan) tutto intorno!

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Tagong.mp4

 

8 Agosto, Tagong ◀ Giorno 315 🇨🇳 ▶
Una camminata di 4 ore tra praterie a 4000 metri e montagne del Sichuan Tibetano, per acclimatarsi all’altitudine, raggiungere un villaggio (Ani Gompa) di sole monache donne ed iniziare a meravigliarsi dell’unicitá di questa remota zona della Cina … e del mondo in generale.

NOTE
Tagong – Ani Gompa: 3 ore a piedi.
Ani Gompa – Tagong: un’ora a piedi e due passaggi in autostop.

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9 Agosto, Tagong ◀ Giorno 316 🇨🇳 ▶
La Prefettura Autonoma Tibetana di Ganzi / Garnze (དཀར་ བོད་ རིགས་ རང་སྐྱོང་ ཁུལ་ in tibetano), nel Sichuan occidentale, copre un’area di 151.078 chilometri quadrati (circa la metà dell’Italia) e si trova in quella che da secoli é la regione tibetana dei Kham. Ha una popolazione di 1 milione di persone, di cui il 78% Kham Tibetani.

Sì, insomma, anche se non mi trovo ufficialmente in Tibet (servono permessi speciali oppure tour organizzati controllati dal governo per entrarvi) … è davvero come se mi trovassi in Tibet.
Parti notevolmente estese delle province del Sichuan, del Gansu e del Qinghai sono difatti ex Tibet, prima che nel 1950 cambiasse tutto.
I paesaggi sono tibetani, le montagne sono tibetane, le nevi sono tibetane e la cultura di base è tibetana, così come gran parte della popolazione.
Un po’ come trovarsi in Alto Adige invece che in Austria, per fare un esempio.

Cinesi e Kham Tibetani convivono insieme senza apparenti problemi, seppure sia ben chiaro quanto i secondi mal sopportino i primi (soprattutto i turisti provenienti dalle altre province, incarnazione del governo centrale); è bizzarro notare come questa sia una parte di mondo dove le tradizioni tibetane sono meno represse che in Tibet stesso, e come i tibetani si divertano ad applicare prezzi più alti ai cinesi piuttosto che agli altri stranieri.

È anche una zona estremamente serena ed affascinante, dove mi trovo da ormai 4 giorni e dove intendo potenzialmente trascorrere un po’ più di tempo.
Una zona dove capita di ascoltare preghiere buddhiste miste a clacson di camion gonfi di cemento, osservare venditori cinesi a fianco di tassisti tibetani, animali selvaggi, fiumi gelati, spaziare per ore in mezzo a praterie sterminate ed al cospetto di picchi imponenti.
E conoscere piccole storie.

Come quella di Max, Coco ed il piccolo Karel Yeshi.
Max ha 28 anni ed è di Praga. Vive in Cina (dapprima per studio e poi come insegnante) da 5 anni.
In vacanza a Tagong 3 anni fa ne è rimasto affascinato, decidendo di rimanerci. È subentrato alla gestione del Khampa Café Hostel (dove alloggio) e dopo poco tempo si è innamorato di Coco, coetanea tibetana.
Ora gestiscono insieme l’ostello ed una fabbrica di birra qui sull’altopiano, che intende rifornire di birra bio (prodotta con malto locale) tutti i venditori della Prefettura di Ganzi. Per adesso. Col tempo, poi, chissà.
Nel frattempo, insieme, Max e Coco, hanno avuto un figlio: Karel Yeshi, un terremoto di 11 mesi che dà del tu ai cavalli, beve latte di Yak e tra non molto sará anche un esperto trilingue (anzi quadrilingue, visto che i genitori tra di loro parlano in inglese) di momos tibetani (ravioli tipici) e birra Boema.

E ditemi se non è semplicemente ed esageratamente bello tutto questo …

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10 Agosto, Tagong ◀ Giorno 317 🇨🇳 ▶
Intermodalitá da praterie Tibetane:

PS: la foto è di ieri.
Oggi sono arrivato a Ganzi, dopo 7 ore di trasferimento in auto condivisa con 10 tibetani. Un’auto da 6.
Immaginate che freschezza.
E piove.
NOTE: 300 km / 130 Yuan (16€)

PS2: Ganzi, anche se sotto la pioggia, sembra molto interessante … ma la si lascia a domani!

[ 9 Agosto 2017 ] Tagong (Cina). Praterie. 4 pm.

11 Agosto, Ganzi ◀ Giorno 318 🇨🇳 ▶
Sicuramente non sono il primo occidentale a mettere piede a Ganzi (o Garze), Sichuan dell’Ovest, nell’omonima Prefettura Autonoma Tibetana (di Ganzi/Garze, appunto).
Eppure oggi, chissà perché, la sensazione – mai provata prima altrove – è stata proprio quella.

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12 Agosto, Ganzi ◀ Giorno 319 🇨🇳 ▶
Il giorno in cui ho sudato 3 magliette per spingere la mia Brompton fino a 4000 metri, visitare due templi abbarbicati sulle maestose montagne circondanti Ganzi e … far divertire i monaci tibetani.

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13 Agosto, verso Yushu ◀ Giorno 320 🇨🇳 ▶

VIDEO

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-auto-verso-Yushu.mp4

 

Ganzi – Yushu (480 km) di ieri, ecco come è andata.

Alle 6 sono già sveglio e pronto.
La sera prima, difatti, Neo – non il protagonista di Matrix, bensì uno dei ragazzi del Colorado che gestiscono l’ostello di Ganzi e che mi ha dato una mano per trovare un passaggio in auto per Yushu – mi allerta di preparare lo zaino e tenermi pronto a partire in qualsiasi momento: “Il guidatore mi chiamerà domattina, mezz’ora prima di partire. Vengo a svegliarti, così tu raggiungi il punto di ritrovo, ok? Chiede 150 Yuan (18 euro).
“Ok Neo. Tutto chiaro. Grazie.”

Alle 6, insomma, sono già sveglio.
Aspetto che Neo venga a bussare per dirmi di andare.
Alle 7, niente.
Alle 8 – mentre sono a letto a cazzeggiare da due ore – ancora niente.
Mi alzo. Salgo verso la sala principale dell’ostello. Tutto tace. Nessuno in reception, nessuno in cucina. Di Neo neanche l’ombra.
Verso le 9 arriva Jeff (uno dei gestori). Sorride. Ci salutiamo. Ordino un caffè.
Neo si palesa poco dopo: “Ehm … ora mando un messaggio al guidatore. In teoria avrebbe già dovuto chiamarmi …”
“No problem Neo. Mal che vada resterò un altro giorno qui. Fammi sapere che ti dice.”

Torna intorno alle 10: “Ok allora dice che viene direttamente a prenderti qui lui fra un po’. Intende partire alle 12 più o meno.”
“Ah, perfetto! Ma sei sicuro che abbia detto che mi porta a Yushu? Sono 480 km e se partiamo a mezzogiorno …”
“Sì sì, Yushu. Dice che qualche giorno fa ci ha messo solo 6 ore.”
“Benissimo.”

Un’ora dopo – alle 11 – si presenta il guidatore.
Non conosce una parola d’inglese, ma sorride e mi applaude quando piego la bici di fronte al suo sguardo perplesso.
L’auto è un fuoristrada che deve averne viste parecchie e romba che è un piacere.
“Magari ci mette davvero 6 ore” – mi rassicuro da solo.

In pochi minuti raggiungiamo il punto di carico / scarico dei vari guidatori.
Il mio – che per facilità chiamerò Enzo – si mette alla ricerca di altre persone dirette verso Yushu.
Subito ne arrivano due: Fausto e Ilario. Portano sacchi di ogni tipo.
Fausto parla poco, ma mi offre da mangiare dei ravioli insacchettati che ha appena comprato. Ilario è più giocondo e prova a intavolare un discorso, che ahimè né lui né io capiamo. Ha degli occhi gentili e lo sguardo mite. Sono felice di averlo come compagno di viaggio. Enzo carica tutti i bagagli in cima al fuoristrada.

Alle 12 siamo ancora solo in 3 passeggeri. Enzo aspetta. Io, Fausto ed Ilario pure.
Alle 13, tutto come sopra.
Alle 13:30, mentre addento nervoso dei semi che Enzo mi ha gentilmente offerto e che mi fanno tanto sentire un piccione, riceve una telefonata.
Mette giù e mi dice qualcosa che non capisco, ma che è chiaramente un: “In auto, si parte!”
“Figata. Se siamo solo in 3 sarà un viaggio comodo e veloce.” – penso tra me e me.
Enzo dà subito gas e si dirige verso un distributore alla periferia di Ganzi. Mentre la benzina scorre io mi preparo un giaciglio coprendo tutti i sedili posteriori e mi sdraio, pregustandomi una bella ronfata.
Enzo paga, poi sposta l’auto di qualche metro. Spegne il motore. Non capisco.

Passa mezz’ora. Sono già le 2 del pomeriggio e non siamo ancora partiti.
Dopo poco ecco un’altra telefonata.
5 minuti ancora ed arriva una nuova auto.
Ne scendono 7 persone, 5 uomini e due donne. I bagagli vengono subito stipati nel fuoristrada ed i sedili si riempiono in pochi istanti.
Enzo e le 2 donne davanti. Fausto, Ilario e due ragazzi sui sedili di mezzo. Io ed altri 3 sui sedili posteriori. Addio pennica.

Partiamo che sono passate le 2 da un quarto d’ora ed Enzo ingrana subito la quinta. Divora chilometri ad una velocità incredibile, sfrecciando sugli altipiani tibetani tra camion e automobili imbarazzate come se nulla fosse. Di tanto in tanto si ferma per una breve sosta (ora per salutare un amico, ora per permettere i vari bisogni), ma mantiene un’andatura di tutto rispetto, con picchi di 100 km/h su strade e passi a oltre 4000 metri d’altitudine. Osservo stupito la bellezza di questi luoghi, mentre passiamo la cittadina di Manigango e poi altri agglomerati di case e tendate di nomadi. Il mio vicino di sedile ha voglia di chiacchierare con me e, utilizzando i traduttori automatici del suo smartphone, mi pone domande del tipo “l’Italia è un paese d’acqua, vero?”.
“Duí.” – rispondo, sfoggiando il mio limitatissimo mandarino. Esatto.
Poi faccio finta di addormentarmi.

Trascorrono i chilometri, così come le ore.
Alle 19 raggiungiamo Shiqu, l’ultima città del Sichuan ed avamposto sulla confinante provincia del Qinghai. Yushu dista ancora 150 km.
Qui a Shiqu Enzo si ferma. Tutti scendono ed iniziano a scaricare i propri bagagli.
“Ma come? E Yushu?”, chiedo stupefatto a Enzo.
“Yushu, Yushu, no problem!”, risponde lui mentre indica gli altri ragazzi in attesa. 4 di loro se ne vanno. Fausto e Ilario sorridono e si preparano ad una nuova attesa.

In pochi minuti giunge una nuova automobile. 3 passeggeri sono già su. Il guidatore – che soprannomino Glauco – sceglie 4 di noi e ci fa cenno di salire. Pago 100 Yuan a Enzo (che mi fa capire di dare gli altri 50, una volta a Yushu, a Glauco), poi saluto Fausto ed Ilario che, con i loro numerosi sacchi, dovranno aspettare un altro passaggio. Ilario sorride ed è sereno. In qualche modo mi tranquillizzo anch’io.

Il sole inizia la sua discesa quando lasciamo alle spalle Shiqu, partendo in salita alla volta del Qinghai. L’auto è piena e non è più un fuoristrada. Arranca a 30 km/h per raggiungere un passo a 4300 metri, e intanto Glauco si gasa con della musica tibetana che mi fa rimpiangere le ballate stonate del Laos.
Fortunatamente le vallate circostanti sono ancora mozzafiato, ed i colori del tramonto stemperano il mio nervosismo, concedendomi immagini di irreale bellezza.

Sono quasi le 20:30 quando Glauco si ferma per un pipí – stop a 4700 metri, appena varcato il passo che immette nel Qinghai.
Il buio arriva di colpo, ma la discesa mette le ali al motore e, raggiunta una pianura a 60 km da Yushu, ecco un’autostrada!
Il mio telefono ritrova campo e così riesco a prenotare una Guesthouse a Yushu. Molto cara (il quadruplo di quanto sono solito pagare per gli ostelli in Cina), ma è l’unica che vedo online ed io, provato come sono, non ho voglia di mettermi a cercare una bettola cinese nel mezzo delle ombre di Yushu.

Arriviamo in città che sono le 21 passate. Scarico zaino, borsa e bici e tiro fuori 50 Yuan per Glauco.
“70!” – chiede lui, come offeso.
“No amico, sono 50. Non imbrogliare.”
“70!” – e non si muove, indicandomi la bici.
Forse vuole un surplus per l’extra bagaglio, o forse vuole solo più denaro. Sono stanco e devo ancora raggiungere la Guesthouse, situata a 7 km di distanza da dove sono.
Non ho voglia di litigare, così gli allungo altri 20 Yuan. Grazie Glauco. Grazie veramente. E, in maniera molto zen, vaffanculo.

Raggiungo il mio alloggio alle 22.
Per strada solo tibetani dallo sguardo stupito.
Mi viene da ridere e da fischiettare.
Abbraccio Jenny, la ragazza della reception, e poi mi butto sul letto.
Sono contento di avercela fatta – in qualche modo – anche questo volta; eppure il mio pensiero torna a qualche ora prima, al tramonto sulle ultime montagne del Sichuan.
Quando Glauco si era fermato per fare una fotografia ad un accampamento di tende nomadi ed io mi ero sentito ridicolo mentre, nel mezzo di futili preoccupazioni per una sola notte di cui non sapevo ancora l’esito, i miei occhi incontravano quelli di una famiglia seduta a fianco al fuoco – neonato in braccio, coperte di lana sulle spalle – in attesa di un’ennesima notte tibetana, ormai incombente.

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14 Agosto, Yushu ◀ Giorno 321 🇨🇳 ▶
Se a Ganzi avevo avuto la sensazione di essere il primo occidentale ad entrare in città, a Yushu la sensazione è diventata certezza assoluta. Una certezza grama.

Sarà perché ho speso tante energie per arrivarci.
Sarà perché le uniche sistemazioni per dormire erano care e fatiscenti.
Sarà perché la città – rasa al suolo da un terremoto nel 2010 – sembra sia stata ricostruita da un mago di Oz malefico, che ha provato ad incastonare rimembranze tibetane sopra cubi di cemento e neon cinesi, creando risultati imbarazzanti.
Sarà perché la foschia mattutina si mischiava ad una mestizia generale, carica di sudore, smarrimento e lamenti.
Sarà perché non si vedevano le montagne come in Sichuan.
Ma sta di fatto che Yushu, per me, è stata sinonimo di strano disagio.
Disagio da cui ho scelto di fuggire dopo neanche un giorno … con un autobus diretto a Xining.

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15 e 16 Agosto, Xining ◀ Giorni 322/323 🇨🇳 ▶
Quelle città di passaggio, ma che segnano un cambiamento. Che demarcano un confine, netto quanto immaginario.
Ecco cos’è per me Xining, capitale del Qinghai.

Era successo qualcosa di simile, lo scorso anno, quando passai per Ulan Ude, capitale della Buriazia russa; lasciavo dietro di me le statue di Lenin e l’immensitá della Russia, e mi apprestavo a scendere verso la Mongolia e quindi la pancia dell’Asia. Fu a Ulan Ude che vidi il primo di innumerevoli templi buddhisti. Fu lí che notai il vero cambio di fisionomia, credenze, cibo e cultura tra ciò che rimaneva dietro alle mie spalle e quello che avrei scoperto in seguito.

A Xining è successa la stessa cosa.
Ad Est, la Cina profondamente Cina.
Dietro di me, le montagne e le genti tibetane del Sichuan.
A Nord-Ovest, la Via della Seta.
Ed è lì che sono diretto.

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17 Agosto, Turpan ◀ Giorno 324 🇨🇳 ▶
Bene ragazzi.
Dopo aver lasciato Xining all’alba, dopo aver attraversato 1600 km in otto ore di treno veloce, dopo aver passato – sguardo al finestrino – deserti, montagne aride, migliaia di pale eoliche e lande terribilmente desolate, ed essere cosí arrivato nella bollente Turpan, provincia dello Xinjiang … ebbene … ora posso dire di sentirmi davvero lontano da tutto.
Nel mezzo del nulla atavico.

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18 Agosto, Turpan ◀ Giorno 325 🇨🇳 ▶
Poi arrivi in una città che non avevi mai sentito nominare fino a poco tempo fa, Turpan, e ti accorgi – ancora una volta di più – di quanto sia incredibilmente vasto, disturbatamente vario ed ignobilmente bello questo assurdo paese chiamato Cina.

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19 Agosto, Turpan ◀ Giorno 326 🇨🇳 ▶
Quando due giorni fa, appena sceso alla stazione di Turpan, scrissi di essere arrivato nel mezzo del “nulla atavico”, in realtà ignoravo ancora molte cose di questo luogo.

Situata a 154 metri sotto il livello del mare (curioso pensare che meno di una settimana fa ero a quasi 5000 metri sopra), l’odierna Tulufan (in Cinese) / Turpan (in Uiguro), è la seconda città più bassa della terra (ignoro quale sia la prima).
È il punto più caldo della Cina, ed uno dei più caldi del mondo. Tuttavia, pur essendo circondata da montagne e deserti, è un’oasi estremamente fertile e rigogliosa; a testimoniarlo vi sono le coltivazioni estensive di uva di oggi, così come i reperti storici ritrovati che documentano di come già fosse abitata in età preistorica.
Nel corso dei secoli é passata sotto innumerevoli dominazioni – da quelle turco/mongole a quelle tibetane, dalle dinastie cinesi agli zar russi, dai persiani alle tribù dell’Asia centrale – subendo influenze di ogni tipo, finanche indiane, giapponesi e chissà che altro.
Oggi è ufficialmente una città cinese, in pieno territorio uiguro; la lingua locale è più simile al turco e all’arabo piuttosto che al mandarino, ed è chiaro come gli autoctoni vivano in estrema depressione la padronanza ed il pugno duro di Pechino. Punti di blocco, controlli militari e metal detector si trovano ovunque, ed i cinesi sono sospettati largamente di più di ogni altra nazionalità.

Insomma, una città estremamente complessa (da Wikipedia, queste sono le etnie oggi presenti a Turpan: Uiguri, Han, Hui, Tujia, Manchu, Tu, Mongoli, Tibetani, Kazaki, Miao, Russi, Zhuang, Dongxiang, Iraniani), dove si respira un’aria ora ispiratrice ora annichilente, e particolarmente ricca di storia.
Ho avuto modo di scoprirlo ieri, visitando le rovine della città di Jiaohe, antico punto di snodo per le carovane dei mercanti, indietro di secoli prima di Cristo.

Per me invece, semplicemente, Turpan è dove ufficialmente il mio percorso incrocia la mitica via che, fin da quando sono ripartito, è quella che intendo seguire.
È qui che – oggi lo si può dire – inizia davvero la mia Via della Seta.
A ritroso.
E verso casa.

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20 e 21 Agosto, Kashgar ◀ Giorni 327/328 🇨🇳 ▶
“Are you sure you’re still in China, buddy?”

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22 Agosto, Kashgar ◀ Giorno 329 🇨🇳 ▶
Mi sono fermato, questo è il fatto.
Terzo giorno di fila a Kashgar, e vi rimarrò ancora un poco.
No, non mi sono innamorato e non ho nemmeno trovato lavoro.
Semplicemente, dopo un percorso rapido che mi ha portato da Hong Kong allo Xinjiang, attraversando la Cina da sud-est a nord-ovest in una ventina di giorni, avevo bisogno di una piccola pausa.
Di già.
Sì, insomma, urgeva una breve sosta e soprattutto era arrivato il momento di iniziare a pensare seriamente alle prossime mosse.
Ai prossimi paesi.
Alla strada da percorrere.
E poi adoro vagare per le viuzze di una città dalla storia imponente, che mi ha catturato fin dal primo giorno, che è Cina ma non è Cina, dove l’Asia Centrale non è più un miraggio – anzi, è ormai a due passi – ed il Medio Oriente sembra già dietro l’angolo.
Dove ogni cosa sembra stare al suo posto e dove al contempo tutto è sottosopra.
E dove le verità traspaiono soltanto in un elemento, impossibile da confondere.
Gli occhi delle persone.

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23 Agosto, Kashgar ◀ Giorno 330 🇨🇳 ▶
Sentivo che mi mancava qualcosa, ma ora .. ora no!
Sono pronto ad andare in Kyrgyzstan!
Comunque altro che Marco Polo … qui si cerca di emulare un altro personaggio mitico.
Toad, di Super Mario.

[ 23 Agosto 2017 ] Kashgar (Xinjiang, Cina). Città Vecchia. 7 pm.

24 Agosto, dalla Cina al Kirghizistan ◀ Giorno 331 🇨🇳 ▶

VIDEO

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2018/02/Video-Irkeshtam.mp4

 

Pensavo che non avrei mai battuto, in termini di ore e attesa, la tratta Ganzi – Yushu di qualche settimana fa … e invece dovevo ancora provare ad attraversare il confine cinese-kyrgyzo del Passo di Irkeshtam.
Ecco una “breve” cronistoria (che è per me anche un esercizio di memoria) della giornata interminabile di ieri.

Ore 7:01 (fuso di Pechino, sul fuso di Kashgar – che è poi anche quello kyrgyzo – sono le 5:01, ma qui è tutto regolato su Pechino) > suona la sveglia.

7:13 > colazione frugale in ostello con Fernando e John, due ragazzi che intendono attraversare il confine oggi e con cui condividerò il viaggio. Piove. Governo ladro.
7:31 > ci dirigiamo sotto la pioggia verso la strada più vicina alla Città Vecchia di Kashgar per cercare un taxi che ci porti alla stazione degli autobus (lontana 10 km).

7:47 > arriviamo in stazione. È chiusa. Poche persone fuori ad attendere e non sappiamo quando aprirà.
8:02 > scopriamo che la stazione apre alle 7:30, ma ora locale. Fra un’ora e mezzo. Piove ancora. Decidiamo di contrattare per un nuovo taxi verso la cittadina di Wuqia, dove si trova il primo checkpoint. 97 km da Kashgar, 150 km al Passo.

9:30 > arriviamo a Wuqia, dove il tassista ci scorta fino ad un negozietto di ravioli (per la colazione), troviamo un cambio Yuan / Som e poi ci spostiamo a piedi verso il checkpoint. Non piove più fortunatamente.
10:05 > siamo accolti da 3 gendarmi presso la sala d’attesa dell’enorme checkpoint. Ha appena aperto, siamo i primi avventori. Tutto sembra semideserto. I passaporti ci vengono ritirati e compiliamo il form d’uscita dalla Cina.
10:45 > arrivano una coppia di Australiani ed una famiglia di Uzbeki con decine di bagagli. Il passaporto è ancora sotto osservazione in qualche ufficio. Attendiamo.
11:01 > un gendarme ci riconsegna i passaporti e possiamo passare ai controlli formali. Bagagli allo scanner. Il timbro d’uscita avviene qui, a 150 km dal confine fisico.
11:10 > siamo dall’altro lato del checkpoint, ma sempre sotto l’edificio. Siamo invitati ad attendere ancora: il nostro passaporto torna in un altro ufficio, e nel frattempo i gendarmi organizzano per noi un nuovo trasferimento in auto fino al confine (non è possibile fare altrimenti).
11:30 > attendiamo i passaporti. Il guidatore attende con noi.
11:45 > John si addormenta. Fernando, dall’aspetto pakistano, viene tempestato di domande da un ufficiale a riguardo dei suoi spostamenti sospetti in Xinjiang del Sud. Semplicemente Fernando ama scalare le montagne. Io vago per lo stanzone ed i cortili, in cerca di un perché. Potrei tornare indietro camminando facilmente.
12:00 > John si risveglia e si accorge di aver dimenticato il sacchetto con la frutta dall’altro lato dei controlli. S’incammina per riprenderlo. Il salone è deserto e nessuno controlla che cosa stia facendo. Ritorna indisturbato con la frutta.
12:15 > i passaporti sono consegnati al nostro guidatore, che finalmente si prepara a partire.
12:25 > dopo aver atteso ancora che si riempissero altre 2 auto (con i 2 Australiani, un cinese e la famiglia di Uzbeki coi bagagli), il convoglio parte.

12:28 > ultimo controllo passaporti alla barriera in uscita di Wuqia.
12:31 > un altro controllo. Quello di prima era il penultimo. 145 km al Passo.
12:50 > un nuovo checkpoint. Controllo passaporti e bagagli allo scanner. La bici rimane sull’auto. Così anche il sacchetto di frutta di John.

13:45 > ci fermiamo a pranzare a pochi chilometri dal confine ufficiale. Non possiamo ancora passare, dal momento che è chiuso per pausa pranzo. Le montagne sono aride e brulle, il fiume che scorre sotto l’ultimo villaggio di lavoratori cinesi è torbido e marrone. Il sole battaglia col nevischio. Il Passo (a quasi 4000 metri) è ormai vicino.
14:30 > la zuppa di pollo, verdure e riso abbiocca i tre guidatori. Attendiamo. Tanto.
16:00 > i guidatori si ridestano. Ripartiamo. Il confine, lontano ormai solo una manciata di chilometri, ha riaperto.

16:15 > blocco degli ufficiali di confine. I passaporti di tutti i passeggeri dei 3 convogli vengono portati in un nuovo ufficio per un nuovo controllo. Due soldati ispezionano i bagagli. Nessuno controlla la Brompton o la frutta di John.
16:45 > i passaporti tornano nelle mani dei guidatori, che ci scortano fino ad un cancello poco più in là. Quattro soldati compilano nomi e nazionalità in un quaderno. A quadretti. Tipo quelli per giocare a battaglia navale. Uno dei soldati sale in auto con noi.
16:55 > siamo ufficialmente fuori dalla Cina, ma prima della dogana kyrgyza vi sono 7 chilometri di terra di nessuno. Per 4 chilometri le tre auto proseguono insieme, ognuna col suo soldato; dall’altro lato della strada, una fila ininterrotta di camion che attenderanno giorni prima che le loro merci vengano passate al setaccio e quindi di poter entrare in Cina.

16:59 > un filo spinato imponente segnala la fine della Cina. I guidatori non sono autorizzati a continuare e ci scaricano lì. Nel nulla circondato dalle montagne. Mancano 3 km alla dogana kyrgyza. John, Fernando ed altri 3 trovano un passaggio in auto, io finalmente posso pedalare libero. La famiglia Uzbeka aspetterà altri passaggi. Scatto una foto alla mia bici, proprio sul confine.
17:00 > saluto guidatori e soldati, e salto sui pedali. La catena è rotta. Cazzo. Rotta?! Cazzoooooooooo! Guardo le montagne che mi circondano. Nella terra di nessuno, appena lasciata alle spalle la Cina, non posso far altro che sorridere al cielo e mettermi a camminare.
17:15 > al quarto tentativo di autostop, un camion si ferma e mi carica. Non devo perdere troppo tempo, John e Fernando devono aver già passato il confine e mi stanno aspettando per trovare un passaggio verso Sary-Tash. Spero.

15:30 > no, non sono tornato indietro nel tempo. In Kyrgyzstan non vige l’orario di Pechino e la dogana ha appena riaperto. John e Fernando sono già passati, ma non li vedo. I soldati kyrgyzi mi salutano e mi indicano l’ufficio in cui entrare. Un ragazzo segna il mio nome su un foglio a righe, un ufficiale controlla il mio passaporto.
“Italia! Monica Bellucci, Toto Cutugno!”
“Eh già amico, che bello il mio Paese vero?”
“Davai!”
2 minuti. Il timbro. Zero controlli. Corro alla ricerca di John e Fernando.

15:45 > li vedo. Sono subito dopo il cancello d’ingresso in Kyrgyzstan, di fronte ad alcune auto. Stanno contrattando il prezzo per Sary-Tash (a soli 80 km). I guidatori sono poco più che ragazzi. Alcuni sorridono timidi, altri hanno lo sguardo truce. Uno di questi chiede 2000 Som a testa. 25 euro. Una follia. Inizia il gioco. E nessuno ha mai controllato la frutta di John.

16:00 > ci allontaniamo di pochi metri. Svariati camion sono anche qui in attesa dei controlli, a lato sorgono alcune baracche improvvisate a bar o stanze per dormire. Alcune famiglie vivono qui, sfruttando le esigenze dei camionisti. Tre bambini giocano con noi e ci invitano a rimanere a dormire in locanda.
16:45 > un nuovo ragazzo si avvicina e ci propone 1500 Som a testa per Sary-Tash. Noi non vogliamo spenderne più di 800. Una pacca sulla spalla e grazie. Nel frattempo ha ripreso a piovigginare. La coppia australiana ed il cinese hanno trovato un passaggio per Osh (a 260 km). Per un attimo ho pensato di andar con loro, anche perché ora come prima cosa devo riparare la bici e Sary-Tash è soltanto un villaggio, ma non voglio lasciare John e Fernando da soli a pagare un’auto. Alcuni guidatori se ne sono andati e le nostre opzioni lentamente diminuiscono. Ipotizziamo di rimanere in tenda una notte al confine, o sfruttare una delle locande.

17:00 > fischietto vicino ad uno dei ragazzi/guidatori. Ruzik, così si chiama, mi fa l’occhiolino e mi lascia intendere che con 1000 Som a testa ci può portare a Sary-Tash. Ancora troppo. Chiedo quanto vuole per andare a Osh. Risponde 2000 Som. Torno da John e Fernando. Aspettiamo nuove offerte.
17:30 > nulla. Però almeno è uscito il sole. Dormire al Passo non fa più così paura.
18:00 > Ruzik carica l’auto. Lui ed un altro guidatore si divideranno la famiglia Uzbeka, appena arrivata. Ha ancora dei posti liberi e mi fa segno di andar da lui. Chiede ancora 1000 Som a testa per Sary-Tash. Lo ringraziamo, ma non accettiamo. È tardi e non ci saranno altri avventori, così come altri guidatori. Siamo gli uni l’ultima speranza dell’altro. E viceversa.
18:15 > Ruzik accende il motore e si avvicina lentamente, salutandoci dal finestrino. Poi accosta. Io e Fernando lo raggiungiamo. Ruzik è diretto a Osh, ma Sary-Tash è sul percorso. Chiudiamo che a 1700 Som mi porterà ad Osh e che per 750 a testa John e Fernando scenderanno a Sary-Tash.

19:00 > saluto John e Fernando, a Sary-Tash. Il villaggio, situato sopra un altipiano che sembra esploso dal cappello di un mago, è un gioiello. Mi dispiace non rimanervi, ma la notte mi aspetta a Osh. John cerca una Guesthouse, Fernando sceglie le montagne. Gli 80 km dal confine al villaggio – una lunga lingua d’asfalto pressoché vuota, tra passi, praterie e greggi di animali selvaggi – sono stati di una bellezza dolorosa. I 180 km che ancora mi separano da Osh – dove arriverò alle 21 passate (23 di Pechino), trovando un italiano che ha cucinato pizza in ostello per tutti e mi invita con un abbraccio – tra valli, villaggi, fiumi e tramonto tra i picchi … non saranno da meno.

Il mio Kyrgyzstan è appena cominciato, eppure già me ne sono innamorato.
Ma questa è tutta un’altra storia.
Che comincia da domani.

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MAPPA DEI LUOGHI

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Ritorno a Casa con Pesce d’Aprile- FINE PRIMA PARTE

Luglio 21, 2017 3591 Views

9 mesi di viaggio in solitaria per decidere di fermarmi, e ritornare a casa.
1 mese per preparare uno scherzo, come pesce d’Aprile.
Qui gli ultimi 4 giorni del mio bizzarro Milano – Bangkok, senza aerei e con una bicicletta pieghevole (con il VIDEO integrale del ritorno).
E la fine della PRIMA PARTE …

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29 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 301 🇹🇭
E se ne è andato anche il trecentesimo giorno, ragazzi.
10 mesi, tondi tondi.
20 Paesi attraversati.
Chi l’avrebbe mai detto, un anno fa?
Io no di certo.

Eppure, eccomi qui.
In Thailandia.
300 giorni dopo.

Un Paese che mi ha dato molto, come tutti gli altri del resto.
Un Paese che doveva essere l’ultimo di questo viaggio.
La destinazione finale.
Nel mio immaginario iniziale di quel lontano 2 Giugno 2016, per lo meno.

C’è chi dice che non importa dove stai andando, bensì la strada in sé.
Che è quella, il Viaggio, dopo tutto.
Ci credo anch’io?
Forse.
Sì. Penso di sì.

Sono cambiato, in tutto questo tempo?
Sono una persona diversa?
Un uomo migliore?
Non lo so.
Forse.
Forse no.

So soltanto che non c’è stato periodo, prima d’ora, in cui io sia riuscito ad ascoltarmi e ad imparare (o provare a farlo) così tanto come in questo ultimo anno di vita.
Che non mi voglio fermare.
Non ancora.
Che tutto questo non è altro che l’inizio.

Ma so anche che qualcosa sta per cambiare.
Molto presto.
Da domani, in effetti.
Una nuova avventura è alle porte.

Qualcosa di imponderabile fino a poco tempo fa.
Qualcosa di totalmente inatteso.
Forse di illogico, anche.
Qualcosa che mi metterà alla prova, forse più che mai.

Grazie a tutti Voi, che avete fatto parte di questo incredibile viaggio, fin dal principio.
A Voi tutti che – forse anche inconsciamente – mi avete regalato supporto, energia, determinazione, affetto, complicità, coraggio.

Questa prima parte – qui lo ufficializzo – è giunta davvero alla fine.
Da domani ne inizierà un’altra.
Ed io, sinceramente … non me vedo l’ora.

[ 29 Marzo 2017 ] Bangkok (Thailandia). Foto scattata a Khao Sok, il 26 Marzo.

30 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 302 🇹🇭
Dopo che anche agenzie come Reuters e Ansa sono impazzite alla ricerca di indizi riguardanti quello che ho anticipato ieri … è davvero giunto il momento di iniziare a rivelare il disegno.

Quindi, perché dopo 10 mesi sto per rompere la regola numero 1 (non prendere aerei) e volare ad Hong Kong?

A) Mi serve un nuovo visto Cinese, e quella è la città dove è più facile ottenerlo in tutto il Sud Est asiatico
B) Ho intenzione di comprare una nuova macchina fotografica in uno dei mega negozi tecnologici di Kowloon
C) Mi sono innamorato, quindi non sto facendo altro che seguire il richiamo del cuore
D) Vado a firmare un contratto a progetto con una catena internazionale di Hotels
E) A + C
F) B + D
G) Tutte e 4 le ragioni

Intanto, peró, cominciamo a vedere se mi riesce di arrivare a destinazione senza intoppi.
Che non mi ricordo più molto bene come si fa, dopo tutto questo tempo, con gli aerei.
E con queste scritte in Thai … non si capisce proprio un belino.

[ 30 Marzo 2017 ] Bangkok (Thailandia). Suvarnabhumi International Airport. 8 pm.

31 Marzo, Hong Kong | Giorno 303 🇹🇭
Volare verso l’alba e pranzare con vista sulla baia di Hong Kong.
I cambiamenti, in poche ore, sono stati davvero radicali e a tratti devastanti.
Questa, verosimilmente, da lunedì sarà la nuova “sala meeting” che dovrò usare per appuntamenti di lavoro o incontri di rappresentanza.

Insomma, sì, ho ancora due giorni di tempo per trovare le energie e le motivazioni giuste, ma conto di riuscirci.
Alla peggio, ripartiró.
Per chi aveva fatto attenzione ai post passati, pertanto, il punto D di ieri era il primo – e forse l’unico – tra quelli “certi”.

Ma c’è di più.
Ci sarà di più.
Per non saper leggere né scrivere, ho pensato quindi che sia meglio provare a raccontarlo in un video live, domani, quando sarò più calmo e – spero – rilassato.

Ad orario tramonto (più o meno orario pranzo in Italia), con veduta sullo skyline della cittá.
Un palcoscenico illuminato, di sabato sera.
Come in uno show, che ancora non conosco.

[ 31 Marzo 2017 ] Hong Kong. 4 pm.

1 Aprile, il RITORNO A CASA!
OK, il video Live è stato un mega-fail (diavolo, anche in Cambogia c’è il 4G! Sono davvero tornato in Italia …)
Eccolo qui, per intero.
Ad ogni modo, sì, non sono ad Hong Kong 🙂

VIDEO INTEGRALE: QUI 

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/07/Video-Casa-1.mp4

 

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/07/Video-Casa-2.mp4

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STATISTICHE CONCLUSIVE

21 PAESI:Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Romania, Ungheria, Slovacchia, Rep. Ceca, Polonia, Lituania, Lettonia, Estonia, Russia, Mongolia, Cina, Laos, Cambogia, Vietnam, Thailandia.

KM in BICICLETTA: 4685 (9 forature)
KM in AUTOBUS: 13545 (max 50 ore)
KM in TRENO: 13610 (max 18 ore)
NOTTI in OSTELLO/TENDA: 196 
NOTTI in OSPITALITÁ: 80
NOTTI in TRENO / AUTOBUS: 13

SPESE: € 8019 (+ EXTRA 552)
MEDIA GIORNO: € 27

THAILANDIA (Seconda Parte): Koh Tao e Khao Sok (10 – 28 Marzo)

Luglio 9, 2017 3009 Views

L’ultima parte del viaggio e di dieci mesi in solitaria – prima del rientro a sorpresa e di un Pesce d’Aprile quantomai inatteso – fu dedicata a due delle moltissime perle della Thailandia: l’isola di Koh Tao, con le sue spiagge paradisiache ed i suoi tramonti dipinti, ed uno dei luoghi più incontaminati e mozzafiato mai visitati in vita mia, il Parco Nazionale di Khao Sok.

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10 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 282 🇹🇭
“Ma bravo Vieri! Sei contento adesso?!
Tu e le tue dannate decisioni!
Te lo dicevo io di andare verso altri posti, che la Thailandia è grande e varia … e invece niente!
Tu e l’idea di venire a Koh Tao!
Sempre a far di testa tua!
Sempre a voler seguire quelle inutili sensazioni!
Bravo, davvero!
Sei contento di averci portato in sto postaccio?
Chissà che diavolo ti sarà passato per la mente!
Ciao, guarda … io me ne vado!”

“Ok. Ci vediamo fra qualche mese allora.
Se mi sarò stufato di questo postaccio.”

[ 10 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Chalok Bay. 5,30 pm.

11 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 283 🇹🇭
In Thailandia c’è un grandissimo problema.
Mi ci sono imbattuto fin dal principio, quando una guardia di confine si è avvicinata a me ed alla mia bici per scattarmi una foto, con estrema cortesia, senza che ci fosse nemmeno bisogno di chiederglielo.
Lo stesso problema che ho trovato poi nei sorrisi dei monaci di Chongmek, dove rimasi ospite per una sera, oppure nell’ospitalità di Scott e nelle partite di pallone coi ragazzi di Ubon Ratchathani.
Lo ho rivisto nella gentilezza delle persone e negli abbracci con vecchi e nuovi amici, nella turbolenta ed infernale Bangkok.
Ne ho avuta un’altra lunga dose sui treni, e per le strade, circondato da saluti e curiosità.
La sto sperimentando da poco più di un giorno sull’isola di Koh Tao, ovunque mi volti.

Il problema della Thailandia è serio.
C’è troppa scelta, troppi luoghi da vedere, troppe persone da incontrare, troppi momenti da gustare (queste sono 4 foto prese random dalle ultime 24 ore), troppi attimi in cui ti vorresti fermare e non muoverti proprio più, sperando che il tempo decida di fare lo stesso.

Perché il problema della Thailandia è soltanto uno.
È che è troppo bella.

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12 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 284 🇹🇭
Per tanti anni della mia vita ho avuto una sola idea di “mare”.
Legato ad un luogo soltanto, era un concetto connesso ad una lingua di terra, sabbia e onde che in Italia prende il nome di Celle Ligure.

Sarà che vi ho trascorso diverse estati della mia vita (ritenendomi fortunato per averlo potuto fare).
Sarà che – pur sapendo che ci sono diversi posti più belli, in Italia e non – per quasi la totalità della mia vita ho conosciuto soltanto quello.
Sarà quel che sarà, ma per me il “mare” è sempre stato un unicum.

In diversi anni di viaggio ho posato i miei occhi e sbracciato in molti altri oceani, golfi e baie di sorta … ma il mio concetto di “mare”, in fin dei conti, non è mai cambiato veramente.
“Andare al mare” significava per me andare “là”, dove conoscevo tutto, dove conoscevo tutti, dove non c’era sabbia su cui non avessi camminato o acqua il cui non avessi nuotato.
Non ho mai avvertito – era un mio limite, lo so – un’irrefrenabile curiosità nei confronti di altro, al di fuori di quello che già sapevo.

Fino allo scorso anno.
Fino alla Grecia.
Fino alle Cicladi.

Fu lí, su quelle isole, che imparai ad avventurarmi verso spiagge nuove, in blu sconosciuti, pedalando o camminando attraverso coste arcigne che di colpo rivelavano tesori nascosti di rara bellezza.
Il “mare”, di colpo, iniziò ad assumere altre forme.
Altri colori.
Ed io, con lui.

Poteva avere ora il rosso della Red Beach di Santorini, ora il grigio argento delle scogliere di Kleftiko a Milos, ora il fuoco del tramonto su Kamares a Sifnos, ora il bianco di Plaka a Naxos, ora il verde mistico di Aegliali ad Amorgos.
È in quei due mesi di viaggio che appresi finalmente il piacere della scoperta, l’emozione del nuovo.
Ed era tutto collegato al mare.
Al colore, al suono, all’odore, all’energia del mare.

Durante questo lungo viaggio – vuoi anche per l’itinerario percorso – non ho toccato o visto il mare molte volte.
L’unica isola su cui sono stato – Koh Rong, in Cambogia – era sì estremamente affascinante, ma l’impossibilità di girarla in libertà ha in qualche modo limitato il mio desiderio di spingermi di fronte a nuovi tipi di spiagge, nuovi tipi di onde, nuovi tipi di “mare”.

È sostanzialmente per questo che, una volta entrato in Thailandia, ho scelto di viaggiare dapprima verso Sud, piuttosto che nelle foreste del Nord. Speravo di poter trovare qualche isola in cui perdermi, giorno dopo giorno, in quella sete di nuovo che avevo amato in Grecia e che mi aveva portato a incontrare così nuovi concetti di “mare” e, così, nuovi lati di me stesso.

Sono felice di averlo fatto.
Perché oggi, tutto questo, è accaduto ancora.
Qui, di fronte a questo mare.
Qui, alla Tanote Bay.

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13 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 285 🇹🇭
“Tomorrow’s too late,
Future never comes.”

Così mi ha detto un’amica, giusto ieri.

Chissà perché non ho pensato ad altro oggi (sperando che il futuro potesse arrivare, tra l’altro), prima di mettermi gli occhialini e nuotare fino al centro della Shark Bay, per vedere gli squali da vicino, dal vivo, farmi “ciao ciao” con la loro graziosa pinna nera, per la prima volta in vita mia.

[ 13 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Shark Bay. 4 pm.

14 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 286 🇹🇭
“Ok, Vieri. Allora, se per te va bene, il secondo incontro lo faremo fra una decina di giorni circa a Koh Tao. Ti terrò aggiornato sulla data in cui sarai nostro gradito ospite a pranzo in hotel, così potrai anche già conoscere uno dei nostri resorts. Se puoi, nel frattempo, recati a vedere l’isola. Sono certo che ti piacerà.”

Il primo incontro fu a Bangkok, avvenne un po’ per una serie di coincidenze ed un po’ per caso (o forse no) e si chiuse con una stretta di mano.
Il terzo … vedremo se ci sarà.

Intanto io mi godo l’idea – possibile – dei prossimi mesi.
E la vista.
Da quassù.

[ 14 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Una bella piscina con vista. 3 pm.

15 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 287 🇹🇭
Non è cambiato poi molto, in effetti.
È ancora il mio passatempo preferito, quando mi trovo su un’isola.

Prendere la bici, pedalare e camminare (se le strade obbligano a farlo, talvolta per via di sterrati fetenti e talvolta per via di pendenze inverosimili) cercando di raggiungere una nuova baia, mai vista né sentita prima.
Perdendomi anche.
Per alcune ore, alle volte.
Per poi, estremamente sudato ed accaldato, scivolare in acqua e collegare a nuoto le sponde di terra che abbracciano quell’unico ed inimitabile solco di mare, quasi sempre infiocchettandolo preziosamente.

Come se ogni volta volessi conquistarmelo con le mie sole forze – dall’inizio alla fine – quel piccolo e delizioso … nuovo scrigno blu.

[ 15 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Leuk Bay. 2 pm.

16 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 288 🇹🇭
In sei giorni che sono a Koh Tao mi ero sempre avventurato soltanto nella parte Est dell’isola.
Mi avevano detto che era la più bella.
Innegabile, in effetti.

Non che la parte Ovest faccia schifo, tuttavia.

[ 16 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Mae Had Bay. 4 pm.

17 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 289 🇹🇭
Una settimana.
7 giorni esatti, da che sono arrivato.

Non capitava da tempo.
Da Yangshuo, per l’esattezza.
Di rimanere così a lungo nel medesimo posto.
Nella medesima isola, in questo caso.

È come se qualcosa mi trattenesse qui, quasi contro il mio stesso volere.
E non riesco davvero a capire il perché.

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18 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 290 🇹🇭
Ok, io sarò anche ossessionato coi tramonti Thailandesi (e non solo), ed in effetti avevo anche altro di cui scrivere oggi … però come si fa a scegliere di non condividere uno spettacolo del genere?

Qui non si tratta soltanto di assistere ad un altro giorno che si trascina via, né di contemplare un nuovo momento che risplende, arriva all’apice e poi, silenziosamente, se ne va.

Bensì di sbirciare come Dio si mette all’opera, attingendo dai colori della sua infinita tavolozza ed utilizzando un serafico cancellino celeste per ripulire la tela, e completare così un altro dei suoi incredibili capolavori.

[ 18 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Chalok Bay. 6,30 pm.

19 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 291 🇹🇭
Quando potresti prendere una barca – come fanno tutti – per raggiungere una delle baie più nascoste di Koh Tao, e invece scegli di avventurarti per la via alternativa, sudando e divertendoti per un’ora e mezzo su strade assurde e sterrati terribili nel mezzo della foresta tropicale di un’isola Thailandese.

Per poi arrivare a poche centinaia di metri dalla meta, legare la bici ad un albero, scendere una lunga scalinata, fermarti per una foto di fronte ad una delle culle di mare più belle che tu abbia mai visto, prepararti ad entrare in acqua per nuotare gli ultimi 200 metri che ti separano dalla spiaggia, richiudere tutti i tuoi oggetti nella borsa da sub ermetica che hai comprato pochi giorni prima.

Scoprire solo una volta all’asciutto sulla sabbia (tu) che non l’hai chiusa così ermeticamente come pensavi.
Giocarti così la macchina fotografica, definitivamente.
Imprecare al punto che si svegliano anche i coralli.
Perché sei sí arrivato alla Mango Bay nel modo che volevi tu, ma sei anche un idiota di prima categoria.

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20 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 292 🇹🇭
Sei lì che passeggi bel tranquillo sulla spiaggia, immerso nei tuoi pensieri, quando le vedi.
Le massaggiatrici Thailandesi.

Vinto da non sai quale richiamo, per una volta cedi ai loro inviti e credi che è finalmente arrivato il momento di un massaggio Thai.

Ti sdrai e immagini di prepararti a sognare di palme, di olio di cocco, di altalene sul mare, di risacca infinita e profumo di salsedine … e invece lei, la piccola massaggiatrice, ti stritola in delle morse inaudite, a tratti violente, quasi volesse guerreggiare che neanche fosse Hulk Hogan.

E muscoli e ossa ragionano come se tutte le noci di cocco che poco prima hai guardato con aria sognante ti fossero cadute addosso all’unisono.
E con esse … la palma intera.

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21 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 293 🇹🇭
Prima delle due giornate di corso di Free Diving andata, giusto in tempo per recuperare dalle apnee perdendomi nel mezzo di questi colori.

Da ex nuotatore, credevo fosse una boiata assurda.
E invece, un altro di quei casi in cui mi sono dovuto ricredere: difficile, impegnativo, interessante.
Molto, molto, molto interessante.

Un nuovo modo di conoscere il proprio corpo.
Un nuovo modo di vivere l’acqua.

Domani si prova in mare (vedremo con che esiti).
Domani si prova lì davanti.
Dove i miei occhi spaziano, laggiù poco lontano dal porpora, in questo preciso istante.

[ 21 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Sairee Beach (di fronte al Big Blue Diving Center). 6,30 pm.

22 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 294 🇹🇭
Due giorni per imparare a conoscere in maniera diversa un elemento – l’Acqua – in cui sono cresciuto e in cui ho vissuto per anni.
Due giorni per provare a scoprire un mondo nuovo, diverso, sconosciuto ed affascinante.
Due giorni per iniziare ad andare giù, verso il blu più oscuro e verso gli abissi di me stesso.
Due giorni per riuscire a rimanere in apnea quasi 3 minuti e per avvicinarmi ai 10 metri di profondità, con un orecchio fetente, nel mare silenzioso.
Due giorni per capire che, se in orizzontale nuoto ancora in maniera egregia, in verticale, invece, per ora … sono felicemente ridicolo.

[ 22 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). In Mare. 11 am.

23 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 295 🇹🇭
Uno dei due motivi che mi hanno invogliato a rimanere (e permesso di farlo), per oltre due settimane, sull’isola di Koh Tao.
Ogni sera … uno diverso.
Domani il secondo e ultimo motivo.
Perché domani sera si ricomincia.
Domani sera, si riparte.

[ 23 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Chalok Bay. 6,30 pm.

24 Marzo, Koh Tao (Thailandia) | Giorno 296 🇹🇭
Il secondo motivo per cui sono rimasto così a lungo a Koh Tao è, come sempre, il più importante: le persone.
Ognuna con la propria storia, ognuna col proprio bagaglio di esperienze, con le proprie abitudini, le proprie aspirazioni, i propri desideri, i propri dubbi, le proprie domande.
Ognuna con la sua energia.
Ognuna col suo sorriso.

Grazie Surja, Fernando, Nines, Mei, Belen, Miao, Lena, Isabel, Julia, Max, Barda, Stefano, Lisandro, Mario, Rakel, Morgane, Andrea, Diego, Arno, Bio, Chiara, Francesco e Noky per aver reso queste due settimane ancora più ricche e … indimenticabili.

Ahora, adelante!

[ 24 Marzo 2017 ] Koh Tao (Thailandia). Chalok Bay. 2,30 pm.

25 Marzo, Khao Sok (Thailandia) | Giorno 297 🇹🇭
Resti due settimane su un’isola, circondato da locali, bar, wifi, linee telefoniche e ricevitori satellitari e quand’è che ricevi la telefonata che stavi aspettando da giorni?

Quando sei appena arrivato nel mezzo della giungla Thailandese, e l’unica cosa che riesci a sentire dall’altro capo del telefono … sono le rane.

[ 25 Marzo 2017 ] Khao Sok Park (Thailandia). 3 pm.

26 e 27 Marzo, Khao Sok (Thailandia) | Giorni 298 – 299 🇹🇭 – VIDEO

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/07/Video-Thailandia-Khao-Sok.mp4

 

SECONDO GIORNO

Ieri, per la prima volta dopo diverso tempo, non sono riuscito a mantenere l’impegno giornaliero di condividere qualcosa – fosse anche una foto, un racconto, un’impressione – su questa pagina.

Il fatto è che, dopo aver pedalato per circa 70 km per raggiungere l’ingresso Est del parco nazionale di Khao Sok, insieme ad alcuni amici sono salito su di una barca che, dopo circa un’ora e mezzo di viaggio sopra le acque cristalline del lago omonimo – nel mezzo di montagne e valli la cui rarità non avrei mai potuto immaginare prima – ho raggiunto dei piccoli bungalow di legno, galleggianti ai bordi di una baia lacustre dove non esiste elettricità (se non per un paio di ore alla sera), acqua corrente ed alcun tipo di connessione.
Fortunatamente, oserei dire.

Domani – quando sarò ormai ritornato a Bangkok per l’ultima parte di questo mese Thailandese – scriverò un poco di più a riguardo di questo Parco, utilizzando alcune delle fotografie scattate da Simone / Wanderhang – viaggio dentro al mondo (la mia macchina fotografica è inutilizzabile dal dì dell’incidente a Koh Tao).

Queste tre di oggi sono state scattate col telefono, nei momenti in cui sono riuscito a destarmi dall’incantesimo in cui ero caduto per via della bellezza assoluta che mi circondava.
Difficilmente riusciranno a rendere l’idea del meraviglioso isolamento che ho avuto la fortuna di poter vivere – ed ascoltare – per quasi una giornata intera.

Tuttavia, lo spero.

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28 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 300 🇹🇭
Immaginate un insieme di valli, a forma di stella cadente, largo 165 chilometri quadrati.
Immaginate un Re che decide di costruire una diga, negli anni ‘80, per modificare l’economia e l’agricoltura di una zona completamente tropicale e fino ad allora pressoché invivibile.
Immaginate un fiume che ci impiega oltre un anno per riempire la nuova “vasca” naturale.
Immaginate un lago immenso che cresce, mese dopo mese, fino ad essere profondo quasi un centinaio di metri, circondato da montagne carsiche di rara bellezza che diventano habitat per dozzine di nuove specie di animali, volatili, rettili e pesci.

Immaginate di arrivarci dopo aver pedalato per 70 chilometri, costretti ad uno sforzo fisico non previsto e sofferenti per via del caldo opprimente.
Immaginate di avvistare il lago, ancora accaldati e grondanti sudore, e di crederlo un miraggio.
Immaginate di tuffarvici subito, una volta parcheggiata la bicicletta, innamorandovi all’istante del tepore della sua acqua color verde smeraldo.

Immaginate di salire, insieme a 4 amici incontrati sulla strada, su una lancia pilotata da una ragazzotta Thailandese avara di sorrisi, ma prodiga di attenzioni e gentilezze.
Immaginate di volare sullo specchio blu per oltre un’ora e mezzo, perdendovi ad ogni boccata d’aria nella più meravigliosa immensità.
Immaginate di raggiungere una serie di piccoli bungalows di legno, appollaiati alle pendici di quella che una volta era il fianco di una montagna ed ora è una riva brulicante vita.

Immaginate di sistemarvi in una stanza larga 2 metri per 2, senza corrente, senza acqua e connessione di sorta, e di sentirvi come rondini in un nido.
Immaginate di nuotare nell’acqua calda antistante il vostro minuscolo patio, cercando di scoprire che cosa si nasconda in profondità e di mantenere l’equilibrio sopra un tronco di un albero sistemato a mo’ di boa.

Immaginate di imbracciare un kayak e di decidere di pagaiare verso un nuovo braccio di lago, prima che la sera ed il buio vi avvolgano; immaginate di essere sorpresi da una tempesta tropicale quando siete nel mezzo del nulla e del silenzio più assordante; immaginate di osservare la superficie del lago che ora s’increspa di lontano, laddove la pioggia già sta sferzando le acque, e di contemplarla con un sorriso; immaginate il vento che di colpo s’imbizzarrisce e vi plana addosso con la furia di un mostruoso sparviero, facendo sobbalzare il kayak e minacciando di catapultarvi in acqua.

Immaginate di non provare paura di tutto questo, bensì di desiderare abbandonarvi completamente alla natura ed alla sua spaventosa forza.
Immaginate di chiudere gli occhi, respirare e di percepire ogni singola goccia di pioggia che si fa tutt’uno col vostro corpo e col vostro essere.
Immaginate di lasciarvi percorrere da uno spasmo di gioia mai provato prima.
Immaginate di riuscire a vivere il presente – per un breve ed intenso momento – come se non aveste atteso altro che quello, per tutto questo tempo.

Immaginate una notte di stelle sopra un lago artificiale, mentre siete seduti sul bordo di una passerella di legno, avvolti dalle montagne e dai suoni della foresta che si mischiano con la musica del vostro cuore.
Immaginate l’alba. Nel medesimo luogo. Con le medesime emozioni.

Immaginate uno dei luoghi più incredibili che abbiate conosciuto in 10 mesi di viaggio.
Uno dei più totalizzanti della vostra vita.
Uno dei più magici dei vostri sogni.

Tutto questo è stato, per me.
Khao Sok.

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MAPPA DEI LUOGHI

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LAOS di passaggio e l’arrivo in THAILANDIA (25 Febbraio – 9 Marzo)

Luglio 8, 2017 2744 Views

Il 24 Febbraio abbandonavo definitivamente il Vietnam ed entravo per una seconda volta in Laos.
Un breve passaggio in un paese che già avevo vissuto, per incontrare due amici e per riuscire a raggiungere – via terra – quella che era, fin dall’inizio, la meta ultima del mio viaggio.
Una meta tanto esotica quanto lontana, ripensando al giorno in cui ero partito.
Una meta che, quel 28 Febbraio 2017, finalmente, si srotolava lì davanti ai miei occhi: la Thailandia. 

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25 Febbraio, Pakse | Giorno 269 🇱🇦

Conobbi per la prima volta Donatella e Gaetano, pur essendo parenti alla lontana, soltanto pochi giorni prima di partire per questo lungo viaggio. Fu uno dei miei cari zii che mi raccontò dei loro viaggi e delle loro avventure in giro per il mondo, in anni non sospetti, quando io ancora ero poco più che un bambino.

Durante il nostro primo incontro ci fu all’istante una naturale intesa, una profonda stima ed un’estrema curiosità relativa alle proprie storie. Quando mi invitarono a cena e la mia bicicletta già scalpitava per via della partenza imminente, ricordo che rivelai loro di non avere la minima idea di dove sarei arrivato nei mesi a venire.

Avevo in mente soltanto un progetto strampalato, nulla di più.
Sarei partito – quella era l’unica cosa di cui ero certo – con l’idea di girare un poco l’Europa, poi forse in Russia, poi forse in Mongolia e Cina, poi forse in Sud Est asiatico. Senza aerei.

Mi rincuorarono e motivarono, descrivendomi la loro piccola casa in un remoto paradiso nel Nord della Thailandia, dove avrei sempre potuto trovare ristoro ed un punto di appoggio – nel caso fossi mai riuscito ad arrivarci – anche in caso di loro assenza.
L’Asia, allora, era solamente un lontano miraggio, che mai in cuor mio avrei mai pensato di riuscire a raggiungere davvero.

Da quel dì, tuttavia, la Thailandia divenne per me la meta finale di questo viaggio. Inconsciamente – forse proprio per via di quel loro incondizionato aiuto o forse perché realmente mi sembrava qualcosa di impossibile, in quei giorni – l’avevo eletta a destinazione conclusiva di quello che sarebbe stato il mio ipotetico percorso.

Ebbene oggi, dopo nove mesi, li ho incontrati di nuovo. A Pakse, in Laos.
Loro si trovano qui per un breve periodo di vacanza nella terra che considerano come la loro seconda dimora.
Ed io mi trovo qui perché mi appresto ad entrare finalmente in Thailandia, e così, presumibilmente, a terminare anche la mia buffa avventura.

Due persone che parlano coi loro occhi, coi loro cuori ed i loro sorrisi.
Una coppia meravigliosa, due incredibili viaggiatori … e due amici veri.
Con cui è stato bello raccontarsi per ore, ridere allegramente, abbracciarsi di spirito e provare a ideare, proprio come la prima volta, nuovi ed impossibili – chissà! – progetti strampalati.

[ 25 Febbraio 2017 ] Pakse (Laos). Fiume Xe Don. 6 pm.

26 Febbraio, Pakse | Giorno 270 🇱🇦

Non riesco ancora a capire perché abbia deciso di tornare, anche se soltanto per pochi giorni, in questo posto.
Qui.
In Laos.

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27 Febbraio, Pakse | Giorno 271 🇱🇦

Dopo aver viaggiato in tutti e tre i paesi, posso dire di aver conosciuto, capito e provato sulla mia pelle il significato dello splendido detto:

“Il Vietnamita semina il riso, il Cambogiano lo guarda crescere ed il Lao lo ascolta mentre cresce”

Ecco, in queste poche parole è forse racchiuso il vero motivo per cui sono tornato in Laos, prima del rush finale (forse).
Perché il Laos non è soltanto un Paese.
Il Laos è anche uno stile di vita.
Il Laos … è uno stato della mente.

PS: la foto non è di oggi, è stata scattata qualche giorno fa a Savannakhet; tutto quello che c’è da dire su questa terra meravigliosa, lo si può vedere qui. E quella lì davanti, al di là del Mekong … è già Thailandia.
Dove andrò domani.
E sarà un giorno davvero importante.

[ 24 Febbraio 2017 ] Savannakhet (Laos). Vista sul Fiume Mekong, e sulla Thailandia. 6 pm.

28 Febbraio, Arrivo in Thailandia | Giorno 272 🇹🇭

“Thailandia! Ha ha!” – dicevo.

A chi mi domandava fin dove volessi arrivare, fin da quel lontano 2 giugno 2016, non rispondevo altro che questo: “Thailandia! Ha ha!”
Dicevo “Thailandia” perché suonava esotico, favoloso, ambizioso, esuberante, spaventoso.
Dicevo “Thailandia” perché suonava impossibile.
Ero io stesso il primo a non crederci.
“Ha ha!” … ridevo di me.

Da allora ho vissuto un caleidoscopio incredibile di emozioni.
Un falò di sentimenti difficile da spiegare: sono partito spensierato, mi sono gasato, ho spinto, ho gioito, ho appreso, ho sudato, ho sofferto, mi sono spento, mi sono riacceso, ho sognato, ho creduto, ho amato, ho lasciato, mi sono seduto, mi sono rialzato, ho lottato, ho sperato, mi sono annoiato, ho pianto, ho goduto, ho barcollato.
Ho barcollato più volte.
Non ho mai mollato.

Me lo ripetevo di continuo, in tutti questi mesi.
Quel mantra assurdo che in qualche modo mi ha sempre fatto ridere, e mi ha permesso di continuare.
Pazzo dovevo sembrare, alle volte.
“Thailandia! Ha ha!”

Oggi, ragazzi, 28 Febbraio 2017, è un giorno che non dimenticherò mai.
È arrivata.
Eccola qui.
Ce l’ho fatta.
Ce l’ho fatta cazzo!
“Thailandia! Ha ha!”

Potrei dire un milione di cose.
Potrei dire che oggi mi sento invincibile.
Potrei dire che non c’è nulla che mi faccia paura.
Potrei lasciarmi andare a frasi retoriche melense tipo “Carpe Diem!”, “Segui i tuoi sogni!” oppure “Nulla è impossibile, se ci credi!”.
Tutto molto bello.
Tutto molto vero, anche, se vogliamo.

Ma in realtà sono in grado di dire soltanto una cosa, oggi.
Una cosa che non avrei creduto di poter riuscire a dire mai.
Semplicemente, e pure un po’ tristemente, ho smesso di ridere.
In quanto a sorridere, però, ragazzi … mi sa che ho appena cominciato!

“Thailandia! Ha ha!”

[ 28 Febbraio 2017 ] Chongmek (Thailand). Confine Laos – Thailandia. 1 pm.

1 Marzo, Ubon Ratchathani (Thailandia) | Giorno 273 🇹🇭

Un’accoglienza di questo tipo, dalla Thailandia, non me la sarei mai potuta nemmeno immaginare.

Ieri:
– La mia prima notte in un tempio, ospite dei monaci buddhisti di Chongmek
– Un pesce alla griglia, comprato da un venditore ambulante, di una goduria gustativa imperiale e pressoché regalato

Oggi:
– Un’alba accecante, proveniente dal Laos
– Strade perfette, quasi uscite da un videogioco
– Sorrisi e saluti in ogni villaggio, o ad ogni posto di blocco
– Paesaggi che sembrano fluire da un racconto di Maupassant
– Monaci che camminano sul ciglio della strada (a sinistra, la guida in Thailandia è come in Inghilterra), e si accorgono del tuo passaggio anche senza voltarsi
– I volti dolci e rassicuranti di Re Bhumibol, la cui morte ad ottobre ha gettato il Paese in un sommesso e struggente anno di lutto, e della sua Regina, in ogni dove
– Un caldo MI CI DIA LE, per 100 chilometri
– L’arrivo nella prima città Thailandese di questo viaggio, Ubon Ratchathani, dove ho potuto rivedere un bel parco cittadino dopo tempo immemorabile
– L’ospitalità amichevole ed inattesa di Scott, un professore australiano (cicloviaggiatore a sua volta) conosciuto attraverso la comunità di WarmShowers

Se questo è solo l’inizio … mi sa tanto che ne vedremo davvero delle belle.

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2 Marzo, Ubon Ratchathani (Thailandia) | Giorno 274 🇹🇭

“E quindi? Come ti sembra questa Ubon Ratchathani?”

“Bellissima.”

“Oh, bene! Racconta! Che cosa hai visto o fatto oggi?”

“Nulla. Faceva troppo caldo. Ho passato tutto il giorno tra una caffetteria ed un parco. Non ho fatto o visto davvero nulla.”

“Ah. E come fai a dire allora che è bellissima?”

“Boh. Sai quando ti basi sulle sensazioni? Ecco, é stato po’ così. Sono rimasto al bar a leggere per due ore, vicino alla porta di ingresso, e chiunque entrasse – credimi, chiunque! – mi salutava e mi sorrideva. Il caffè era pure buono. Poi sono andato al parco. Il caldo era opprimente, così ho cercato uno spiazzo all’ombra e mi ci sono sdraiato. Ho cazzeggiato e letto un altro po’, circondato dal cinguettio degli uccelli e allietato da una tiepida brezza. Poi mi sono appisolato. Mi hanno risvegliato le risate di alcuni bambini appena usciti da scuola ed il sole stesso; aveva aggirato l’albero sotto la cui ombra mi ero riparato ed aveva iniziato a incendiarmi il polpaccio. Ho osservato i bambini studiare all’aperto attraverso i raggi di una ruota della mia bicicletta. Ho bevuto del succo di lychee ed atteso un altro po’. Quindi degli altri bambini si sono messi a giocare a calcio sul prato di fronte, a due passi da un monumento luccicante, e, senza proferire alcun tipo di parola, mi hanno fatto cenno di unirmi a loro. Senza neanche accorgermene ero già in piedi e stavo camminando verso il campo, pronto a sporcarmi i piedi insieme a loro. Un’ora dopo, un soffice tramonto. Il parco era già stato invaso da decine di ragazzi. C’era chi giocava a basket, chi faceva jogging, chi ascoltava musica o chi semplicemente camminava in completa serenità, ora che la temperatura si era fatta più vivibile. Gli uccelli, nel frattempo, non avevano mai smesso – neanche per un secondo – di cinguettare.
Vedi, amico mio: tutto questo, per me … è davvero bellissimo.”

[ 2 Marzo 2017 ] Ubon Ratchathani (Thailandia). Parco Thung Si Muang. 4,30 pm.

3 Marzo, Ubon Ratchathani (Thailandia) | Giorno 275 🇹🇭

Una proposta inaspettata e quanto mai sorprendente, che forse cambierà le sorti dei miei prossimi 3 o 6 mesi?
Forse sì. Ma è ancora troppo presto per parlarne.

Nel frattempo leggo un libro su Shah Reza Pahlavi, sotto un acchiappasogni accarezzato dal vento.
Ed in serata salto su un treno.
Notturno.
Nuovi sogni itineranti ad attendermi.

Un treno per una città mitica, affascinante e mostruosa.
Un treno per Bangkok.

[ 3 Marzo 2017 ] Ubon Ratchathani (Thailandia). A casa di Scott. 4 pm.

4 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 276 🇹🇭

Ciao, città dal nome corto!

Bello ritrovarti dopo quasi 8 anni, “Krungthepmahanakhon Amonrattanakosin Mahintharayutthaya Mahadilokphop Noppharatratchaniburiron Udomratchaniwetmahasathan Amonphimanawatansathit Sakkathattiyawitsanukamprasit” (che tradotto significa qualcosa come “La Città degli angeli, la grande città, la città della gioia eterna, la città impenetrabile del dio Indra, la magnifica capitale del mondo dotata di gemme preziose, la città felice, che abbonda nel colossale palazzo reale, il quale è simile alla casa divina dove regnano gli dei reincarnati, una città benedetta da Indra e costruita per Vishnukam”)!

Felice di rivederti, Bangkok!

[ 4 Marzo 2017 ] Bangkok (Thailandia). Lumpini Park. 9 am.

5 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 277 🇹🇭

Non è la prima volta che capito a Bangkok.
Ci venni già diversi anni fa, in compagnia di amici, rimanendoci solo un paio di giorni.
Ricordo che non feci nulla, né vidi nulla, allora.
La città era costretta in una cappa di caldo allucinante ed io ne rimasi spaventato fin dal principio: arrivammo con un volo serale e, mentre l’aereo era in fase d’atterraggio e guardavo fuori dai finestrini, non riuscii a distinguere nessun tipo di fine in quella città sterminata.

Oggi, preso ancora dall’euforia dell’arrivo di ieri, ho pensato che fosse il momento di scoprire qualcosa di più di Bangkok e così mi sono avviato verso Palazzo Reale ed il famoso Wat Pho.
Vero che ho preso alloggio in un ostello che non si trova esattamente nel centro, ma come fai a individuare un “centro” in una città che è grande all’incirca quanto una regione italiana?

Ho preso un treno (il futuristico sopraelevato Skytrain), poi un altro, poi una barca. Quasi 2 ore dopo ero di fronte a Palazzo Reale, dove sono stato investito da un’afa opprimente, una marea di turisti ed una cacofonía di rumori ancora più angosciante. Una volta al Tempio di Wat Pho ho resistito a malapena mezz’ora, per lo più seduto sotto un albero, ed ho capito – ancora una volta, se mai ce ne fosse stato bisogno – di non essere fatto per gli ambienti cittadini. Non di questa misura, per lo meno.

Bangkok è una città che ti avvolge, ti seduce, ti ammalia, ti emoziona, ti conquista, ti mastica, ti spolpa, ti rumina e poi ti inghiotte.
C’è chi ne esce innamorato, e chi invece distrutto. Annientato.
Io rientro in questa seconda categoria.

È in giorni e situazioni come quelle di oggi che rimpiango cittadine come Lubiana, Novi Sad, Tallinn, o luoghi ancora più timidi come la valle del fiume Yulong, il villaggio di Shaxi e l’isola di Olkhon.
Se non fosse stato per alcuni incontri che non volevo perdermi, probabilmente a Bangkok non ci sarei nemmeno mai venuto, o di certo me ne sarei già andato.

Ma, dopo nove mesi di viaggio, ho appreso ormai che nulla avviene per caso e che anche qui troverò un nuovo ed importante tassello di quel grande puzzle che sto cercando di completare da tanto tempo.

Non ho la minima idea di quale possa essere, ma lo cercherò. Lo aspetterò.
Lo terrò stretto nel mio pugno, quando lo scoveró.
Sempre ammesso che, in maniera quanto mai travolgente, non mi abbia già trovato lui stesso.

[ 5 Marzo 2017 ] Bangkok (Thailandia). Sukumvit Road, al civico numero 1799. 6 pm.

6 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 278 🇹🇭

“Come quella volta in Pakistan, quando dovetti essere scortato su una camionetta militare per alcune centinaia di chilometri, attraverso la regione del Beluchistan.
O quando nel Nord del Myanmar viaggiai con altri 7 motociclisti, perché potevamo farlo soltanto in gruppo, con la polizia a non perderci mai d’occhio, e non vedemmo un turista per giorni interi.
O quando, poche settimane fa, decisi di guidare in una strada poco segnalata attraverso le valli aride della Cambogia, vicino a Battambang, e di colpo mi trovai con la moto a terra, senza acqua, senza cibo, nel mezzo del nulla e con un alveare di api a pochi passi e a prendersi gioco di me. Ci misi più di 3 ore a smontare la moto e a rimontarla, sperando che non mi lasciasse proprio lì. Stavo quasi per piangere, ma alla fine – chissà come – ne sono uscito. E ora posso ridere un’altra volta!”

Max fu colui che, per pura coincidenza, incontrai alle pendici di una cascata secca nei pressi di Tad Lo – un giorno di Gennaio che mi avventurai a piedi nei dintorni del Bolaven – e che mi diede uno strappo per raggiungere la vetta del monte.
Lo incontrai di nuovo sull’isola di Don Det, poco tempo dopo; birre e amaca furono il nostro passatempo per qualche giorno.
Oggi, due mesi dopo, lo riabbraccio a Bangkok.

Di fronte a lui ed alla sua enorme moto mi sento come un bambino al primo giorno delle elementari.
27 anni, tedesco, con un sorriso contagioso ed energia da vendere, Max è partito dalla Germania a bordo del suo mezzo poche settimane prima di me.

Uno di quei viaggiatori che staresti ad ascoltare per ore.
Uno di quegli amici con cui ti intendi all’istante.
Una di quelle persone che hanno bisogno di poco per essere felici, che guardano al mondo con umiltà ed occhio curioso … e da cui non smetteresti mai di imparare.

Bangkok, in fondo, qualcosa di buono me l’ha già regalato.
E non è ancora finita qui.

[ 6 Marzo 2017 ] Bangkok (Thailandia). Ekkamai Road. 12 am.

7 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 279 🇹🇭

“Lo so che è una domanda stupida, Simone. Ma se ti domandassi qual è il paese che ti ha lasciato di più in questo viaggio … quale mi indicheresti?”

“Guarda, Vieri, mi è impossibile eleggerne uno in assoluto. Sono sempre più convinto che la vera differenza, alla fine, la facciano le persone. Non i posti. E, ovviamente, come ti approcci tu ad esse. Ogni Nazione che ho attraversato mi ha donato ricordi indelebili: dalla bellezza della cara decadente Europa agli infiniti spazi in Russia, dai paesaggi mozzafiato della Mongolia alle diversità affascinanti della Cina, dalla perfezione apparente del Giappone ai profumi e i sorrisi del Vietnam e della Cambogia, dalla natura del Laos alla gentilezza che sto scoprendo ora in Thailandia. Molto altro mi aspetterà, e non vedo l’ora di scoprire nuovi luoghi. Ma, fondamentalmente, so già che le emozioni più forti, quelle più vere, arriveranno come sempre dalle persone. Quando ripenso alle gioie più profonde di questi dieci mesi, mi viene in mente quel bambino che voleva suonare l’hang con me sulla Transiberiana, o quella coppia di ragazzi Cinesi che mi ha ospitato a Xian per una settimana e con cui ogni sera finivamo per suonare fino a notte inoltrata, oppure i bambini dell’orfanatrofio di Battambang e l’aiuto incondizionato ricevuto da persone pressoché sconosciute, che mi hanno aperto le porte di casa loro e dei loro cuori a Mosca, Osaka, Chengdu, Ho Chi Minh e in decine di altre città, paeselli o villaggi in cui mi sono fermato. È esattamente questo ciò che mi spinge ad andare avanti nei momenti in cui potrei anche mollare: sapere che c’è ancora molto altro là fuori da scoprire, da conoscere, da condividere con le persone. Altro al di fuori di me, e al contempo parte di me. È proprio lì che è diretta la mia strada. É lì che sto andando. Perchè altro sarei partito, altrimenti?”

Potrei scrivere per giorni interi a riguardo di Simone e del suo viaggio.

Non perché siamo amici da anni ed abbiamo vissuto dozzine di avventure insieme, né perché da diversi mesi ho iniziato a seguire il suo percorso (geograficamente molto simile al mio, in aggiunta, anche se Simone ha intenzione di continuare e raggiungere l’Australia, attraversarla per 4000 chilometri, imbarcarsi per un mese su un cargo e poi scoprire le Americhe in un altro anno di vita) attraverso il suo Blog (vi invito a segirlo: Wanderhang – viaggio dentro al mondo), e mi basterebbe andare a ripescare le sue parole.

Bensì, semplicemente, perché, quando incontri una persona per certi aspetti davvero uguale a te, non dovresti far altro che scrivere di te stesso.
E lasciare che tutto fluisca.
Da sé.
Come la musica.

[ 7 Marzo 2017 ] Bangkok (Thailandia). 7 pm.

8 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 280 🇹🇭

Ci sono giorni in cui non serve scrivere molto.
L’8 Marzo è uno di quelli.

[ 8 Marzo 2017 ] Bangkok (Thailandia). Ekkamai Road. 3 pm.

9 Marzo, Bangkok (Thailandia) | Giorno 281 🇹🇭

Non parlo quasi mai della mia bicicletta.
Tutti sapete che è una pieghevole (una Brompton), anche se io non ne scrivo in pratica mai.

In Grecia, quando tutto iniziò, la facevo comparire molto più spesso, talvolta appoggiata ad un monastero o in mezzo alle bougainvillea fucsia delle Cicladi, talvolta sonnecchiante su una spiaggia insieme a me.
Durante questo lungo viaggio, invece, potrete confermare che non è stata una presenza costante dei miei post.
Eppure, c’è sempre stata.
Ovunque io fossi – a sudare per strada, sui bus in Europa e sui treni in Russia, nei villaggi della Cina, tra le montagne del Laos e i campi del Vietnam – lei c’era.

Non le ho mai dato un vero e proprio nome, come sono soliti fare i cicloviaggiatori più seri.
So soltanto che per me è da sempre una LEI, che talvolta mi sono trovato a chiamarla “la vecchia Betsy” – come la balestra di Crucco e Tonto del cartone di “Robin Hood” – e che non mi ha mai abbandonato.
Qualche foratura (comprensibile, in 9 mesi), pochi problemi (più che altro dovuti ai ricambi introvabili in Cina) e nient’altro.
Solo tanta strada insieme.
Tanta, tanta, tanta strada insieme.

Negli ultimi tempi invocava qualche attenzione in più: un cambio di pneumatici, un controllo ai freni, un check-up dettagliato ed una profonda pulizia. Tutte cose che ricevetti a Milano, prima di partire, dagli amici del Brompton Junction e di Brompton Italia, e che non avrei mai rifatto, da solo. A Bangkok – tra le altre cose – sono venuto (e rimasto tanto) proprio per questo: cercare qualche professionista che lo facesse per me.

Mai, tuttavia, avrei sperato di poter trovare, in un piccolo ed apparentemente banale negozio di biciclette, ciò che ho trovato al Velotique on Ekkamai.
Non soltanto tutto quello che poteva servire a LEI, ma anche (e soprattutto) la grande passione, la competenza, la gentilezza e la semplicità che due persone che non avevo mai conosciuto prima mi hanno regalato all’istante, spontaneamente.
Arrivare a Bangkok e cercare un negozio cui pagare un servizio, è un conto.
Andare via da Bangkok con una bici rimessa a nuovo in tempi record, due magliette regalo uniche, un articolo su un magazine nazionale e – soprattutto – l’amicizia sincera di Kris e Dear … è qualcosa che per me non ha prezzo.

Questo, comunque, succedeva ieri.
Il giorno 281 parla di interminabili ore su rotaie, in direzione oceano.
Presto nuove decisioni andranno prese – alcune potenzialmente importanti – e per poterlo fare al meglio … mi serve il mare.

Quindi, insieme alla mia inseparabile “vecchia Betsy” rimessa a lucido, attendo il tramonto appoggiato al finestrino di un treno Thailandese, in corsa verso Sud, alimentato da un vento furioso.
Una cosa che, in fin dei conti, non avevo ancora mai fatto.

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MAPPA DEI LUOGHI

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VIETNAM (Seconda Parte): Ninh Binh, Hanoi, Hoi An e Hue (11 – 24 Febbraio)

Luglio 6, 2017 2837 Views

Dopo il Vietnam del Sud, a chiudere un mese intero in un Paese tanto vasto quanto interessante, ecco i racconti del Nord: la natura di Ninh Binh, il caos di Hanoi, la placida Hoi An (ancora) ed una grande pedalata verso Hue, l’antica Capitale del Regno.

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11 Febbraio, Ninh Binh (Vietnam) | Giorno 255 🇻🇳
14 ore di treno più una di bicicletta per tornare a … Yangshuo!

[ 11 Febbraio 2017 ] Ninh Binh (Vietnam). 4 pm.

12 Febbraio, Ninh Binh (Vietnam) | Giorno 256 🇻🇳
Sono venuto a Ninh Binh perché Fulvio, un amico incontrato a Nha Trang, mi aveva parlato incredibilmente bene del paesaggio e mi aveva consigliato di non perdermi un giro in barca tra i fiumi, le risaie, le grotte e le montagne della zona (che tanto mi ricordano quelle che ho amato a Yangshuo), soprattutto col sole ed in una mattinata infrasettimanale.

Al risveglio, peró, del sole solo un vago alone.
E ovviamente mi sono accorto soltanto dopo i primi sbadigli che oggi fosse Domenica.
Una volta arrivato all’imbarcadero, sono rimasto letteralmente sopraffatto dal numero di autobus parcheggiati, dai fischi dei vigili, dai megafoni delle guide e dalle lotte folli della gente ansiosa di salire sulle barche, quasi come fossero galline in fuga da una volpe famelica.

Ho resistito 3 minuti prima di fuggire, cercando come al solito un luogo più tranquillo per godere di quello che comunque rimane un notevole miracolo della natura.
Ho ripreso così la mia bicicletta, attraversato un paio di villaggi ancora imbavagliati nel silenzio dei campi, raggiunto la montagna di non so quale Dragone, ne ho scalato la cima ed ho incontrato due nuovi piccoli amici – due sassi colorati con un cappello tipico Vietnamita che qualcuno ha lasciato appollaiati sulla punta di una torretta – coi quali mi sono ritrovato a fare le pernacchie, dall’alto, sia alle meravigliose montagne sia … alle barche delle galline matte.

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SERA
Ah.
Ho dimenticavo di dire che poi, alla fine del giorno numero duecentocinquantasei, è uscito il sole.
E ha fatto il verso del pavone fino a tardi.
Fino a quando non è crollato.
Così.

[ 12 Febbraio 2017 ] Ninh Binh (Vietnam). Countryside. 5,30 pm.

13 Febbraio, Hanoi (Vietnam) | Giorno 257 🇻🇳
Non capitava da tanto tempo.
L’ultima volta, per la precisione, fu a Budapest, ancora nel lontano luglio.
Prima ancora era successo a Zagabria e a Sofia, ma dopo Budapest … non più.

Di che cosa sto parlando?
Semplicemente, di riuscire a “conquistare” una Capitale di un nuovo Paese in sella alla mia bicicletta.

Tutte le altre Capitali d’Europa – a partire dai Balcani fino ad arrivare ai Paesi Baltici – e poi ancora Mosca, Ulaanbaatar, Pechino, Vientiane ed infine Phnom Penh furono ufficialmente raggiunte ora in treno, ora in autobus (non è corretto considerare “validi” i 15 km necessari per entrare nei centri di Pechino e Vientiane, una volta lasciate le stazioni degli autobus).

Ricordo ancora la soddisfazione e la felicità che mi vinsero la prima volta, a Zagabria, al quindicesimo giorno di viaggio.

Oggi, quando sono trascorsi poco più di 8 mesi da quel dì, dopo aver coperto i 100 km che separavano Ninh Binh da Hanoi in meno di sei ore, dopo aver bucato, aver lottato con una vite ballerina, il traffico indecente e lo smog crudele della Capitale del Vietnam (sì, papà, ho appreso solo pochi giorni fa che Ho Chi Minh non è la Capitale del Vietnam, bensì Hanoi), ebbene le sensazioni sono esattamente le stesse di allora: soddisfazione e felicità.

Eccola, quindi, la diciannovesima – e, verosimilmente, anche una delle ultime – Capitale di questo mio buffo viaggio.
Eccomi a te … Hanoi!

[ 13 Febbraio 2017 ] Hanoi (Vietnam). Lago Hoan Kiem. 4 pm.

14 Febbraio, Hanoi (Vietnam) | Giorno 258 🇻🇳
Capisci che di templi, pagode, musei, chiese e attrazioni varie ne hai già viste a sufficienza quando, invece che leggere le didascalie, soffermarti sui cenni storici, documentarti con una guida, osservare statue e reperti di vario genere, preferisci guardare verso il cielo e, con sguardo sognante … provi a respirare il colore delle orchidee.
Perché è l’unica cosa che ti interessa davvero.

[ 14 Febbraio 2017 ] Hanoi (Vietnam). Tempio della Letteratura. 11,30 am.

15 Febbraio, Hanoi (Vietnam) | Giorno 259 🇻🇳
Pechino?
Ah, No!
Ha Noi!
(dove l’inquinamento è soltanto una chimera)

[ 15 Febbraio 2017 ] Hanoi (Vietnam). Lago dell’Ovest. 5 pm.

16 Febbraio, Hanoi (Vietnam) | Giorno 260 🇻🇳
“E poi, un giorno, l’imponderabile, accadde.

Ci conosciamo fin da quando eravamo bambini. Lei abitava proprio a fianco a me e ogni mattina andavamo a scuola insieme. Spesso la aiutavo con lo zaino, se era troppo pesante, e lei mi teneva per mano fino a quando la salutavo per andare nella mia classe. Qualche volta litigavamo, ma poi sua mamma mi invitava per cena e inevitabilmente finivamo per fare la pace.

Era al mio fianco quando persi i miei genitori, e ricordo che io la strinsi a me per una notte intera quel giorno che venne a dormire da me, dopo che un ragazzo infranse il suo cuore.
Era la mia migliore amica, e io non potevo desiderare di più.

Poi, un giorno, mentre preparava il caffè, la osservai. Forse per la prima volta. Sembrava che danzasse, bellissima nel suo vestito di seta bianco. Fui preso da una forza irrefrenabile, e così mi alzai e la abbracciai. I suoi capelli profumavano di gelsomino. Tremai sulle ginocchia ed in tutte le fondamenta di me stesso, quando si voltò. Una lacrima stava tagliandole una guancia, ma non scalfiva il suo sorriso.
Fu in quel momento che capii tutto.

Ancora oggi le chiedo di vestirsi di bianco, in quei giorni in cui l’aria sembra mancare.
Quasi sempre, tuttavia, non serve nemmeno che lo faccia.
Perché lei lo sa già.

Lei. La mia aurora, dopo una notte senza sogni.
Lei. La sola capace di sciogliersi lieve sulla mia superficie, diventando lei stessa la mia essenza più pura, come un fiocco di neve che si posa sopra le acque gelide di un lago di montagna, lì dove il sole di primavera ha già cominciato la sua opera di disgelo.”

In quanto a me, è tempo di lasciare anche Hanoi.
Che questa città mi porta decisamente alla follia.

[ 16 Febbraio 2017 ] Hanoi (Vietnam). Lago Hoan Kiem. 3 pm.

17 Febbraio, … (…) | Giorno 261 🇻🇳
3 semplici piccole regole.
Le uniche che mi ero dato, prima di partire.
Le uniche che mi sono imposto di non rompere, durante tutto il viaggio:

1) Non prendere aerei, se non per rientrare a casa (i 10 giorni in Grecia, ad Agosto, furono solo una breve vacanza; ricorderete che dovevo attendere il visto Russo a Varsavia, dove c’erano 10 gradi … e non portai la bici con me!);
2) Usare soltanto la bicicletta, una volta raggiunta una nuova città / destinazione (no scooter o moto, neanche per attrazioni da mille e una notte);
3) Mai tornare indietro sulla strada percorsa (se non, come alla regola numero 1, per tornare a casa).

Oggi, dopo quasi nove mesi di indefesso rispetto di queste tre semplici piccole regole, ne ho infranta una.

Quale?
Potete tentare a indovinare

Lo rivelerò domani, insieme alle spiegazioni che mi hanno portato a farlo.
Perché, per un paio di giorni … ho intenzione di rimanere qui.

[ 17 February 2017 ] … (…). 3 pm.

18 Febbraio, Hoi An (Vietnam) | Giorno 262 🇻🇳
Era la regola numero 3, quella che ho rotto.
Sì, perché ieri, diversamente da quanto fatto finora … sono tornato in un posto dove ero già stato prima, percorrendo la stessa strada.
Sono tornato a Hoi An.

Ed ecco i 5 motivi che mi ci hanno riportato:

1) Non avevo voglia – pur commettendo un errore, lo so, come fu per Angkor Wat in Cambogia – di allungarmi ancora più a nord fino a Sapa o ad Halong, dove tutti i turisti o viaggiatori, ma veramente tutti, vanno in qualche modo ad infilarsi, quasi fosse una necessità una volta raggiunta la Capitale del Vietnam;

2) Da Hanoi le uniche connessioni col Laos (per Luang Prabang o Vientiane) avevano orari e costi da far rimpiangere la Transiberiana;

3) Da dove sono ora forse mi riuscirà – tempo permettendo – di pedalare un poco ancora lungo la costa del Vietnam, risalendo fino a Hue, per poi deviare per il Sud del Laos … dove spero sarà possibile una reunion con due amici che non vedo da tanti mesi;

4) Ad Hanoi non si riusciva a vedere il colore del cielo durante il giorno, né, di notte, la luce delle stelle;

5) Perché Hoi An, pur essendo estremamente turistica, come già descrissi qualche giorno fa … è davvero bellissima.

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POMERIGGIO
Non capisco come, dopo quasi un mese in questo paese, ancora non mi riesca di passare inosservato.
Veramente.
Eppure io ce la metto tutta.
Giuro.

19 Febbraio, Hoi An (Vietnam) | Giorno 263 🇻🇳
“E al duecentosesantatreesimo giorno, egli si riposó.”

[ 19 Febbraio 2017 ] Hoi An (Vietnam). An Bang Beach. 4 pm.

20 Febbraio, Da Nang (Vietnam) | Giorno 264 🇻🇳
Leggere una poesia per la prima volta e poi ritrovarla in un luogo, la sera stessa:

“Il vostro compito non è quello di cercare l’amore, ma solamente di cercare e trovare tutte le barriere che avete costruito, dentro di voi, contro di esso.
Lasciate che la bellezza che amiamo sia ciò che facciamo.
Al di là delle idee di giusto e sbagliato, c’è un campo. É lì che ci incontreremo.
Quando l’anima arriva a sdraiarsi su quell’erba, tutto il resto non conta più.”

(Jalāl ad-Dīn Muhammad Rūmī)

[ 20 Febbraio 2017 ] Da Nang (Vietnam). Vista dalla Pagoda Linh Ung. 5,30 pm.

VIDEO
E lo street food dei sogni …

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/07/Video-Vietnam-street-food.mp4

 

21 Febbraio, Da Nang –  Hue (Vietnam) | Giorno 265 🇻🇳
Ok.
Dopo aver lasciato la bella – col sole – Da Nang.
Dopo aver conquistato l’arduo Passo di Hai Van.
Dopo essermi sciolto per il caldo ed aver sudato come non mai.
Dopo aver forato … ancora.
Dopo aver raggiunto l’antica Hue solo in serata, scortato da una palla di fuoco alta in cielo.
Dopo aver sofferto per altri 120 chilometri sulle strade del Vietnam … posso ritenermi soddisfatto anche con questo Paese.

E ora sono finalmente pronto per iniziare la via verso … il Tibet!
Forse

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22 Febbraio, Hue (Vietnam) | Giorno 266 🇻🇳
“Sono nato 23 anni fa in un villaggio a metà strada tra Hoi An e Quy Nhon. I miei genitori sono agricoltori, da sempre. Coltivano riso e verdure che ogni giorno mia madre va a vendere al mercato. Io e i miei quattro fratelli, fin da bambini, lavoravamo duramente per dar loro una mano. Era l’unica cosa che conoscevamo, e anche l’unica che potessimo fare, del resto. Alle volte non andavamo nemmeno a scuola, perché c’era da nutrire i maiali e da portare i buoi al pascolo. Però a me piaceva. Ricordo che ogni tanto portavo gli animali con me a scoprire nuove montagne, nuove valli, nuovi prati. Quando loro si fermavano a mangiare l’erba, io prendevo i miei libri e studiavo. Oppure leggevo, o scrivevo. Oggi studio qui a Hue, per diventare medico. Spero di diventare utile col mio futuro mestiere, e so che in qualche modo ci riuscirò. Anche se, talvolta, ripenso a quegli attimi di pace, quando ero da solo al pascolo coi buoi di mio padre su qualche collina sconosciuta, e li rimpiango.”

Grazie, Ban, per avermi fermato mentre camminavo lento in una giornata in cui non avevo voglia di far nulla.
Grazie per avermi convinto a praticare un po’ di inglese insieme a te, sorridendo puramente per oltre un’ora.
Grazie infine per avermi aperto le porte sulla tua storia.
E sulla tua grande poesia.

[ 22 Febbraio 2017 ] Hue (Vietnam). Perfume River. 5 pm.

23 Febbraio, Hue (Vietnam) | Giorno 267 🇻🇳
Quando qualcuno dice “La Città Proibita”, la mente vola, immediata, a Pechino, al suo strepitoso Palazzo Imperiale ed alla inespugnabile corte/città che vi nasceva attorno.

Ebbi la fortuna di visitarla 2 anni fa.
Ricordo ancora lo stupore che mi vinse quando vi entrai, subito dopo aver varcato i bastioni che la separano da Piazza Tienanmen, e le fantasie che seguirono, per ore, relative a dinastie, eroi, battaglie, miti, racconti, usi e costumi di una Cina che non esiste più …

Ricordo anche la fiumana di turisti (per lo più cinesi) che c’era, dalla quale non sempre fu facile scappare, anche solo per ritagliarsi pochi attimi di sogni e visioni solitarie.

Oggi, a Hue, ho scoperto che anche il Vietnam può vantare una sua piccola “Città Proibita”, dimora dell’Imperatore in quella che fu per secoli l’antica capitale del Regno, prima che la storia determinasse furiosi e terribili cambiamenti in questa graziosa ed accogliente terra.

Le fantasie relative alle dinastie, agli eroi, alle battaglie, ai miti, ai racconti, agli usi ed ai costumi che questa Cittadella è in grado di rievocare, probabilmente non sono paragonabili a quelle, maestose ed imponenti, del suo gigantesco vicino … ma in quanto a silenzi, sogni ed attimi di meravigliose visioni solitarie, è senza dubbio la Città Proibita più bella in cui mi sia mai riuscito di perdermi.

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24 Febbraio, Verso il Laos | Giorno 268 🇻🇳 – 🇱🇦
Nutrivo grandi aspettative sul Vietnam, prima di partire. Non ne ho mai capito il motivo, ma è un paese che da sempre mi ha intrigato, affascinato e che da anni desideravo conoscere.
Nel corso di questo viaggio, tuttavia, il mio interesse si era notevolmente ridimensionato, specialmente negli ultimi mesi in Asia e dopo aver ascoltato svariati racconti di altri viaggiatori, spesso tutt’altro che positivi.
Non poche volte ho udito frasi come: “Oh, il Vietnam … lascia perdere! È un paese in estremo cambiamento, molto popoloso, iper trafficato, estremamente turistico e anche poco sicuro, specialmente nelle grandi città! E i Vietnamiti poi: sei un dollaro ambulante per loro! Cercheranno di fregarti sempre, vedrai!”

Il giorno che chiesi il visto di un mese, a Phnom Penh, avevo sentimenti contrastanti: da un lato non volevo perdermi la possibilità di rimanere in Vietnam, se mai mi avesse convinto, ma dall’altro ero certo che non sarei mai arrivato alla fine dei 30 giorni del visto.
Ebbene, quel giorno era il 23 Gennaio, il giorno prima di prendere il bus che mi portó a Ho Chi Minh.

L’impatto fu duro, non lo nego.
Caos, traffico, rumori e maltempo minarono, durante i primi giorni, il mio già scarso entusiasmo.
Ma alla fine eccomi qui, un mese dopo, al valico di Lao Bao, mentre tendo una mano – in cenno di saluto – ad un paese che è riuscito a regalarmi davvero tanto: il fresco e l’odore di pino delle montagne a Dalat, le spiagge tempestose di Quy Nhon, i colori e le dolcezze di Hoi An, i profumi di mare di Da Nang, la tranquillità delle valli di Ninh Binh, le sfumature intriganti di Hanoi, alcuni percorsi in bicicletta appassionanti ed appassionati … e, soprattutto, diversi amici.

Gli incontri con le persone, come sempre, fanno la differenza.
Retorica a parte, se questi ultimi 30 giorni in Vietnam hanno superato le mie più rosee aspettative (pur senza aver visitato Sapa e Halong), lo devo soprattutto alle persone.

In primis a chi da casa e attraverso i social mi sta seguendo da tanto tempo, e che ogni giorno mi dá grande forza per andare avanti sulla mia strada ed in quello che sto facendo.
E poi a chi, del mio Vietnam, ha fatto parte.
Chi magari solo per avermi aiutato, accolto, cenato, bevuto e riso con me, e chi invece ha condiviso insieme a me momenti, ore e persino giorni interi, riuscendo a donarmi ricordi e gioie di vera, rara, intensità.

Quindi: Giacinto, Michela, Virginie, Francisco, Karin, Randy, Han, Trinh, Fulvio, Alex, Vicki & Chris, Katya & Anssi, Suong, Szymon, Kinga, Jorge, Alyssia, Cynthya, Nadine, Jenny, Tho, Phi Phi, Hoa, Davide, Alberto, Le, Romain, Jeremy, Sam, Tarek, Sean, Mario, Camille, Antoinette, Anh, Truc, Bong, Ban, Ly, Alessandro, Martino e Vicki … questo saluto e questo GRAZIE, oggi, sono anche per voi!

[ 24 Febbraio 2017 ] Confine di Lao Bao (Vietnam / Laos). 12 am.

STATISTICHE VIETNAM
KM in BICICLETTA: 720
KM in AUTOBUS: 1570
KM in TRENO: 880
NOTTI in OSTELLO: 25
NOTTI in OSPITALITÁ: 4
NOTTI in TRENO / AUTOBUS: 2
SPESE: 749 €

CURIOSITÀ
MONETA: Dong
“BUONGIORNO”: “Chào buoi sáng”
“GRAZIE”: “Cam On”

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MAPPA DEI LUOGHI

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VIETNAM (Prima Parte): Saigon, Da Lat, la costa del Sud e Hoi An (24 Gennaio – 10 Febbraio)

Luglio 5, 2017 3012 Views

Quante domande mi ponevo, quel giorno, mentre abbandonavo in fretta e furia la Cambogia e mi apprestavo a varcare il confine col Vietnam.
Come sarà il traffico di Ho Chi Minh? E le montagne di Da Lat? Varrà la pena pedalare fino a Nha Trang? Che cos’è la festa del “TET”? Le previsioni meteo per la costa del Sud? Sarà davvero così bella come dicono, la piccola Hoi An?
Le risposte non sarebbero tardate ad arrivare …

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24 Gennaio, Phnom Penh (Cambogia) – Ho Chi Minh (Vietnam) | Giorno 237 🇰🇭 – 🇻🇳
Si sta(va) come d’autunno sugli alberi le foglie.
Ed è subito Vietnam.

[ 24 Gennaio 2017 ] Confine Cambogia – Vietnam di Moc Bai. 3 pm.

25 Gennaio, Ho Chi Minh (Vietnam) | Giorno 238 🇻🇳 – VIDEO
Una delle cose più eccitanti e pericolose che abbia mai fatto in vita mia:
andare in bicicletta ad Ho Chi Minh (o Saigon)!

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/07/Video-Vietnam-Ho-Chi-Minh.mp4

 

26 Gennaio, Ho Chi Minh (Vietnam) | Giorno 239 🇻🇳
Un po’ Shanghai, un po’ Manama, un po’ Calatafimi (ma senza la bellezza delle colline siciliane e dell’isola intera).
Una città frenetica, sguaiata, rumorosa, inquinata, dove tra le attrazioni principali c’è un rifacimento impietoso, quasi esilarante, della Cattedrale di Notre Dame.
Ma una città che vanta una storia importante, seppur tragica, ed uno charme tutto suo, capace di conquistare.

Ci sono posti belli a Ho Chi Minh City?
No, neanche uno.
Ci sono storie che valgono a Ho Chi Minh City?
Sì, tante.
Alcune che non vorresti scoprire mai.
Ma le conosci già, e quindi non puoi fare a meno che andare a incontrarle.

[ 26 Gennaio 2017 ] Ho Chi Minh City (Vietnam). War Remnants Museum. 4 pm.

27 Gennaio, Da Lat (Vietnam) | Giorno 240 🇻🇳
Qualcuno sa come si dice “Otto Mesi” in Vietnamita?
No perché io non ne ho la minima idea.
Eppure oggi, che è pure l’ultimo giorno dell’anno in Cina e da queste parti … sì, ne compio otto!

Così ho girato la ruota e provato a darci un nome. A intonare un suono che fosse diverso dallo stonato e confuso Ho Chi Minh.
Ed è venuto fuori qualcosa che per ora alle mie orecchie – ed ai miei occhi – giunge come il canto leggero di un pettirosso, nascosto solitario in un bosco di abeti, in una fresca mattina di primavera.
Otto mesi, in Vietnamita, per me non è altro che questo: Da Lat.

[ 27 Gennaio 2017 ] Da Lat (Vietnam). Lago Xuan Huong. 4,30 pm.

28 Gennaio, Da Lat (Vietnam) | Giorno 241 🇻🇳
In Laos, alle cascate – soprattutto a quelle, meravigliose, di Tad Lo – ci si accedeva attraverso sentieri scivolosi in terra e fango, c’erano elefanti che vi si bagnavano la proboscide e bambini – oltre che giovani monaci buddhisti – che vi trascorrevano le ore tra tuffi, schizzi e risate, incuranti del domani.

In Vietnam, alle cascate – per lo meno a quelle, meravigliose, di Datanla – si può arrivare in meno di due minuti sedendosi sopra dei carrelli meccanici, risparmiando ogni tipo di fatica, gli elefanti sono rimpiazzati da bar e cabinovie, ed il rumore dei bambini che giocano lascia spazio a quello delle pose e dei click fotografici, spesso di turisti dallo sguardo indifferente, incuranti del presente.

Come molti dicono, da queste parti: same same, but different.

[ 28 Gennaio 2017 ] Da Lat (Vietnam). Cascate Datanla. 3 pm.

29 Gennaio, Da Lat (Vietnam) | Giorno 242 🇻🇳
“Quindi hai deciso che domani ci provi? Da Lat – Nha Trang in un giorno?”
“Sì.”
“Sono 145 chilometri, lo sai vero? E qui intorno ci sono le montagne, lo sai vero?”
“Sì. Ma qui siamo a 1500 metri di altezza, e Nha Trang è sul mare. Quindi in teoria poi dovrebbe esserci anche qualche discesa.”
“Ah, ok. Scommetto allora che ti sei preparato alla perfezione oggi!”
“Oh, sì. Tantissimo.”

[ 29 Gennaio 2017 ] Da Lat (Vietnam). Lago Xuan Huong. 4 pm.

30 Gennaio, Da Lat – Nha Trang (Vietnam) | Giorno 243 🇻🇳
Da Lat – Nha Trang: 140 chilometri in tre, semplici parti.

Parte 1: l’uscire dalla città, lo zigzagare tra i motorini folli, lo scoprire viuzze sconosciute durante il loro risveglio ed il ridere di un “ALT!” inaspettato; quindi una strada scenica e dura; 55 chilometri di diabolici su (a tratti percorsi a piedi) e giù attraverso alpeggi simil-Dolomitici, sommerso dagli “Hello!” dei Vietnamiti su due ruote e circondato da montagne, pini e profumo di pigne.

Parte 2: un Passo a 1600 metri nascosto da una nebbia apocalittica, con temperature di poco superiori allo zero ed una banda di ragazzi incuriositi; poi 30 chilometri con 1500 metri di dislivello negativo; una discesa infinita ed incredibile, tra cascate e tornanti vertiginosi, durante la quale credo di non aver pedalato quasi mai, divertendomi come un bambino e ricordando tutte le volte giù dal Falzarego insieme a papà.

Parte 3: pianura e villaggi al principio, pianura e città alla fine; risaie verde smeraldo e poi una distesa di suoni e palazzi fino a raggiungere il mare; 55 chilometri coperti con una facilità tale – forse per via dell’adrenalina ancora vibrante – che per un attimo ho pensato di essere diventato un supereroe. Fino a quando non ho visto un ragazzo Asiatico, cicloviaggiatore a sua volta e carico di borse da ogni parte, dirigersi in direzione opposta alla mia, deciso ad affrontare anch’egli quei 30 chilometri di libidine assoluta … ma in salita.

Morale: dopo sette giorni circa, eccolo, finalmente … il bello del Vietnam.
E, dopotutto, non dovevo far altro che tornare ad andare in bicicletta.

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DURANTE LA PEDALATA

“Chissà che caldo avrai a pedalare in Vietnam …”, mi dicevano.
“… e chissà che entusiasmo!”, mi dicevano.

[ 30 Gennaio 2017 ] Da Lat – Nha Trang. 1,30 pm.

31 Gennaio, Nha Trang (Vietnam) | Giorno 244 🇻🇳
Nella cittá di Nha Trang ci sono talmente tanti Cinesi e Russi in vacanza che sembra quasi di essere finiti in un sobborgo di Shanghai o di Mosca, di Nanjing o di Novosibirsk.
L’aria che si respira, tuttavia, complice anche una fresca brezza marina che nel pomeriggio si trasforma in impetuoso vento, rimane decisamente piacevole e frizzante.

Probabilmente fra 10 anni sarà devastata da cemento e costruzioni e finirà di diritto nel tritacarne che molti invece venerano come progresso, crescita ed evoluzione.
Per il momento, però, posso dire che non è di certo il luogo più bello che abbia mai visto … ma nemmeno il più brutto.

Anche se da queste parti, ogni volta che si osserva il mare e si ascolta il ruggito dell’oceano, è davvero difficile non pensare alle migliaia di profughi che per anni tentarono di sopravvivere fuggendo al di là delle onde – per questo chiamati “Boat People” – e di cui, per larga parte, non si seppe mai più che fine fecero.

[ 31 Gennaio 2017 ] Nha Trang (Vietnam). 11 am.

1 Febbraio, Nha Trang (Vietnam) | Giorno 245 🇻🇳
A Nha Trang piove.
A Nha Trang c’è il Tet.

Che cosa significa?
Sostanzialmente che:

A) Non hai nulla da fare;
B) Ti trovi nel pieno di una settimana di festa dovuta al capodanno lunare Cinese (festeggiato anche qui in pompa magna); ergo, non esiste un letto libero a prezzo ragionevole in nessun ostello / albergo della città e tutto – anche un semplice caffè – costa quasi il doppio di quanto costerebbe di solito.

Quindi … come passare la giornata? Che programmi definire? E dove dormire?
Ebbene, puoi impacchettare le tue robe alla bell’e meglio, seguendo il flusso di quello che ancora non ti è dato sapere.

Puoi tirare fino a pranzo con Alex e Fulvio, due simpatici ragazzi italiani incontrati ieri, gustando un pranzo a base di tagliatelle e affogato al caffè che Alex desidera altresí offrirti.

Puoi trascorrere un altro pomeriggio di risate e racconti in compagnia di Katya e Anssi, due viaggiatori (russa lei, finlandese lui) incontrati ad Ottobre in ostello nel gelo inquinato di Ulaanbaatar – dove eravate i soli avventori ed avete condiviso peripezie ed ansie dovute alla richiesta del visto per la Cina – diventati ben presto amici e che si trovano ora, per pure coincidenze, sotto il tuo stesso identico cielo.

Puoi pedalare fuori dal centro, facendo visita a Vicki e Chris, una coppia canadese – entrambi viaggiatori di lunga data e residenti temporaneamente in Vietnam – conosciuta poche ore prima per il tramite di un’amicizia comune, che subito ti offre un divano su cui poter dormire per tutti i giorni di cui puoi aver bisogno e che fin dal primo istante non lesina sui sorrisi, sugli aiuti e sugli abbracci più sinceri.

Pur sotto la pioggia, circondato da turisti e nel mezzo di imprevisti e soluzioni da trovare … finisce che vivi, così, uno dei giorni di viaggio più pieni e gioiosi in assoluto.
E, come sempre, per via delle persone.

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2 Febbraio, Quy Nhon (Vietnam) | Giorno 246 🇻🇳
“Pedalare sulle coste centrali o nel Nord del Vietnam è un’esperienza assolutamente da non perdere”, devo aver letto da qualche parte.

Peccato che nel centro del Vietnam piova quasi incessantemente da quasi due mesi, e il Nord sia decisamente lontano.
E pensare che a quest’ora potevo essere ancora sulle spiagge bianche della bella isola di Koh Rong …

[ 9 Febbraio 2017 ] Da Nang (Vietnam). Beach Promenade. 2 pm.

3 Febbraio, Quy Nhon (Vietnam) | Giorno 247 🇻🇳
Tra le altre cose, impossibili da mettere in foto:

– spira un docile vento che fa turbinare il manubrio, quando si pedala troppo velocemente;
– non esiste un negozio di dolci in tutta Quy Nhon, o almeno io non l’ho trovato;
– proprio lì, pochi metri dietro di me, gli altoparlanti di un bar da spiaggia suonavano in loop dei motivetti lirici … tra cui un’interminabile ed impietosa versione di “Für Elise” rifatta al clarinetto;
– dicono di aver avvistato un paio di squali, nelle acque non lontane da qui, un po’ piú al di là delle onde marroni.

Ah, l’amarismo.

[ 3 Febbraio 2017 ] Quy Nhon (Vietnam). Sotto la tempesta. 2 pm.

4 Febbraio, Hoi An (Vietnam) | Giorno 248 🇻🇳
Che cosa chiedi ai ragazzi che lavorano alla reception del tuo nuovo ostello, dopo mezza giornata di viaggio in autobus per lasciare la pioggia incessante di Quy Nhon, dopo un’ora di dolce pennica ed un risveglio pomeridiano colorato sorprendentemente dal sole?

“Scusa, mi sai dire qual è il luogo migliore in città … per bere una birra in santa pace e poter guardare il tramonto?”

Che è forse dal Laos che non ne vedi uno completo.
E che Hoi An, per quanto apparentemente bella, può anche aspettare.

[ 4 Febbraio 2017 ] Hoi An (Vietnam). Fiume Song Thu Bon. 5 pm.

5 Febbraio, Hoi An (Vietnam) | Giorno 249 🇻🇳
Nella Foto A potete vedere, in sequenza:
– Una mamma che sorregge il proprio figlio, divertito e allo stesso tempo spaventato dalle onde, infondendogli coraggio;
– Un bambino che rassicura la propria mamma, stringendole la mano con sguardo fiero e libero verso l’ignoto;
– La spiaggia di Hoi An;
– Il mare incazzato del Vietnam;
– La terza città più grande del paese, Da Nang.

Nella Foto B potete vedere: Zio Vietnam.

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6 Febbraio, Hoi An (Vietnam) | Giorno 250 🇻🇳
Leggo e cito una guida:
“La graziosa e storica Hoi An è la cittadina più suggestiva e deliziosa del Vietnam. Una volta importante porto, vanta una grande architettura ed un’accattivante posizione lungo il fiume che si addice al suo patrimonio da sito UNESCO, ove le maledizioni relative al traffico ed all’inquinamento del 21° secolo sono quasi del tutto assenti.
Il volto del centro storico ha conservato la sua incredibile eredità fatta di traballanti case mercantili giapponesi, templi cinesi ed antichi magazzini di tè – anche se, naturalmente, le abitazioni dei residenti e le risaie sono state gradualmente sostituite da imprese turistiche, lounge bar, boutique hotels, agenzie di viaggio, sartorie e negozi di ogni sorta che sono parte integrante dell’odierna scena di Hoi An.”

Preciso.
Raramente ho visto una concentrazione di turismo così elevato, tutto racchiuso in letteralmente una ridotta manciata di vie; forse solo Venezia, Praga ed il fintissimo centro storico di Lijiang in Cina raggiungevano numeri tanto alti.

Tuttavia oggi, mentre mi aggiravo lentissimo e ramingo per le coreografiche viuzze di Hoi An, non ho percepito nessun tipo di fastidio o disturbo, e nemmeno quel solito desiderio di isolamento che spesso mi accade di avvertire in questo genere di situazioni.

E osservando pazientemente questi colori, credo che sia davvero molto semplice intuirne il motivo.

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7 Febbraio, Hoi An (Vietnam) | Giorno 251 🇻🇳
Doveva essere l’ultimo giorno ad Hoi An, e così ho deciso – visto il sole, il caldo ed il cielo azzurro – di trascorrerlo al mare, lungo la spiaggia che avevo già visitato due giorni fa.
Zero vento, mare tiepido ed accogliente, palme e noci di cocco a perdita d’occhio ed un piatto di noodles con gamberetti (a 3 dollari) da libidine imperiale.

Tutto molto bello.
Fino a quando, però, un’onda furibonda non ha deciso di sommergermi – con tutta la mia roba – mentre ero disteso e sonnecchiante sul bagniasciuga, dopo un classico attacco postprandiale.
Il fatto che avessi stupidamente lasciato il telefono al di fuori dello zaino dove è solito stare ha spento sul nascere la mia istintiva risata.

Dispositivo funzionante, ma danneggiato e con batteria fuori uso (questo post arriva da computer) … ergo, inutilizzabile.
Un giorno in più ad Hoi An per cercare di sistemarlo, a scanso di miracoli, sarà d’obbligo.

Le due considerazioni di oggi pertanto sono:
– Ecco cosa succede quando si schiaccia una pennica di fronte ad un mare di cui non si conoscono le maree;
– Anche l’essere “disconnesso” per un poco, dopo lungo tempo, si presta ad essere come un’inattesa, divertita e – ahimè – dimenticata forma di … libidine imperiale.

[ 7 Febbraio 2017 ] Hoi An (Vietnam). Spiaggia. 11 am.

8 Febbraio, Hoi An (Vietnam) | Giorno 252 🇻🇳
Ore 17.00: la prima fotografia scattata in questo viaggio … con il telefono.
Redivivo, con mia grande sorpresa, e apparentemente come nuovo.
Pronto così a lasciare Hoi An, la bella.

[ 8 Febbraio 2017 ] Hoi An (Vietnam). Città Vecchia. 5 pm.

9 Febbraio, Da Nang (Vietnam) | Giorno 253 🇻🇳
Quand’è che le previsioni buttano pioggia per un’intera settimana?
Quando io decido di tornare a pedalare.
Vietnam, I love you sooooooo much too!

[ 9 Febbraio 2017 ] Da Nang (Vietnam). Beach Promenade. 2 pm.

POMERIGGIO
Dopo più di due mesi in sud – est asiatico ho capito che mi manca molto una cosa davvero banale, che ho sempre dato per scontata: il cambio di stagioni.
Qui le uniche cose che cambiano sono: il colore del cielo (temperature e umidità rimangono pressoché costanti ovunque), l’intensità della pioggia, la mia barba e – alle volte – le mie generosissime occhiaie.

[ 9 Febbraio 2017 ] Da Nang (Vietnam). Spiaggia. 5 pm.

10 Febbraio, Da Nang (Vietnam) | Giorno 254 🇻🇳
Facilmente distinguibili, in questa foto:
a) il Dragone Colorato di Da Nang
b) il famoso Ponte, simbolo della città

[ 10 Febbraio 2017 ] Da Nang (Vietnam). Dragon Bridge. 12 am.
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MAPPA DEI LUOGHI

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CAMBOGIA: Phnom Penh e l’isola di Koh Rong (11 – 23 Gennaio)

Luglio 3, 2017 2794 Views

Chiuso il meraviglioso “Capitolo Laos“, la discesa continuava verso la terra dell’antico impero Khmer.
Forse perché ancora troppo abbagliato dalle sorprese del Laos, forse perché il primo impatto – in una caotica Phnom Penh ed immerso fin da subito nella terribile storia recente di Pol Pot e dei suoi Khmer Rossi – era stato angosciante o forse semplicemente perché iniziavo a patire in maniera seria i caldi torridi del Sud-Est Asiatico (che provai a lenire per qualche giorno sulla bella isola di Koh Rong) … ma sta di fatto che, purtroppo, la Cambogia non seppe darmi quello che andavo cercando ed io non fui in grado di trovare quello di cui avevo bisogno in quel momento del viaggio. 13 giorni soltanto, e poi scappavo in Vietnam. 
Ripromettendomi, però, che un giorno … sarei tornato.

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11 Gennaio, Don Det (Laos) – Phnom Penh (Cambogia) | Giorno 224  🇱🇦 ➡ 🇰🇭
Con quasi 600 km in bicicletta – tra le montagne del Nord, i dintorni di Luang Prabang, Phonsavan e Vientiane, gli altipiani vicini a Pakse e le lunghe, aride strade dirimpetto al Mekong del Sud – il Laos diventa ufficialmente, e di gran lunga, il paese in cui più ho pedalato fin dal giorno in cui sono partito.

Arrivato all’ultimo giorno potevo scegliere se compiere altri 100 km, attraversare in sella il confine con la Cambogia e cercare un letto in un luogo chiamato Stung Treng, oppure salire su un autobus fino a Siem Reap, o Phnom Penh.
Visto che c’é un caldo esagerato, che mi piace mischiare le cose e che, come nome, Stung Treng mi evocava soltanto sonore mazzate … ho scelto l’ultima, facile, opzione.
Phnom Penh.

Al confine, quando anche tutti i miei bagagli sono rimasti nella pancia dell’autobus e sono sceso – insieme ad una vagonata di backpackers in occhiali da sole e flipflops – per le formalità di uscita dal paese, ho ricordato con un sorriso tutte le snervanti trafile di controlli che dovetti superare per lasciare la Russia, la Mongolia e la Cina.

In questa parte di mondo, invece, pare che non freghi niente a nessuno di chi tu sia, del perché tu sia qui, di che faccia abbia e di quello che trasporti con te.
Per uscire dal Laos, nella fattispecie presso il confine di Veun Kham, basta che paghi 2 dollari e puoi dire qualsiasi cosa ti venga in mente per ricevere il timbro di addio.

Anche che sei un famoso skater del Lichtenstein e che ti chiami Wilson, senza cognome, esattamente come la marca di berretti di cui sei il geniale fondatore ed il ricco, sfondatamente ricco, presidente.

[ 11 Gennaio 2017 ] Confine Laos – Cambogia. 12 am.

12 Gennaio, Phnom Penh (Cambogia) | Giorno 225  🇰🇭
Storia imponente, mercati colorati e trasudanti odori dove paghi in Dollari ed il resto ti arriva in Rial cambogiani, traffico selvaggio, statue Khmer, campi da calcio e pallavolo improvvisati ovunque, luci, cantieri, palazzi inguardabili, caldo soffocante, laghetti, fiumi, sporcizia, caos, oasi di pace nascoste, chioschi di strada mischiati ad altarini buddhisti ricolmi di fiori e incenso.

E ancora, gente che taglia i capelli su un marciapiede a fianco al vicino che ripara motociclette, gente che suona, gente che lavora, gente che mendica, gente che vende, gente che pigia sul clacson, gente che ti chiede se cerchi fumo o ragazze, gente che si sposa in un bar, gente che lava i propri bambini sulla promenade lungo fiume, gente che gioca a carte tutto il giorno, gente che danza o fa jogging, gente che ride sfrecciando con le proprie auto sgargianti e gente che vive sopra un tuk tuk arrugginito.

Una madre che trascina un carretto esondante immondizia che ti sorride gioiosa quando ti cammina a fianco, mentre la figlia – bellissima, e senza un braccio – ti sbircia di sottecchi e le si allunga in una stretta tanto timida quanto pura, dolce e felice.

Questo, il primo giorno a Phnom Penh.
Come ho letto oggi in una guida, una città “al limite di tutto”, tanto fermente e vibrante da saperti stregare con le sue infinite possibilità e che, allo stesso tempo, sa stenderti con cinismo crudele nel tempo di un battito di ciglia.
Per quanto riguarda me … ebbene, io, in tutto questo, non ho capito proprio nulla.

Così, per non sapere né leggere né scrivere, ho indossato un capo arancione, ho trovato due amici monaci con cui chiacchierare al fiume sul far del tramonto, ho osservato un tizio buffo, arrivato in bicicletta, che mi scattava una foto, e ho cercato di mostrargli tutto il mio disagio, la mia perplessità ed il mio irreprensibile, ma pur sempre caritatevole, disappunto spirituale.

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13 Gennaio, Phnom Penh (Cambogia) | Giorno 226  🇰🇭
Se si viene a Phnom Penh, ed in Cambogia in generale, non è possibile – e non sarebbe nemmeno giusto – rimanere estranei alla recente, tragica, storia di questo Paese.
Un regime militare e dittatoriale, comandato da pochi “eletti”, che ha cercato di introdurre in queste terre uno Stato-Utopia, fondato sul lavoro della terra e l’autosufficienza, e che, per compiere ciò, in meno di 4 anni (dal 1975 al 1978) ha cancellato dalla propria stessa nazione un terzo della popolazione ed ha danneggiato per sempre le vite di tutti gli altri sopravvissuti e dei loro discendenti.

Una storia fatta di impietosi lavori forzati, di economia industriale rasa al suolo, distruzione del denaro, delle università, dei mercati, delle scuole, di ogni tipo di culto e usanza, dell’azzeramento delle individualità e della dignità umana in generale.

Oggi, visitando la Prigione – Campo di Tortura S21 ed i famosi “Killing Fields”, sono venuto a scoprire una realtà disumana, difficilmente raccontabile, condita da soprusi incommentabili, torture sadiche e uccisioni che neanche i mostri delle fantasie più perverse potrebbero forse raggiungere; di fronte all’albero usato dai boia per fracassare le teste dei neonati (sì, è osceno, lo so … ma è successo veramente ed è inutile nasconderlo, anche se preferisco evitare di pubblicare foto), ora cosparso di petali e braccialetti colorati, ho sentito per un attimo vibrare la terra, e ho retto con difficoltà.

Ho speso forse 5 ore in totale tra i due musei, e potrei raccontare decine e decine di orrori e storie diverse.
Ma ce ne è una che mi ha colpito in particolar modo, e per la sua casuale tragicità e per il suo incredibile – seppur nascosto – messaggio di speranza, che mi ha rubato un barlume di gioia nel mezzo di una giornata estremamente tetra.

Riguarda un ragazzo neozelandese, Kerry Hamill, che avrei potuto benissimo essere io stesso – se solo fossi nato una trentina di anni prima – o che semplicemente avrebbe potuto essere mio padre, oppure ognuno di noi.

Un ragazzo normale e sognatore, come tanti, che nel 1978, all’età di 27 anni, decise di affrontare un lungo viaggio in barca intorno alle coste del Sud dell’Asia.
Per una tragica fatalità lui e i suoi due amici si trovarono costretti, per via di una tempesta, a cercare riparo tra gli scogli di un’isola della Cambogia del Sud.
Furono scoperti dai Khmer Rossi e trasferiti immediatamente a Phnom Penh, dove furono imprigionati nella S21 con l’accusa di essere spie della CIA o del KGB.
Uno di loro morì presto, gli altri due furono a lungo torturati e dovettero confessare la loro assurda colpa.
Kerry Hamill fu giustiziato (così come altre decine di migliaia di cambogiani e stranieri di diverse nazionalità) per crimini mai commessi, e per anni la sua famiglia non seppe più nulla di lui, né della fine che fece.

Quando, negli ultimi anni, furono trovati e aperti molti degli archivi segreti dei Khmer Rossi, fu letta anche la confessione scritta di Kerry.

Vistosi alle strette, ormai di fronte alla fine dei suoi giorni, ammise di essere una spia della CIA, ma non perse la lucidità e la voglia di sognare e di continuare a sorridere alla vita.
Citó il Colonnello Sanders (il fondatore della Kentucky Fried Chicken) come suo supervisore, il Sergente Pepper (dal famoso album dei Beatles) come suo primo superiore, salutó ad uno ad uno i suoi più cari amici e parenti, annotando su un foglio tutti i loro nomi e indicandoli come i suoi soci in azione, menzionó il numero di casa come il suo diretto per la CIA, e salutó infine il suo unico istruttore e mentore, citandolo con un insolito nome in codice: S Tarr.

Nient’altro che un ultimo, incondizionato, messaggio di amore e speranza nei confronti di una donna, il cui nome, di fatto, era Esther.
Sua madre.

[ 13 Gennaio 2017 ] Phnom Penh (Cambodia). The Killing Fields. 3 pm.

14 Gennaio, Koh Rong (Cambogia) | Giorno 227 🇰🇭
Dopo la giornata emotivamente molto dura di ieri, mi è venuta una gran voglia di andare a perdermi solitario per qualche valle, fiume e baita di montagna.
Le montagne che piacciono a me, tuttavia, sono lontane migliaia di chilometri da dove mi trovo.
Quindi ho pensato che, dopo mesi dall’ultima volta, potessi anche andare a vedere un’altra cosa che iniziava a mancarmi molto.
E che ha sempre da dire qualcosa, ovunque lo si osservi.
Il mare.

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15 Gennaio, Koh Rong (Cambogia) | Giorno 228 🇰🇭
Il lato negativo dei villaggi insulari che buttano verso Est (come ad esempio Kastro, a Sifnos, o l’unico villaggio di Koh Rong, dove mi trovo da ieri sera) è che rimangono coperti, quando cala il sole.

Il lato positivo, però, è che, se ti svegli presto, ci sei pressoché soltanto tu.
E c’è solamente una cosa che tu possa fare.
Volgere lo sguardo ad un nuovo giorno, mentre questi, in silenzio e indisturbato, sta nascendo lentamente.
E tu, con lui.

[ 15 Gennaio 2017 ] Koh Rong (Cambogia). 6,30 am.

16 Gennaio, Koh Rong (Cambogia) | Giorno 229 🇰🇭
Sarò sincero.
Sebbene avessi deciso di raggiungere un’isola per affrontare un periodo di naturale stanchezza dovuta al caldo di questa zona di mondo ed ai tanti mesi in solitaria, non è che questa Koh Rong mi avesse acchiappato del tutto.

Sarà che non ci sono infrastrutture sull’isola – cosa peraltro molto positiva – e che quindi, con tutti i miei pesi, non ho potuto che sistemarmi in una Guesthouse non lontana dal piccolo, caotico porto, grondante sporcizia, turisti e alcol.
Uno di quelli che potrebbe ricordare il film “I Pirati dei Caraibi”, giusto per intenderci.

Oggi, però, ho provato a muovermi un poco e, così, a cambiare prospettiva.
E debbo confessare che anche la mia opinione, su quest’isola, è totalmente cambiata.

[ 16 Gennaio 2017 ] Koh Rong (Cambogia). Lonely Beach. 3 pm.

17 Gennaio, Koh Rong (Cambogia) | Giorno 230 🇰🇭
Non beccavo pioggia dal giorno che arrivai (e scappai dopo meno di tre ore) a Kunming, in Cina, diretto verso Lijiang.
Era fine Novembre.
Più di un mese e mezzo senza una goccia … e quando decide di colpirmi, il nubifragio totale?

Dopo aver camminato quasi 2 ore in mezzo alla giungla di un’isola cambogiana, cercando di evitare cadute e serpenti, dopo aver pregustato, disteso sull’amaca, un rilassante pomeriggio ed un tramonto dalle potenzialitá assolute, e dopo aver camminato sulla sabbia di quella che é forse la spiaggia più bella dove mi sia mai capitato di posar piede, in vita mia.
Dopo quella di Plaka, a Naxos, ovviamente.

Legge di Murphy o meraviglioso, quanto inaspettato, spettacolo pirotecnico della natura?
Di qualsiasi cosa si tratti, un motivo in più per rimanere qualche altro giorno sull’isola di Koh Rong.
Fair enough.

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18 Gennaio, Koh Rong (Cambogia) | Giorno 231 🇰🇭
Dopo che ieri mi erano capitate, in sequenza, 2 ore di giungla cambogiana, una tempesta furiosa, una fuga a gambe levate ed un tramonto mancato, oggi il vento è cambiato.  Ed il tempo con lui.

In piú è successo che, stamattina, poco dopo colazione, qualcuno mi abbia rivelato che per raggiungere la Long Beach esiste, da poco, anche uno sterrato che costeggia per 5 km l’isola.
Una strada facilmente percorribile in bicicletta.

Così l’ho presa e sono andato a regalare a me stesso la parte mancante di ieri, che non mi piace lasciare le cose a metà.
E non credo sia stata una scelta sbagliata.

[ 18 January 2017 ] Koh Rong (Cambodia). Long Beach. 5,30 pm.

19 Gennaio, Koh Rong (Cambogia) | Giorno 232 🇰🇭
Svegliarsi per il sesto giorno di fila in un’isola tropicale, stordito dai 40 gradi esterni ed i 38 – causa febbre – della tua testa.
Trascorrere una mattinata lenta e orizzontale, sotto un ventilatore, libro in mano e succo d’arancia al tuo lato.
Camminare fino ad una spiaggetta solitaria, in cerca di una panchina o di un’amaca.
Trovare, invece, un’altalena in mezzo al mare.
Dondolare per circa un’ora, avvertendo piano piano le forze ritornare.
Strabiliarsi, ancora una volta, di quanto siano stupendi questi luoghi.
Innanorarsene all’infinito.
Comprendere tuttavia che, alla lunga, non sono certamente i più adatti a te, e che, a malincuore, è arrivato il momento di andarsene.

[ 19 Gennaio 2017 ] Koh Rong (Cambogia). Police Beach. 1 pm.

20 Gennaio, Phnom Penh (Cambogia) | Giorno 233 🇰🇭
Sono tornato a Phnom Penh.
Dopo 2 ore di barca e 6 di autobus, ancora febbricitante e terribilmente spompato, sono tornato nella bolgia colorata, effervescente e maleodorante della capitale della Cambogia.
Nulla di interessante, pertanto, oggi.
Davvero nulla di interessante.

Allora è arrivato il momento di pubblicare qualche fotografia in più dell’isola che mi ha in parte incantato e dalla quale – ora come ora non riesco a capire il perché – sono voluto fuggire.
Non tanto perché mi piace rivedere dove ero e ripensare al rumore della risacca delle varie spiagge della bella Koh Rong.
Quanto piuttosto per ricordarmi della testa di cazzo mastodontica che sono.

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21 Gennaio, Phnom Penh (Cambogia) | Giorno 234 🇰🇭
Phnom Penh, Cambogia.
Ore 20:30.
È arrivato il momento di mettere piede fuori dall’ostello, oggi, per la prima volta.
E soltanto perché sono affamato, tra l’altro.

Dopo il recupero eroico dei soccorritori al Rigopiano e l’insediamento di Trump alla Casa Bianca, la notizia che tutti i TG stavano impazientemente aspettando e su cui Mentana costruirà la prossima ricchissima maratona televisiva.
Perché, sì, sono guarito.
E si ricomincia.

[ 21 Gennaio 2017 ] Phnom Penh (Cambogia). Aura Hostel. 8,30 pm.

22 Gennaio, Phnom Penh (Cambogia) | Giorno 235 🇰🇭

LUCI A KOH RONG: ADVENTURE ADAM

“Keep on rockin’, my friend.
And just … stay free.”

Adventure Adam

23 Gennaio, Phnom Penh (Cambogia) | Giorno 236 🇰🇭
Non ci ho capito nulla.
Difficile per me ammetterlo, ma è così.
Non ci ho capito proprio nulla.
Della Cambogia, dico.

Vero che forse, dopo l’essere stato tanto bene nell’addormentato Laos, avevo aspettative troppo alte o sono partito troppo prevenuto.
Ma sta di fatto che è così: l’inquietudine che ho provato fin dal primo giorno a Phnom Penh – e non intendo per l’aver visitato i Killing Fields e la S21 – non se ne è mai realmente andata.

Forse avrei dovuto solamente pedalare di più attraverso il paese, ma è vero anche che il clima di questa parte di mondo – di quella che a me ora sembra essere, guardando la mappa del globo, la torrida e soffocante mammella della gigantesca mucca euroasiatica – non mi stimola assolutamente a farlo.

Negli ultimi giorni, complice l’afa ed anche un po’ di febbre, ho trascorso più della metà delle mie ore in posizione supina, e le restanti da sveglio a camminare smarrito per le strade brulicanti inverosimile vita, con la stessa velocità di uno a cui hanno cementato le ginocchia e legato le caviglie.

Fin dall’inizio avrei potuto prendere la bicicletta e sforzarmi verso qualche remota collina, oppure spingermi verso la storia di Battambang, verso le magie di Angkor Wat o verso il tepore della costa di Kampot. Ma il caldo – e l’indecisione – hanno preso il sopravvento.

Ho provato a “raccapezzarmi” – o, come mi disse una volta un’agente di viaggi, facendomi ridere ancora oggi, a “raccapezzolarmi” – tra le palme e le onde di Koh Rong, ma non ci sono riuscito.
L’inquietudine, l’indecisione, e quindi il sentimento di non averci capito proprio nulla, sono rimaste ed hanno avuto la meglio su di me.

Ieri sera ho lanciato una monetina, come faccio sempre quando non so che direzione prendere. Mentre ancora volteggiava in aria e si trovava a metà della sua folle discesa,giá pronta a schiantarsi a terra, l’ho bloccata e stretta nel pugno, senza andare a scoprire quale delle due facce avesse girato.
Ero riuscito a capire, soltanto in quel frangente, che l’unica cosa che avrei davvero dovuto fare era sparigliare il tavolo.

So di commettere un errore, mia dolce Cambogia.
So che dovrei solo concederti più tempo, mia cara Cambogia.
So che avresti ancora tantissimo da darmi, mia vecchia Cambogia.
Che sei anche tanto bella, mia vecchia, cara e dolce Cambogia.

Ma non adesso.
Un’altra volta, magari.
Non è sotto il tuo cielo che sceglierò di dormire, da domani.
Anche se so già che una parte di me … lo rimpiangerà.

[ 23 Gennaio 2017 ] Phnom Penh (Cambogia). Tonle Sap promenade. 5 pm.

STATISTICHE CAMBOGIA
KM in BICICLETTA: 80
KM in AUTOBUS: 1225
KM in TRENO: 0
NOTTI in OSTELLO: 13
NOTTI in OSPITALITÁ: 0
SPESE: 370 €

CURIOSITÀ
MONETA: Riel / Dollar
“BUONGIORNO”: “suostei”
“GRAZIE”: “arkoun”

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MAPPA DEI LUOGHI

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LAOS (Seconda Parte): Tad Lo, Champasak, il Mekong e l’isola di Don Det (1 – 10 Gennaio)

Giugno 30, 2017 2839 Views

Se, del mio mese trascorso in Laos, la prima parte era stata a dir poco sorprendente, la seconda parte … beh … forse lo sarebbe stata ancor di più.

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1 Gennaio, Tad Lo (Laos) | Giorno 214 🇱🇦
Il 1 di Gennaio, per me, ha sempre significato soltanto una cosa.
Un’altra delle mie abitudini che inconsciamente ho appreso da mio padre e da mio nonno, e che ogni anno mi trovo ad aspettare quasi con trepidazione.
Ore 13 (o forse 14 ora), Rai 1: il Concerto di Capodanno.

Oggi, però, non mi sono svegliato in Italia, e così ho scelto di non
sintonizzarmi su alcun televisore e, invece, di pedalare.
Fino alle cascate di Tad Lo, nel Laos del Sud.

Un’alba senza una nube dietro i monti di Pakse, la mia Overture dei Wiener Philharmoniker.
90 km di virtuosi sali e scendi sulle strade statali numero 16 e 20, la mia Musik Verein
ed i miei Johann Strauss Sr e Johann Strauss Jr.
Un vento fetente ed un sole graffiante, la mia immancabile Peppi Franzelin.
La bicicletta, la stanchezza ed il sudore vigoroso, i miei Lorin Maazel e Claudio Abbado.
La discesa pomeridiana verso l’altopiano del Bolaven, il mio “Sul bel Danubio Blu”.
I bambini di strada ed i monaci arancioni sotto l’acqua, la mia folle “Marcia di Radetzky”.
Il meritato tuffo ed il riposo conclusivo sull’amaca del bungalow di fronte alle cascate, i miei scroscianti applausi finali.

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2 Gennaio, Tad Lo (Laos) | Giorno 215 🇱🇦
Dopo essermele sudate ieri, oggi me le sono meritate e godute fino in fondo.
Dall’alba al tramonto.
Le cascate di Tad Lo.

Sí, perché a Tad Lo ci sono delle cascate.
Sembra che quasi solo la gente del posto lo sappia, perché gli stranieri sono davvero pochi.

Forse perché le cascate di Tad Lo sono abbastanza lontane dai circuiti turistici più classici del Laos.
O forse è perché non sono davvero nulla di che.

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3 Gennaio, Tad Lo (Laos) | Giorno 216 🇱🇦
Svegliarsi da un dolce sonno e osservare i riflessi sul fiume antistante il bungalow per l’ultima volta.
Prepararsi per ritornare a Pakse.
Leggere il messaggio di un amico, mentre fai colazione, che ti suggerisce di dedicare una giornata in più a Tad Lo e camminare per le valli vicine.
Decidere di ascoltarne il consiglio, mentre osservi un elefante che si bagna la proboscide
davanti alla tua tazza di caffè.
Iniziare a camminare, a caso, verso una montagna, quando ancora è mattino.
Incontrare, ad un bivio, Max, un 27enne tedesco giunto fin qui da casa sua in motocicletta, che ti offre un passaggio fino in cima, dove la vista ti lascia di sasso.
Accettarlo e lasciarti andare in chiacchiere con qualcuno che sembra essere te stesso pochi anni addietro e con cui diventi immediatamente amico.
Ritornare a valle con le tue gambe e rinfrescarti in una pozza dove alcuni bambini stanno giocando col fango.
Perderti nella vegetazione laotiana, sotto un sole cocente, per più di un’ora.
Imbatterti in un ragazzino che sorride del tuo esserti perduto e che si offre di riaccompagnarti a Tad Lo in cambio di “money!”.
Gentilmente, sfancularlo.
Ascoltare il richiamo del fiume in lontananza e provare a rintracciare la via da solo … che non ti sei smarrito nel deserto dei Gobi.
Arrivare in un villaggio dimenticato da Dio, dove le persone non sembrano preoccuparsene più di tanto ed infatti dormono, o bevono, o fumano, o ballano, o cantano, o giocano con una scimmia. Soprattutto, ridono.
Ritrovare il fiume di cui avevi bisogno e stringere in alto il pugno in segno di vittoria.
Abbracciare la cascata da cui eri partito, sotto una luce nuova.
Scioglierti nei suoi riflessi, ancora una volta, e poi ancora, e ancora, all’infinito.
Il tuo bizzarro, imponderabile, 3 di Gennaio.

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4 Gennaio, Pakse (Laos) | Giorno 217 🇱🇦
Mi sono accorto solo adesso che ieri non ho caricato le tre foto conclusive del post.
Quella di una scimmietta, quella del fiume ritrovato dopo tanto camminare … e poi quella, finale, della cascata di Tad Lo Sud, vista sotto una nuova luce.

Allora la posto oggi.
Un po’ perché sono tornato a Pakse, fa un caldo allucinante e l’unica cosa che potrei fotografare è una bottiglia di BeerLao.
Un po’ perché non era tanto male.
Credo.

[ 3 Gennaio 2017 ] Cascate di Tad Lo Sud (Laos). 3 pm.

5 Gennaio, Champasak (Laos) | Giorno 218 🇱🇦 – VIDEO
5 minuti di fantasticherie coi piedi a mollo in una piscina sul Mekong.
Poi … “una limonata, grazie.”
Bello però è bello, eh.

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/06/Video-Laos-hotel-Mekong.mp4

 

POMERIGGIO
Se ieri ho latitato – e in termini di racconti e in termini fotografici, tanto da farmi venire l’amarezza per la troppa inattività – oggi sono tornato a pedalare.
E, come sempre, quando decido di farlo, le cose succedono.

Il “piano”, ieri, era di arrivare in qualche modo alle cosiddette “4000 isole”, un luogo a quanto pare ameno e imperdibile al confine tra Laos e Cambogia.
Stavo per prenotare un autobus da Pakse, per oggi, quando poi ho pensato che 180 km li avrei potuti coprire anche in bicicletta, in un paio di giorni.
Ogni volta, però, ecco che divento preda delle domande:
– come sarà la strada?
– e il caldo?
– ne varrà la pena?
– troverò dove dormire?
– e i Quiriti? Chi sono i Quiriti?

Un incontro casuale di ieri sera, tuttavia, mi ha lanciato un salvagente: “Magari puoi attraversare il Mekong e pedalare dall’altro lato per alcune decine di chilometri. Dicono che Champasak sia un bel villaggio dove fermarsi. E poi c’è il Wat Phou poco distante. È sito UNESCO, sai? Magari merita”.
Decido di vincere i dubbi, e di non pormi più domande.
Semplicemente partendo, così, verso l’ignoto, senza poterne avere il minimo sospetto, avrò la fortuna di regalarmi:

– quattro ore di pedalata facile e caldissima;
– un sogno di 5 minuti di fronte alla piscina di un resort, complice un fraintendimento in reception relativo al costo di una notte;
– una Guesthouse di Champasak immersa in un’atmosfera degna della città di Mu, dove per un ventesimo del costo del resort ho la mia piscina privata e gigantesca, affacciata sull’altopiano del Bolaven … il Mekong;
– un pomeriggio in un tempio dell’impero Khmer di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza, che insieme a Angkor Wat e My Son forma un trittico capolavoro dell’umanità, dove per due ore mi sono perduto in vedute insperate, bellezze intollerabili e silenzi lontani millenni;
– un ultimo tuffo e nuove libere bracciate nelle acque del Mekong, fronte, ancora, al tramonto sul Bolaven;
– una delle giornate più intense e sorprendenti che la mia memoria possa ricordare.

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6 Gennaio, Ban Boungkeo (Laos) | Giorno 219 🇱🇦
Rapido e indolore.

Ho iniziato presto stamattina.
Alle 8 c’era bel fresco.
Alle 11 stavo cuocendo.
Dopo 40 km da che son partito, ho trovato un villaggio.
Ho cercato di raggiungere il fiume.
Per nuotare.
Mentre rifiatavo sotto una palma, sulle rive del Mekong, alcuni ragazzi mi hanno offerto da bere.
Abbiamo iniziato a parlare.
Erano simpatici, così come i loro bambini.
Ci sono linguaggi che riescono immediati.
Mi hanno inviato a restare una notte da loro.
Faceva ancora molto caldo.
Ho accettato l’invito.
Stanotte dormo sul pavimento con 5 bambini Laotiani.
In un luogo che esiste davvero.
E si chiama Ban Boungkeo.

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7 Gennaio, Ban Boungkeo – Don Det (Laos) | Giorno 220 🇱🇦 – VIDEO
Dopo i silenzi della steppa Bulgara di giugno e delle coste Lettoni di fine luglio .. ecco i contagiosi Sabeydee Sabeydee Laotiani!
Scusate la qualità, ma la connessione è quella che è 🙂

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/06/Video-Laos-bicicletta.mp4

 

POMERIGGIO
Un saluto commosso alla famiglia che mi ha ospitato a Ban Boungkeo, poco dopo l’alba.
15 km di terra e palme lungo il Mekong, nella brezza mattutina.
Un guado silente, con un piccolo Caronte ancora in erba non avaro di sorrisi.
Altri 20 km di terra, ponti, palme e caldo, a fare la gincana tra bambini giocosi, polli, maiali, mucche, cani e pulcini.
Un nuovo attraversamento in barca, per arrivare sul lato orientale del Mekong e riprendere a pedalare.
50 km di rettilinei noiosi e deprimenti, preso a sberle, più e più volte, dal sole.
Tutto questo per arrivare al terzo porticciolo e farmi trasportare, ormai stremato e scottato, sull’isola di cui tanto ho sentito parlare e dove da queste parti tutti – sembra – vogliano andare.
L’isola da dove probabilmente non mi muoveró per alcuni giorni, vivendola e raccontandola a poco a poco, perché le prime avvisaglie, onestamente … non chiedono altro.
Don Det.

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8 Gennaio, Don Det (Laos) | Giorno 221 🇱🇦
Era da un po’ di tempo che non rimanevo su un’isola.
L’ultima fu Olkhon, in Russia, a Settembre, se la memoria non m’inganna.
Prima ancora, durante questo viaggio, ci fu Sifnos, ad Agosto (durante la “vacanza greca”), e prima ancora Vir, in Croazia … a trovare il mio amico Jiri Oliva, ed incontrare i nuovi amici Ida, Kuba, Michal e Jana coi suoi due figli.

Era ancora Giugno.
Ero appena partito.
Ora sono a Gennaio.
Del 2017.
Sull’isola sul Mekong di Don Det, nel Sud del Laos, quasi al confine con la Cambogia.

Mi ha spiazzato, non lo nego.
Questo fatto dell’isola, intendo.
Chiudermi su un lembo di terra lungo poche centinaia di metri, per quanto sorprendentemente suggestivo e intrigante, mi ha lasciato interdetto.
Avere confini, barriere naturali a separarmi da una qualsiasi strada libera, potenzialmente interminabile, é una sensazione che per qualche ora mi ha quasi intontito.

Poi però mi sono ricordato della grande esperienza che avevo maturato sulle coste Cicladiche, lo scorso anno, e di come bene avevo imparato a vive senza ritmi, orari, ansie e possibilità repentine di scampo da ogni tipo di ozio.
Allora ho cercato di rispolverare le memorie di quei giorni, cercando di recuperare gli usi che avevo tanto apprezzato nell’archipelago.
Una spiaggia, un lungo bagno, la prua di una barca, e la visuale privilegiata di un altro giorno che, lentamente, solitario, s’inabissa.

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9 Gennaio, Don Det (Laos) | Giorno 222 🇱🇦
Mi ruga sempre a sufficienza quando ti impongono un biglietto di ingresso per vedere qualcosa che non è opera umana, bensì un semplice – seppur travolgente – capolavoro della natura.
In questo caso, inoltre, l’entrata era a poche decine di metri dallo spettacolo stesso, e se ne poteva udire il ruggito fin da lontano.

Così ho provato a trovare vie alternative, tipo un guado, o una barca, o un kayak … ma nulla.
La foresta nascondeva, e l’acqua chiudeva la via.

Quando poi mi sono trovato al cospetto delle cascate di Tad Somphamit (o Li Phi), ho capito perché non c’erano guadi di sorta.
E che, in fondo, ho fatto bene a non arrivarci con una barca … o un kayak.

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10 Gennaio, Don Det (Laos) | Giorno 223 🇱🇦
Sebbene me ne mancherebbero ancora tre, da visto, di giorni in Laos, oggi ho deciso che questo fosse l’ultimo.

Quattro notti su un’isola del sud mi hanno rinfrescato parecchio, ma sento che è arrivato il momento di cambiare.
Di rimettermi in moto.
Di vedere che cos’altro di nuovo potrà accedere, in futuro.

Da domani, tuttavia.
Oggi, lasciando la bici legata ad un palo, ho preferito muovermi come molti locali sono soliti fare, forse per necessità o forse per semplice amore della lentezza.
A piedi.

Non avevo voglia di parlare.
Con nessuno. Tantomeno con me stesso.
Un po’ perché non avrei saputo cosa dire.
Ed un po’ perché ero impegnato in altro.
A guardare, per l’ultima volta, il Laos.

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STATISTICHE LAOS

KM in BICICLETTA: 690
KM in AUTOBUS: 1425
KM in TRENO: 0
NOTTI in OSTELLO: 25
NOTTI in OSPITALITÁ: 1
NOTTI in BUS: 1
SPESE: 751 €

CURIOSITÀ
MONETA: Kip
“BUONGIORNO”: “Sabaidee”
“GRAZIE”: “khàwp jai lai lai”

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MAPPA DEI LUOGHI

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LAOS (Prima Parte): il Nord, Luang Prabang, Phonsavan e Vientiane (15 – 31 Dicembre)

Giugno 27, 2017 3706 Views

Finiti i due mesi di Cina, ecco il tanto agognato passaggio verso il Sud-Est Asiatico.
Lasciatami alle spalle una delle Nazioni più estese del mondo, una volta giunto al confine di Boten credevo che la terra che mi si parava davanti sarebbe stata corta, semplice e avara di sorprese.
Ebbene, mai sensazione fu tanto sbagliata.
Il 15 Dicembre mettevo piede per la prima volta in un Paese di cui non sapevo nulla, di cui non ero in grado di immaginare nulla e che si sarebbe rivelato, per quasi un mese, giorno dopo giorno, una stupefacente e continua meraviglia: il Laos.

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15 Dicembre, confine Cina- Laos | Giorno 197 🇨🇳 – 🇱🇦
Dopo tutti i cinema per entrare in Russia, Mongolia e Cina, qui è stato tutto molto semplice e veloce.
Al blocco di confine di Boten, ti presenti, compili un modulo, paghi 35 dollari e, taac, 5 minuti dopo
hai il visto per 30 giorni.

Ho ufficialmente attaccato con un carrarmatino giallo il territorio che sul tavolo da Risiko confina col sud della Cina e si chiama Siam. Non c’è il caldo che mi aspettavo, ma certamente la storia cambierà presto.

Non ho idea di cosa mi aspetterà, ma le prime impressioni sono notevoli.
Anche se ad aspettarmi, dall’altra parte, come prima cosa, c’era un bosco in fiamme.
Iniziamo benissimo.

[ 15 Dicembre 2016 ] Confine di Boten (Laos). 4 pm.

16 Dicembre, Luang Namtha (Laos) | Giorno 198 🇱🇦
Fin dal giorno in cui sono partito, la mia Brompton è stata una compagna di viaggio pressoché perfetta: mi ha scarrozzato per mezza Europa, ha viaggiato silenziosa con me sulla Transiberiana, mi ha permesso di scoprire, in completa autonomia, città Russe, valli Mongole e segreti Cinesi. Nelle ultime settimane, tuttavia, si è improvvisamente trasformata in un problema.
Difficile da spostare in Cina, vittima di 3 forature nel giro di pochi giorni
e lontana da facili fonti di approvvigionamento scorte.
Dopo l’ultima foratura ho anche pensato erroneamente di spedirla a casa e di continuare solo con uno zaino.

Avevo appena trascorso una splendida giornata sulle rive del Lago di Dali, dove mi ero fermato per cena, post tramonto. Sulla via del rientro, al buio, non scorgo una buca. Ruota secca in 10 secondi.
A 5 km dalla città di Dali e nel buio più assoluto, non passo di certo i 5 minuti più sereni della mia vita.
Mentre cammino alla volta dell’ostello, fermo un’auto mettendomi in mezzo alla strada. Una famiglia Cinese, pur non conoscendo una sola parola d’inglese, capisce il mio problema e si fa in quattro per accompagnarmi a destinazione, seguendo le mie semplice indicazioni digitali. Il morale leggermente risale.

Una volta rientrato in ostello, però, inizio a considerare la mia situazione:
– Pneumatico anteriore ormai quasi andato
– Camere d’aria di riserva = 0
– Negozi Brompton più vicini a Chengdu, Bangkok e Shanghai (come dire che sei a Milano e i negozi più vicini sono a Parigi, Berlino e Oslo)
– Possibilità di ordinare online quasi nulle (in Cina funzionano quasi solamente siti in Cinese, il mio visto scade fra 4 giorni e non posso di certo andare a Chengdu o attendere a Dali)

Decido di rimandare le preoccupazioni all’indomani, e subito dopo incontro 2 ragazzi olandesi e 3 ragazze francesi che mi invitano ad andare a bere una birra con loro.
“Scusate, ragazzi, ma non so se me la sento. Sono appena tornato e ho il morale abbastanza a terra. Credo che farò una doccia e poi andrò a dormire.” – rispondo affranto.
“Ok, no worries! Se cambi idea, sappi che noi saremo al Bad Monkey pub, 10 minuti a piedi da qui!” – la loro controrisposta.
A doccia finita mi sento più leggero.
Mi viene una smodata voglia di birra e mi ricordo che le ragazze francesi sono anche un bel vedere.
“Perché no?” – mi dico.

20 minuti dopo entro al Bad Monkey pub, ma dei 5 non c’è traccia. Non li rivedrò mai più.
La birra è comunque notevole e la musica live altrettanto, così mi fermo fino a mezzanotte.
Poco prima di andarmene come Cenerentola, un ragazzotto dai tratti caucasici in dread e giubbotto di pelle mi domanda, all’uscita del bar, da dove vengo. Non ho molta voglia di iniziare il solito discorso, soprattutto con uno a cui lì per lì non darei nemmeno un soldo, e rispondo svogliato. Il tizio, però, in breve tempo si dimostra estremamente simpatico, intelligente ed interessante.

Non capisco che età possa avere, ma si chiama Carl.
Dice di essere mezzo scozzese e mezzo giamaicano, di parlare cinese, vietnamita e laotiano e di essere il proprietario di 4 bar, di cui uno in Giamaica e 3 in Asia.

Il Bad Monkey é uno di questi.
Mi cade l’occhio sui poster all’ingresso ed in effetti scorgo lui ed il suo socio – un altro ragazzotto in dread e giubbotto di pelle – immortalati in una posa da Easy Riders con le loro motociclette argentate.
Ci scambiamo i numeri e mi dice di tornare l’indomani, perché la pizza del Bad Monkey merita e perché mi può aiutare con le camere d’aria.
“Nel pomeriggio, però. Non so quanta birra berrò stasera e quando mi sveglierò.” – mi avverte Carl.

Il giorno successivo, così, trascorro la mattina in un negozio di biciclette.
Con l’aiuto di Jeffrey – un cinese gentile e disponibile che chiaramente non si chiama Jeffrey (come dice lui), ma che parla inglese a sufficienza e quindi per me rimane Jeffrey – riesco a montare una camera d’aria nuova (seppur di misura diversa e quindi solo una soluzione provvisoria) e a riparare i buchi di quella vecchia.
Dopo le 3, poi, torno al Bad Monkey.
La pizza è realmente ottima e Carl è di parola: sfoggiando un’invidiabile padronanza del mandarino, ordina su TaoBao (il corrispettivo di Amazon) 4 camere d’aria con spedizione Express da Pechino.

“Dove le facciamo spedire, amico?”
“Dunque, Carl, domani salgo su un bus per Jinghong, ma non so dove alloggerò. Conosci qualche ostello da suggerirmi laggiù?”
“No, fratello. Ma ho un’amica che gestisce un bar a Jinghong. Le spediamo lì, che dici?”
“Ok, ma ce la si fa in 3 giorni? Voglio dire, la distanza Pechino – Jinghong è come quella che c’è tra Mosca e Roma … e il 15 Dicembre il mio visto scade.”
“No worries, mate. Sei in Cina. Qui nulla viene spedito in più di tre giorni. Neanche un ponte.”

Due giorni dopo – il 13 dicembre – sono ad ordinare un hamburger con patatine presso il MeiMei bar di Jinghong. Le 4 camere d’aria sono già arrivate. In meno di 30 ore ho una camera d’aria nuova di zecca già montata e ben 5 di riserva.
L’aiuto di poche persone ed il morale è di nuovo alle stelle.
Ed è così che la mia Brompton mi ha accompagnato prima in bus e poi in tuk tuk fino a Luang Namtha, in Laos, e oggi ha corso con me sulle prime strade laotiane di questo viaggio, dove bambini di una rara bellezza non hanno smesso un secondo di sorridermi e salutarmi come se fossi una sorta di Arcangelo Gabriele pelato.

Eccola, insomma, rediviva.
Il mio minuscolo Zeppelin su due ruote verso la libertà.
Il mio personale Bucefalo verde lime verso la conquista del Siam.

Domani tornerò a pedalare, verso Sud – Ovest.
180 km montuosi per raggiungere la città di Houayxay.
Non so se li chiuderò in 3 giorni o 2, ma non importa.
Sono eccitato e ho davvero voglia di cominciare.
In fondo, sono venuto fin qui per questo.
“Per pedalare in Cocincina!” – come dissi a mio nonno, pochi giorni prima di partire.

“Preparati a ballare, Alice, che da lì in avanti vedrai le Meraviglie vere!” – mi ha avvertito ieri un amico.
Io credo di essere pronto.
Spero soltanto non mi piovano in testa le Regine di Cuori.
O i maledetti Palmipedòni.

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17 Dicembre, Vieng Phouka (Laos) | Giorno 199 🇱🇦
Ho dormito poco stanotte. Poco, e male.
Anche se sono in viaggio da tanto tempo, l’idea di riprendere ad andare in bicicletta in un paese nuovo e totalmente sconosciuto, non so come, ha tormentato il mio sonno.
Quando stamattina, verso le 9, ho iniziato a pedalare verso le montagne che circondano Luang Namtha, le mie gambe erano attanagliate dal freddo e dall’irrequietezza.
È vero che 180 km, in Ungheria, li feci in una giornata sola … ma il Laos non è l’Ungheria, e già ero certo che avrei dovuto spezzare la tappa fino a Houayxay (180 km, per l’appunto) almeno in due tranches.
E il solo pensiero, assurdamente, mi pesava.

Ma dovevo ancora iniziare.

Dovevo ancora sperimentare le salite laotiane, quelle che ti inchiodano al suolo
e ti obbligano a scendere e spingere sui piedi.
Dovevo ancora incontrare Tim, un britannico di Manchester in giro da anni con la sua bici, che mi ha ricordato che il bello del viaggiare su due ruote è “prendersela con calma, seguendo il proprio ritmo e l’istinto”.
Dovevo ancora imbattermi in un villaggio dove mi sono fermato a far giocare dei bambini con la mia bici.
Dovevo ancora trovare un fiume dove ho voluto all’istante buttarmi, che si sa che a certe cose non resisto.
Dovevo ancora uscire dal fiume e scorgere 5 ragazzi, seduti all’ombra a pochi metri da dove mi ero gettato, intenti a fotografarmi, a spennare una papera e a preparare un picnic, invitandomi a stare con loro un paio d’ore.
Dovevo ancora concedermi una pennica al sole per recuperare dalla birra offerta, mentre persone di ogni età venivano a lavarsi al fiume.
Dovevo ancora ripartire lentamente, su strade immerse nella giungla dove il traffico è 10 volte inferiore il numero degli animali e 100 volte il numero dei “ciao” e dei sorrisi dei bambini.
Dovevo arrivare al villaggio di Vieng Phouka ben più tardi del previsto, e decidere di restare in una piccola stanza / capanna di una Guesthouse in attesa della notte.
E dovevo ancora incamminarmi per il villaggio ed essere sfidato a calcio da una ventina di ragazzini locali, che si sa che a certe cose non resisto.

Non 180, né 120 e nemmeno 90 chilometri.
Soltanto 60.
Ma tanti sono bastati per far sì che le mie gambe abbiano smesso di tremare, e per farmi già comprendere fino in fondo quanto sia meraviglioso questo paese.

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18 Dicembre, Houayxay (Laos) | Giorno 200 🇱🇦
Poi arriva il duecentesimo giorno, e, con esso, una grande sfida.122 chilometri mi separavano stamattina da Houayxay, e così ho deciso di sfidare il Laos.
E me stesso.
122 chilometri in cui ho contato.
Contato molto.

10 ore, di cui almeno 2 a spingere la bicicletta a piedi, su strade dalle pendenze con percentuali bulgare.
14 gran premi della montagna.
2 gran premi dell’Himalaya, tanto da farmi venire il male alle mani a furia di forzare sul manubrio in salita, e di strizzare sui freni per non finire giù dai dirupi in discesa.
3 coca cola, 2 polase, 1 mela, 2 banane, 20 biscotti, 50 patatine.
Una trentina di villaggi, tutti o quasi che iniziano con Ban o Phuong.
238 saluti con la mano da parte di bambini e persone di ogni età (sì, li ho contati … dovevo tenere la mente impegnata, in qualche modo, per non crollare).
Un unico sole, che mi ha bruciato le spalle a tratti durante il giorno, ma che alla fine, andandosene, mi ha regalato vedute di un paese che credevo di poter sognare soltanto nelle fiabe.
Centinaia di montagne, un fiume solo: il Mekong, ancora, mentre chiudevo l’ultima ora sommerso dal buio e le luci riflesse sull’acqua mi facevano la ola.

Morale: ha vinto il Laos, spudoratamente.
La strada, oggi, mi ha annientato.
Ma non ho perduto, perché, anche se ho alzato il livello in maniera spropositata
e l’ho patito oltremodo, ce l’ho fatta.
Sono troppo stanco per gioire ora, ma ce l’ho fatta.

In 33 anni, uno dei giorni fisicamente più duri e complicati che abbia mai vissuto.
Ma anche uno dei più appaganti.

PS: la foto da ganzo era dopo il primo gran premio dell’Himalaya, prima che ancora scoprissi che cosa mi riservasse la giornata (non mi scatto un selfie ora perché sembro Giancarlo Magalli. Invecchiato.)
PS2: domani svengo su una barca.

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19 Dicembre, Pakbeng (Laos) | Giorno 201 🇱🇦
Svegliarsi nelle nubi e nella nebbia.
Raggiungere il porticciolo di Houayxay per impacchettare la bici sul tetto di una barca di legno.
Trascorrere una giornata intera navigando il Mekong.
Rimanere inebetito fino al tramonto, giunto al villaggio di Pakbeng.

Potrei scrivere di più, ma – come feci già lo scorso anno per Kofounissi – oggi lascerò che sia qualche immagine a parlare per me.
Anche perché domani ci sarà la seconda tratta.
Una seconda giornata sul Mekong.
Fino a Luang Prabang.

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20 Dicembre, sul Mekong (Laos) | Giorno 202 🇱🇦
SABEYDEE.
Dicono così, in questa terra.
Sono in Laos solo da 5 giorni ma lo ho già sentito centinaia di volte.
Suona dolce, fresco, soave.

SABEYDEE.
Qualcuno mi ha rivelato che si può tradurre in diversi modi, in base alla tonalità della voce e all’espressione di chi lo pronuncia.
“Ciao!”, “Benvenuto!”, o “Buon Viaggio!” i più gettonati.

SABEYDEE.
I bambini, però, ridono, quando me lo dicono.
Ridono davvero tanto.
Quindi ho iniziato a pensare che possa volere dire qualcosa tipo “Che buffa la tua bicicletta!”, “Ti facevamo più forte a pallone, pagliaccio!”,
oppure anche … “Ma dove cazzo guardi?!”

SABEYDEE.

[ 20 Dicembre 2016 ] Sul Mekong (Laos). 10am.

VIDEO
Second day floating on the river.
Mekong in slow slow slow … very slow motion !

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/06/Video-Laos-Mekong-navigazione.mp4

 

21 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 203 🇱🇦
Dopo 2 giorni di bicicletta e 2 di barca, oggi ho scelto di far poco altro che camminare.
In lungo ed in largo, per Luang Prabang. La meravigliosa Luang Prabang, aggiungerei.

Dopo le “poco battute” Russia, Mongolia e Cina, tuttavia, devo iniziare seriamente ad ammettere di essere arrivato in una delle zone più turistiche del mondo.
Quando sono arrivato in cima alla Phou Si Mountain per osservare il tramonto dal punto più alto della città – aspettandomi di essere assieme soltanto a pochi monaci ed essendo invece finito in una sorta di Oia (Santorini) laotiana – ne ho avuto, stupito, la definitiva conferma.

Fortuna che … ho una bicicletta.

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22 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 204 🇱🇦
VIDEO

This place needs to be shown …

http://bicicladi.com/wp-content/uploads/2017/06/Video-Laos-Luang-Prabang-cascate.mp4

 

In genere non sarei così stupido da fare 30 chilometri di colline al sole in bicicletta, soltanto per andare a vedere una cascata, sapendo che poi dovrei pure rifarli per tornare indietro.
Sarebbe proprio da scemi, voglio dire.
Però fortuna che oggi mi sono svegliato col desiderio di passare la giornata proprio come un perfetto idiota.

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23 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 205 🇱🇦
Anche se piccola e affollata (proprio perché piccola), sono contento di aver scelto di rimanere a Luang Prabang in previsione del Natale e della nostalgia di casa che probabilmente avvertirò.
Il motivo, tuttavia, mi è obiettivamente incomprensibile.
Forse.

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24 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 206 🇱🇦
Oggi è la Vigilia di Natale, e l’ho trascorsa pedalando per le valli vicine a Luang Prabang, in Laos, fino ad avventurarmi alla scoperta di un’altra meraviglia naturale che mai avrei pensato
di poter vedere in vita mia: le cascate di Tad Sae.
Potrei scrivere un nuovo post gonfio di fotografie piacevoli ed interessanti, ma, una volta tornato in ostello, ora che è buio, un poco di malinconia è arrivata.

E’ la Vigilia di Natale, ed in questo momento mi piace pensare a come vorrei trascorrere un pomeriggio coi miei amici, oppure facendo visita a parenti, oppure abbozzando qualche acquisto dell’ultimo minuto per veder sorridere i miei nipoti o qualcuno dei miei cari, aspettando una serata con la mia famiglia e tutte le fortune culinarie e sentimentali che mi circonderebbero nei prossimi giorni.
Probabilmente, invece, questa sera andrò a bere qualcosa in compagnia di alcuni amici incontrati oggi, e magari a cercare una pizzeria o ristorante Italiano di questa bella città, in previsione del pranzo che vorrò concedermi domani, come tradizione di Natale.
Ma difficilmente la malinconia se ne andrà.

Penso all’anno che si sta per chiudere, ed ai 7 mesi di viaggio
che già – sembra incredibile – mi stanno alle spalle.
Ne vedo tante, di meraviglie.
Ne vedo tanti, di incontri e scenari memorabili.
Ne vedo tante di fortune culinarie e sentimentali.
Ma non è pensando a questo che la malinconia se ne va.

E allora ripenso a quella che è stata forse l’unica cosa davvero buona che ho fatto recentemente, e provo a riviverla andando a rileggere quello che scrissi pochi giorni dopo aver visitato l’ospedale pediatrico Marie Curie di Bucharest, grazie all’aiuto di Inima Copiilor, Bambini Cardiopatici nel Mondo – A.I.C.I. Onlus, Susanna Rossi ed Il Cuore Di Giampy.

Chi mi sta seguendo da tempo, sa già di che cosa parlo.
Per chi se lo fosse perduto o volesse a sua volta andare a rileggere quel bizzarro racconto di Luglio, può farlo qui: http://bicicladi.com/it/blog/2016/07/19/sogno-possibile-adi/

Ho seguito il link che indicavo alla fine dell’articolo, fino al pulsante “DONA ORA” (http://www.bambinicardiopatici.it/dona-ora) che rimanda alla foto di un bambino col cuore in mano.

Non ho certamente salvato il mondo, e probabilmente neanche un bambino.
Oppure, invece, forse, sì.
E, per inciso, la malinconia se ne è pure andata.

25 Dicembre, Luang Prabang (Laos) | Giorno 207 🇱🇦
Potevo scegliere un posto migliore.
Potevo evitare di avere delle scarpe come sfondo.
Potevo modificare la foto, utilizzando un effetto vintage o “aggiusta la sfiga”.
Potevo mettermi un maglione diverso.
Potevo indossare un cappello rosso.
Potevo anche aspettare di svegliarmi del tutto (ho avuto una nottata difficile a furia di sognare crema al mascarpone).

Ma poi ho pensato: “È Natale … chissenefrega!”
Auguri a tutti, dal Laos.
Faccia da Triglia