A quasi un anno e mezzo di distanza dall’aver lasciato la mia bicicletta a Istanbul ed essere ritornato a casa, il 29 Marzo 2019 ripartivo alla volta della Turchia con la speranza di riuscire a chiudere quel cerchio che avevo iniziato ancora nel lontano Giugno 2016 …
◀ La Ri-ri-partenza ▶
Tutte le volte, la stessa storia.

◀ Giorno 444 | 1° della ri-ri-partenza 🇹🇷 ▶
Ok, sono ancora scombussolato, confuso, spaesato. Non è ancora il momento di riprendere a parlare del mio viaggio, quindi, almeno per oggi, parlerò di quello di un altro.
Quando Daniele mi scrisse per la prima volta, io stavo percorrendo il rientro sulla Via della Seta. Mi contattò su Facebook, spiegandomi quanto il viaggio che avevo intrapreso – così come quello di diversi altri viaggiatori – lo aveva ispirato ed aiutato a far nascere in lui il suo progetto. Mi spiegò di essere un giovane antropologo campano, desideroso di promuovere un uso alternativo dei social attraverso un percorso che lo avrebbe portato da Napoli a Pechino. A piedi.
“Cosa, scusa? A piedi?!”, gli chiesi sbalordito.
“Sì. A piedi.”, ribadí conciso.
Lo considerai poco più di un idiota mezzo matto. “Un povero pirla”, come si
dice a Milano.
Quando poi lo incontrai, una volta a casa, per presentarlo ad un amico che poteva aiutarlo col visto cinese e lui mi tempestò di domande e di dettagli su quello che voleva fare, scoprii una persona di una determinazione e gentilezza incredibili, che mi colpì molto e divenne amica all’istante. Non più idiota o povero pirla, ma comunque di certo matto. E non per metà, ma proprio tutto matto.
Il 1 Agosto scorso, mentre io rinascevo a Kos, Daniele partì da casa sua. A piedi, come aveva detto, e con uno zaino di 30 chili per di più. Otto mesi dopo è a Istanbul, dopo un lento cammino attraverso Italia ed Europa dell’est in cui ha raccontato storie di persone e culture come solo un animo colorato profondamente di poesia è in grado di fare (Vento della Seta).
Il cammino che ha ancora davanti a sé – Turchia, Caucaso, Asia
Centrale e infine Cina – sembra infinito, e onestamente mi fa riconsiderare il
mio modo di viaggiare come quello di un bimbo viziato o poco più.
Ma ognuno, del resto, ha il proprio modo di andare e l’importante, in fin dei
conti, è semplicemente scegliere di non fermarsi mai … qualsiasi tipo di
viaggio si decida di intraprendere.
Ora, comunque, tra un caffè turco ed un çay, lo sfiderò a
scacchi. Così per vedere chi dei due è in realtà il povero pirla.
Probabilmente finirà patta.

◀ Giorni 445/446 | 2 e 3 della ri-ri-partenza 🇹🇷 ▶
Conobbi Lara qualche anno fa, durante uno stop a Istanbul di poche ore, nel mezzo di una settimana di lavoro in crociera. Un incontro breve, da cui nacque però un’amicizia duratura.
Qualche tempo dopo, poi, iniziò il mio viaggio, che lei si trovò in parte a seguire attraverso le fotografie ed i racconti che condividevo. Così fece anche Lale, sua madre, dopo qualche tempo. Quando raggiunsi Istanbul, nel dicembre 2017, Lara era all’estero. Incontrai tuttavia Lale, per la prima volta, che mi coccoló come una mamma; mi preparó un ossobuco leggendario e, insieme al marito Suleyman, mi inondò di consigli e suggerimenti su Istanbul e la Turchia intera.
Fu a loro che lasciai la mia bicicletta, quel giorno, con l’idea di tornare dopo un mese o due.
Ieri – dopo quasi un anno e mezzo – ho avuto modo di
riabbracciarla, così come la famiglia al completo. L’ossobuco è stato
sostituito da un’ottima zuppa, accompagnata da un vino che mi ha riscaldato
esattamente nel modo che mi serviva.
È passato molto più tempo di quanto immaginavo, eppure ho trovato tutto
esattamente come lo avevo lasciato: la bici, il cibo, i sorrisi, gli abbracci.
Le energie sono ancora scarse, ma confido che possano arrivare
presto.
La via di rientro verso casa ancora non mi è chiara, ma piano piano sta
prendendo forma nella mia mente.
L’attesa è stata lunga, ma anche necessaria.
La mia famiglia turca, se non altro, avrà sempre la mia riconoscenza per aver
reso tutto questo possibile.
Dire “Arrivederci!”, in questi casi, è quasi un obbligo. E invece oggi è un
grande desiderio, e quanto mai anche un’assoluta certezza.

◀ Giorno 447 | 4° della ri-ri-partenza 🇹🇷 ▶
Quattro giorni a Istanbul di completo letargo. Fa freddo, molto più di quanto mi aspettassi, ed ho sentito bisogno di tempo per ritrovare la dimensione del viaggio che avevo lasciato. Ci sono stati momenti in cui, a tratti, mi è sembrato un compito impossibile – come se avessi dimenticato come si fa – e così non mi sono mai mosso dalla parte asiatica della città. Placido nell’immobilità. Come se non mi sentissi ancora pronto ad attraversare il Bosforo e riportare la bici sul suolo europeo, dopo così tanto tempo, ed avessi bisogno di un evento, di una scossa. Ed eccola, la vita, arrivare a sorprendere ancora una volta.
Quando già iniziavo quasi a sentirmi troppo vecchio, o
semplicemente cambiato, per questo tipo di vita, ecco che incontro Ray.
Spalanca la porta della camera d’ostello che condividiamo e mi saluta con un
“Hi!” dall’accento inconfondibile.
Settantenne californiano, ex sceneggiatore ed allevatore di cavalli (nonché
sviluppatore di percorsi ippoterapeuci), è in città da tre settimane. Arriva da
Hanoi, andrà in Olanda e poi a Kiev, prima di iniziare il cammino di Santiago e
probabilmente trascorrere l’Agosto in Scandinavia. Viaggia con uno zainetto e
poco altro, sostenendosi con le entrate della sua pensione. Ha una figlia di 21
anni, dalla quale pensa di tornare a Novembre.
“È adulta ormai. Sono stato con lei finché non era in grado di
spiccare il volo da sola, quindi ho ricominciato a viaggiare qualche tempo fa.
Seguendo un po’ l’istinto e riconnettendomi con quelle persone che desidero
rivedere.”, mi confessa.
“Che cosa studia tua figlia?”, gli chiedo.
“Non studia. Lavora. Non guadagna molto, ma le piace quello che fa e per me
conta solo quello. E che sia gentile. Non c’è nulla di più importante nella
vita che essere gentili.”
Pranziamo insieme, discutendo di società, consumismo, educazione, donne, modi di vivere ed essere felici. Non ho bene idea di come riesca a farlo, ma a furia di ascoltarlo mentre arrotola le parole col suo accento americano finisco per ritrovarmi con un sorriso stupito. Gli raccontò del perché sono qui, di quello che sto cercando di concludere, di come mi sento in contrasto. “È giusto che tu lo faccia”, mi rincuora. “Stai facendo quello che ti rende felice, e se non altro finirai quello che senti di dover finire per poi essere pronto a ricominciare qualcos’altro. Lo so che la società in cui viviamo ti dice di vivere in maniera completamente opposta e che alle volte ci si sente fuori luogo, ma noi siamo pirati e non possiamo fare altro che spiegare le nostre vele ed andare leggeri!”
Quindi lo conduco nel luogo di Kadikoy che preferisco – un bar/terrazza sopra il porto dove si può bere un ottimo tè, guardando la parte europea di Istanbul in lontananza ed i traghetti che vanno e vengono, ascoltando i gabbiani che volano tutto intorno – dove rimaniamo un poco in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, prima di salutarci.
“Sei mai stato sposato?”, mi domanda infine, forse vedendomi
malinconico.
“Non ci sono mai andato neanche lontanamente vicino.”, rispondo sorridendo
buffamente, mentre lo stringo per una spalla.
“Io sì, diverse volte. La prima, pensa, fu solo per poter andare via di casa.
Dall’ultima separazione non ho voluto più uscire con nessuna donna, per oltre
sei anni. Volevo essere solo un buon padre per mia figlia, ed è l’unica cosa a
cui ho dedicato tutte le mie energie, per tanto tempo. Poi, però, arriva un
momento per un uomo in cui manca l’affetto vero di una donna. Un abbraccio
sincero ed una voce calda che ti dice che andrà tutto bene. Le donne hanno
bisogno di qualcuno che le faccia sentire al sicuro, mentre noi di qualcuno che
ci dica che comunque andrà tutto bene. Anche se adesso ci sono qui io a fianco
a te, sei uno dei miei tanti eroi, sappilo.”, mi sbalordisce. “E, vedrai, andrà
tutto bene.”, conclude quasi sfottendomi con una smorfia.
“Ecco, Ray … peccato che tu abbia la barba allora! Ma grazie davvero, Pirata.
Tu non lo puoi sapere, ma mi hai regalato esattamente quello che stavo
aspettando.”
Pochi minuti dopo ho comprato il biglietto per lasciare Istanbul. Con un autobus, tra poche ore.

◀ Giorno 448 | 5° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
Al quinto giorno è ormai ufficiale: ho ripreso a macinare strada. In autobus, prima, per lasciare Istanbul ed entrare in Grecia; quindi in bicicletta, da Kavala verso Salonicco.
Le regole sono sempre le stesse e ormai fondamentalmente due: andare solo via terra (è permesso tutto, ma niente voli) e mai tornare indietro. Il tempo stavolta non sarà illimitato – devo essere a casa entro fine Aprile – ma reputo un mese circa più che sufficiente per chiudere sto benedetto cerchio.
Oggi sono tornato a pedalare con la Brompton carica; a tratti volavo ed a tratti mi sentivo come un fagotto fritto. Un buon pezzo verso Salonicco, con tanto di sosta in alcune terme abbandonate, è stato comunque fatto. Questa parte di Grecia è molto più spoglia e selvaggia di quella cui mi sono abituato nel corso degli anni; poco traffico, poca gente, estate ancora lontana. Stasera pertanto mi è toccato rispolverare la tenda, che poi tanto male non è. Poteva essere un poco più caldo e meno ventoso, ma poteva andare anche decisamente peggio.
Dietro di me, tra l’altro, c’è una taverna. Del buon vino bianco già mi attende. Gli chiederò un aiuto per scaldare le mie membra, stanotte. Così come chiederò poi al mare di cullarmi, ed ai miei sogni di portarmi via lontano. Ancora una volta.

◀ Giorno 449 | 6° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
L’ultima volta che mi sono svegliato in Grecia, lo facevo per volare via da Kos.
Questa terra, in qualche modo, è sempre stata importante per me. C’è sempre stata.
Bicicladi nacque qui ed anche la scorsa estate, seppur lavorativa, ha significato tanto.
La Grecia mi ha donato tutto ciò che un uomo possa desiderare avere nella vita, ed ogni volta ha rappresentato una rinascita.
L’ultima
volta che mi sono svegliato in Grecia, sistemavo una valigia, ripulivo
l’appartamento dove avevo vissuto per cinque mesi e salivo su un aereo, tenendo
per mano una nuova luce.
Oggi mi risveglio nuovamente in questa terra; smonto la tenda, preparo lo zaino
e salgo in sella ad una bicicletta. Verso Ovest. Verso Salonicco e poi verso
casa.
La
Grecia è il mio presente e ci sarà ancora, molto presto, nel mio futuro.
Quali e quante altre rinascite presenterà non lo posso sapere. Ma credo di
indossare lo sguardo di un uomo che è desideroso di scoprirlo. Forse davvero
per la prima volta.

◀ Giorno 450 | 7° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
Potevi arrivarci percorrendo una ventina di chilometri in piano e discesa, e invece no. Dietro il lago dove hai dormito ieri notte c’era una montagna. E allora perché non provare a scalarla, sbirciare Salonicco dall’alto e poi planare in picchiata dai pendii che la proteggono?
Tutto splendido, in teoria.
In pratica poi finisce che invece di una strada in salita trovi una parete, che spingi la bici a piedi come un asino per oltre un’ora e mezzo, che arrivi in cima e non c’è nulla, che il villaggio che si chiama Panorama di panoramico ha ben poco e che poi, quando entri a Salonicco, scopri anche che l’ostello che hai prenotato è in cima ad un’altra collina, proprio sotto al castello che domina la città.
Spingi ancora, asino!
E allora decidi che oggi rimani su, malmostoso, aggirandoti soltanto per la città vecchia. Salonicco bassa può aspettare. Per ora puoi anche soltanto guardarla dall’alto, con un po’ di musica nelle orecchie, una birra in mano ed un tappeto di glicine sopra la testa che, nonostante tutto, la fa già sembrare bellissima.

◀ Giorno 453 | 10° della ri-ri-partenza 🇬🇷▶
Dopo tre splendidi giorni di bici e campeggio nella Grecia del Nord, mi sono concesso tre giorni di relax fronte mare.
Alla scoperta di un nuovo luogo, in maniera lenta e blanda come piace a me.
Alla ricerca di persone con cui parlare oppure in completa solitudine, assorto nei miei silenzi.
Una bella città Salonicco, non c’è che dire; divisa tra un’incantevole zona vecchia sopra una collina ed una parte sul lungomare più rivolta al futuro. Nel complesso viva, energetica, vibrante. Ma anche abbastanza cara (almeno per il mio budget giornaliero) e poco fortunata, in questi giorni, dal lato meteo. Le previsioni, in aggiunta, danno pioggia e grigio come se fossi in Islanda.
Se restassi oltre, troppo sarebbe il tempo per pensare. Troppo lo spazio per le malinconie.
E così se è vero – ed a diritto – che Salonicco è considerata come la città più romantica della Grecia (cosa non da poco, direi), è anche vero che per me è giunto il momento di staccarmi dal suo tenero abbraccio. E di vedere che cosa mi aspetta un poco più in là, ancora più a Nord.

◀ Giorno 456 | 13° della ri-ri-partenza 🇲🇰▶
Dopo tre giorni trascorsi a Skopje, oggi ho pensato che fosse arrivato finalmente il momento di parlare della Macedonia e della sua capitale; della dolcezza dei suoi abitanti, della stranezza della sua storia, della bontà della sua cucina oppure della bellezza delle sue montagne.
Poi, però, preso da un’indecifrabile urgenza di andarmene, ho raggiunto la stazione degli autobus e – così come generalmente faccio in casi come questo – ho scelto un luogo tra quelli che mi ispiravano di più e sono saltato a bordo di un mezzo che mi ha portato in un posto di cui non sapevo nulla.
Ho scoperto che alle volte, facendo così, può succedere di cascare in un sogno da cui è difficile riuscire a svegliarsi. Almeno fino a quando non si avverte la voglia di raccontarlo.

Alcune ore nei dintorni di St. Jovan Kaneo, sul lago di Ohrid, in Macedonia.
Osservando la vita mentre accade.
◀ Giorno 463 | 20° della ri-ri-partenza 🇦🇱▶
Giunto a Tirana dopo aver lasciato Ohrid e la magia del suo lago, mi sono trovato di fronte ad un bivio: proseguire fino a Durazzo e da lì attraversare l’Adriatico, oppure continuare a Nord ancora nei Balcani. Due soli giorni per l’Albania mi sembravano troppo pochi, e così ho optato per la seconda opzione.
I 110 chilometri pedalati ieri, tra sterrati ed autostrade, mi hanno permesso di godere un poco di più di questo paese particolare e di raggiungere Shkodër, quasi al confine col Montenegro. A Shkodër vi sono un lago ed una fortezza antica, quindi mi sembrava il luogo adatto per riposare un giorno.
<<Visto che sei qui in bici, perché non fai un salto anche al Ponte di Mesi?>>, mi butta là Ani, la proprietaria dell’ostello. <<Merita. Sono solo 9 chilometri e non ci va quasi nessuno. Poi, volendo, puoi proseguire fino a Prekal, risalendo una valle per altri 20 chilometri. Il fiume diventa sempre più bello, metro dopo metro.>>
Mi dico che 9 chilometri basteranno, per oggi, e che il
pomeriggio verrà speso per Shkodër prima di ripartire domani per il Montenegro.
Poi, però, una volta giunto al Ponte di Mesi, scopro che – per quanto
affascinante sia – è sovrastato da una fabbrica e che qualcuno, alle sue
spalle, sta bruciando copertoni e plastica.
Il fiume, tuttavia, sembra davvero splendido; ricordo le parole di Ani e così
scelgo di pedalare ancora qualche metro, seguendo l’acqua. E poi ancora. E
ancora. Metro dopo metro.
Ecco, io non so bene che cosa diavolo succeda nella mia testa quando decido di scombussolare tutti i miei programmi, di dedicare una giornata intera a raggiungere – tra salite, canyon, cascate, asini, polli, aratri e acque cristalline – un villaggio mai sentito nominare prima per lanciarmi semplicemente alla scoperta di una valle sperduta nel Nord dell’Albania dove non vanno neanche i locali.
Però sono felice che succeda.
[ 18 Aprile 2019 – Da Shkodër a Prekal (Albania). ]
◀ Giorno 464 | 21° della ri-ri-partenza 🇦🇱▶
Sono contento di aver scelto di dedicare due giorni in più all’Albania, per apprezzarla un poco più a fondo. Anche se ho la sensazione che neanche due mesi sarebbero mai abbastanza.
PS: datemi un posto con l’acqua ed io sarò felice.
[ 19 Aprile 2019 – Shkodër (Albania). ]
◀ Giorno 466 | 23° della ri-ri-partenza 🇲🇪▶
La Pasqua, così come il Natale, il Capodanno e le ricorrenze in generale, è uno di quei giorni in cui divento facile preda dei pensieri e delle malinconie. Come tanti, credo. È in giorni come questo che mi trovo a riflettere più approfonditamente – ma non per forza in maniera migliore – sulla mia vita. Sul mio passato, sulle mie scelte, sui miei desideri, sul mio futuro. Giornate in cui vorrei condividere quello che amo fare con qualcuno capace di accarezzarmi il cuore, oppure sedermi a tavola insieme ai miei cari, o ai miei amici.
Eppure, ancora una volta, ho scelto di essere in viaggio da
solo; di essere in sella alla bicicletta già alle 8 di mattino, di pedalare una
quarantina di chilometri, lungo la costa del Montenegro, e di raggiungere la
cittadella di Budva, dove ho potuto godere di un po’ di mare e dove stasera
brinderó ad un nuovo anno che è passato.
Un anno fa – ero in Nepal, allora – non avrei mai potuto prevedere tutto quello
che la vita mi avrebbe riservato; nuovi incontri, nuove scoperte, nuovi errori,
nuovi sentimenti, nuovi sogni, nuove esperienze, nuove perdite.
Qualcuno oggi mi ha chiesto se non mi dispiaccia essere da solo, in giorni come questo. Ebbene ho risposto di sì, che mi dispiace. Che mi manca molto la mia famiglia, e non soltanto quella. Ma anche che sono felice di essere ancora una volta sulla mia strada, e soprattutto di essere libero di percorrerla. Che è giusto che io sia qui, adesso, ed è giusto che sia da solo. Per chiudere quel cerchio iniziato ormai quasi tre anni fa e per essere cosí finalmente in grado di poter iniziarne un altro presto, qualsiasi esso sia. Per riuscire a portare a termine qualcosa, nella mia vita.
E per renderle onore, in fin dei conti, nell’unico modo che
conosco: semplicemente cercando di essere grato per quello che mi è dato di
avere qui, ed oggi. Esattamente come avrebbe fatto qualcuno che proprio oggi
avrebbe compiuto 36 anni; qualcuno che mi sfotterebbe perché è tutto il giorno
che canto Coez come un deficente, e che starebbe accordando la chitarra per
intonare invece qualche pezzo dei Nirvana o dei Red Hot.
Qualcuno che, per quanto i miei occhi non siano più in grado di vederlo, sono
sicuro che stia facendo precisamente così. Sorridendomi di rimando, anche da
lassù.

◀ Giorno 467 | 24° della ri-ri-partenza 🇲🇪▶
“Vieri, ho visto che nella nuova programmazione quest’anno avete inserito anche Kotor! Ma com’è? Mi spieghi?”
“Oh, guarda, una piccola gemma! Sembra un fiordo norvegese, ma più caldo. La fortezza che la sovrasta è di una bellezza commovente. E la cittadella antica, poi, una bomboniera. Splendida, davvero, credimi!”
Per sette anni ho lavorato come promotore per una compagnia di crociere. Chissà quante volte mi sono trovato a decantare i tesori di questo luogo, senza sapere una beata fava di Kotor e conoscendo a malapena la posizione del Montenegro stesso.
Bene, è stato bello rivederti oggi, MSC Opera! Ed anche scoprire di non aver detto poi così tante panzane, in tutti quegli anni.

◀ Giorno 469 | 26° della ri-ri-partenza 🇲🇪▶
Quando mi domandano come sono riuscito a fare tutto questo viaggio in sella ad una bicicletta pieghevole, a stento trattengo una risata. Immediatamente penso a tutti i veri cicloviaggiatori che conosco e per un attimo arrossisco di vergogna.
“No, no, aspetta!”, mi trovo sempre a rispondere, cercando di riparare in maniera sincera e credibile. “Non l’ho fatto IN bicicletta; è meglio dire CON una bicicletta!”
Chi viaggia in bici per davvero pedala in genere ogni giorno, dormendo spesso dove capita e sudando su terreni ed in condizioni meteo di ogni tipo. Io no, non l’ho mai fatto, e fondamentalmente ho scelto una pieghevole proprio per questo. Ho sempre alternato le due ruote a mezzi di ogni tipo, treni e bus per lo più. Una volta feci anche il calcolo, stabilendo che la bici era stata usata all’incirca per il 20% dei miei spostamenti, in Europa e Sud-est asiatico per lo più. Certo, poi l’ho usata molto per girare nelle città o nei dintorni dei luoghi dove mi fermavo, ma non ho mai attraversato deserti o passi incredibili solo con la forza delle mie gambe. In realtà non ho quasi mai attraversato nemmeno un paese (per intero, intendo). È capitato soltanto una volta, con l’Ungheria, nel lontano luglio 2016.
Fino ad oggi, però. Perché oggi posso finalmente dire di averne attraversato un altro. Lo so, non è un paese enorme come la Russia, o la Cina, o l’Iran. Eppure averlo fatto nel piccolo Montenegro per me significa molto. Così magari un giorno potrò raccontare ai miei nipoti di aver attraversato IN bici, e per intero, un paese dove – vuoi per la misura della mia Brompton e vuoi perché l’altezza media delle persone è di circa 1,90 – sono stato spesso scambiato per un hobbit. Con lo stesso nasone e sorriso di Bilbo Baggins che si avventura verso la montagna di Smaug, in uno dei miei ultimi giorni di viaggio CON la bici. E giusto poco prima di ritornare a casa, nella mia Contea.

◀ Giorno 473 | 30° della ri-ri-partenza 🇭🇷▶
Dopo tre giorni di dolce far niente sulla costa Dalmata e trenta esatti dalla data del mio arrivo a Istanbul, mi appresto finalmente a percorrere l’ultimo pezzo.
L’ultimo segmento di questo viaggio: quello verso casa, su suolo natio.
Lo farò dopo aver solcato le onde dell’Adriatico, un po’ novello Corto Maltese e un po’ Paperoga alla deriva.
Mi fa sorridere, a prescindere da tutto, il fatto che il battello che domattina mi farà risvegliare nuovamente in Italia porti il nome di Marko Polo.
“Che sistemazione desidera, signore: cabina, poltrona o posto ponte?”, mi
ha domandato poco fa la bigliettaia della Jadrolinija.
“Posto ponte, grazie.”
Che stanotte non voglio altro che il mare, il mio sacco a pelo ed un cielo
tempestato di stelle.
Di certo poi pioverà, ma sinceramente … chissenefrega.

“Nobody said it was easy
No one ever said it would be so hard
I’m going back to the start.”

FULL CIRCLE
Sí, lo so, sono sparito proprio sul più bello. Niente proclami o fanfare alla conclusione del mio viaggio, avvenuta ormai quasi una settimana fa. Un momento così tanto atteso, eppure lasciato passare nel silenzio più assoluto. Ma ci sono cose che sono terribilmente più importanti, e che fanno passare tutto in secondo piano nella pesantezza della loro realtà. È proprio vero che, alle volte, la vita è quello che ti succede mentre sei occupato a fare altri progetti. Grazie, ad ogni modo, a tutti coloro che hanno seguito questo percorso e – anche se da lontano – lo hanno condiviso insieme a me; a chi c’è stato, a chi c’è, a chi ci sarà. E se c’è qualcosa che posso dire di aver imparato in tutto questo mio lungo vagare, tra le più vere ce n’è senz’altro una. Che la vita va presa per quello che è, comunque sia, ed andrà avanti comunque. Tu non puoi fare altro che continuare a sorriderle, anche quando tutto sembra andato in macerie. Perché, se avviene in maniera sincera, prima o poi, anche lei … tornerà a sorriderti di rimando, ancora una volta.
